Zinga e quel Tweet per D'Urso: se i politici assumessero qualcuno che controlla chi scrive i loro post daremmo una bella botta alla disoccupazione
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Come ci si immagina che il segretario di un partito nazionale passi le sue certamente lunghe giornate? Beh, lavorando di cervello e di azione, di pensiero e di fatti. Senza invidia alcuna, anzi con un’onesta comprensione per l’improbo impegno, ce lo immaginiamo tremante nei polsi. Lo immaginiamo mentre sfoglia l’agenda del disarmo nazionale nell’ardua ricerca di soluzioni, provando a mettere ordine alle priorità. Il virus, le paure, i portafogli vuoti, il lavoro di chi lavorava che sparisce, quello di chi non lavorava che non apparirà più. Ancora, i disperati del lunario che non sbarca più, nemmeno con la proverbiale inventiva italica. O le file alla Caritas e quelle negli studi degli psicologi: in fila, ad ogni età ma i ragazzi forse di più. E poi l’incertezza che pesa sul quotidiano singolo e collettivo.
Sono mille e mille le mille varianti di uno sbando sociale che rischia di far passare ogni eroico predicatore di fiducia come un reietto. L’Italia pre-pandemica era già malmessa di suo. Una pandemia dalle prospettive purtroppo indefinibili ogni giorno di più tende al colpo di grazia: un colpo alla salute fisica e un colpo a quella mentale della popolazione. Chi governa – ed il Pd, pur singhiozzando, governa – può legittimamente considerare Sisifo, (il mito greco della fatica), un fancazzista. Con il Zinga, con il segretario di un Pd da sempre frazionista, o meglio “fazionista”, verrebbe perfino da solidarizzare. Oddio, non è che la risatina spesso fuori luogo e fuori contesto del Zinga sia poi così tranquillizzante. Ma non si può pretendere che un bonaccione diventi di botto muscolare.
Ce lo saremmo tenuti così, il Zinga, nella consolazione magra del meno peggio. Invece no. Purtroppo no. Il Zinga che twitta un’incredibile ed inaspettata assenza di costrutto come un Salvini qualsiasi ci ha prima spiazzato ed immediatamente dopo irritato. A dirla tutta, il Zinga ci ha gettato nello sconforto della totale incomprensione. Se di fronte alla montagna di guai, di fronte al pericolo di un Vajont sanitario, economico, culturale e sociale il segretario del Pd trova “normale” prendere le difese di un’improbabile dell’improponibile quale è Barbara D’Urso, beh siamo arrivati ben oltre la frutta. La politica – per dirla con l’inarrivabile lungimiranza di Gaber – è sempre più colitica. È sempre più un fatto intestinale, ma dei più disagevoli tra puzze e rutti. Se davvero il Zinga pensa – come ha scritto – che la D’Urso “ha portato la voce della politica vicino alle persone” conviene precipitarsi a comprare tutte le bandiere bianche disponibili in casa o al mercato per proporre al Pd di sostituirle a quelle con il simbolo di partito.
Star qui a demolire la D’Urso per quella sua quotidiana tv dell’orrore è usare male il tempo che potrebbe essere usato meglio. L’autopsia dei suoi programmi è già stata fatta e rifatta. Non si aggiungerebbe nulla di nuovo se non il ribrezzo di dover ricordare giocoforza come nella fenomenologia d’Ursiana della “politica vicino alle persone”, quella che sembra sconfinferare anche il Zinga, sia contemplato anche un “Eterno riposo”. Noi si può dimenticare quella sacrilega recita a mani giunte, quel parlare all’unisono tra la conduttrice e Salvini.
“La voce della politica più vicina alle persone?”. Se il Zinga ci crede davvero solo perché per un paio di volte la signora Barbaratrucco lo ha adulato, allora la patologia del segretario Pd è piuttosto grave. Quando sarà sul lettino dello strizzacervelli il buon Zinga si chieda perché la D’Urso “esalta” con cinguettii amorosi chiunque arrivi da un qualsiasi palazzo dove si pratica il potere: quello vero e quello presunto. Si domandi perché quando è ospite lui, la D’Urso non ha occhi per nessun altro. Quando sono ospiti Salvini e la Meloni la D’urso non ha occhi, (e orecchie, e mossette) per nessun altro. Quando è ospite Di Maio la D’Urso non ha occhi per altri. E così via, nella fiera dei vuoti soliloqui che “avvicinano la politica alla gente” che nel frattempo – bevendosi anche fiele, furbate, odio, panzane e illusioni – rischia di trasformarsi in gentaglia.
Se a Zinga basta che qualcuno gli conceda il palco e lo faccia sentire “considerato” fregandosene altamente di quel che dice, beh Zinga non è messo bene. Della D’Urso lui può naturalmente pensare quel che gli pare. Ma non va bene che Il Zinga la faccia passare per una paladina della democrazia solo perché la D’Urso “se lo fila” infilandolo tra un vomito della tv del dolore ed uno scambista della De Filippi che lei scambia per Shopenhauer. Di questo passo un Zinga vestito da Fonzie, (Renzi, la nemesi), a cantare come un qualsiasi “Tale e quale” di Conti potrebbe essere la prossima puntata del dramma. Il dramma del Pd e di chi ci crede onestamente. Non sarà che il Zinga pensi che per avvicinarsi al popolo il politico debba trasvestirsi da giullare ancor più di quanto non accade ogni giorno in ogni programma?
Nell’attesa di una diagnosi azzardiamo l’ipotesi più plausibile per l’accaduto decadente degli amorosi sensi tra Il Zinga e Barbaratrucco. Il Zinga, come tutti i politici di rango che ogni giorno devono dire qualcosa anche se non hanno nulla da dire, probabilmente non scrive i post di suo pugno. Se è così, il Zinga non lo licenzi perché “Errare, eccetera”. Però lo punisca – non senza aver fatto quella pubblica ammenda che ancora non si è sentita – con un’intuizione che potrebbe rilanciarlo nell’olimpo di chi prova a risolvere problemi.
Assuma qualcuno per controllare chi scrive i suoi post. E assuma qualcun altro per controllare chi deve controllare. E ancora assuma chi deve controllare chi controlla colui che deve controllare. Insomma potrebbe dare una bella botta alla disoccupazione. Sui social dei politici – tutti, mica solo il Zinga - continueremo a leggere scemenze. Ma i senza lavoro – almeno quelli – diminuiranno.