Teatro di Pergine: dieci anni nel segno dell'aggregAzione
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
“Anche dormire è una forma di critica, specialmente a teatro”. Lo diceva George Bernard Shaw, il Nobel irlandese che ruminava felicemente scrittura, drammaturgia, linguistica e critica musicale. Il tutto condito da una salvifica ironia così come testimonia la sua metafora di cui sopra.
I bambini dai 6 agli 11 anni che stasera a domani si coricheranno sulle assi di un palcoscenico (quello del teatro di Pergine) metteranno in scena una battaglia collettiva: tra eccitazione e sogno, tra sorpresa e divertimento. Tra gli spazi e le luci, tra le anomalie ed il fascino.
Loro, i bimbi, sanno poco di Shaw, sanno poco anche di prosa. Eppure c’è da scommettere che a Pergine saranno stati piccoli/grandi attori dell’improvvisazione. Forse più dei professionisti.
Godranno, ognuno a proprio modo, dell’inconsueta situazione logistica. Crescendo (qui si scommette su un pronostico senza quota) se ne ricorderanno. Eccome.
“Nanna a teatro”. C’è anche questo nell’intenso programma di una mini rassegna del legittimo orgoglio (un deja vu artistico) per il decimo compleanno di un’esperienza al tempo stesso culturale e sociale. Una scelta intrigante. E perfino paradigmatica. La scelta, cioè, di affidarsi alle emozioni più vere, quelle finalmente imprevedibili dei giovanissimi, per festeggiare un traguardo che diventa ancora più importante, stimolante. Ma solo se lo di considera un “traguardo di tappa”. Il traguardo dei 10 anni del Teatro di Pergine. Il traguardo di una gestione, quella di Aria Teatro, di aria fresca.
Quando si gestisce un luogo di incontro con le arti e di incontri con gli altri (il teatro va sempre oltre il teatro) c’è una sola regola guida: non farsi fregare dalla fregola di coltivare solo i propri interessi e i propri gusti artistici. Ma al tempo non derogare mai dal coraggio delle proprie passioni artistiche.
Pubblico è una parola che ha un senso solo se declinata al plurale: pubblici. Lo si fa tenendo in debito conto (si chiama rispetto) tanto lo spettatore di “bocca buona” quanto quello disponibile alla ricerca e alla sperimentazione. Pubblici da far incrociare. Da contaminare.
La mescolanza dei generi, l’intreccio dei linguaggi, la multidisciplinarietà. E ancora, un’attitudine non derogabile a considerarsi “servizio”. E dunque considerare il teatro un luogo dove i cartelloni, le stagioni, le proposte devono essere una parte (fondamentale, certo) ma mai il tutto. I dieci anni fin qui vissuti dal Teatro di Pergine sono troppo fitti ed affollati per essere raccontati come un catalogo. I dieci anni del Teatro di Pergine sono però facili da sintetizzare se si va in cerca del significato culturale della scommessa avviata nel 2013 da un’associazione culturale nata cinque anni prima. Aria Teatro vinse il bando da gruppo forse acerbo di tecnica burocratica amministrativa (il labirinto) ma evidentemente già abbastanza avanti nella maturazione per attrezzarsi a tradurre in azioni culturali piuttosto concrete un inevitabile accavallarsi di idee ed entusiasmi.
Se così non fosse stato non si spiegherebbero i numeri che in dieci anni hanno portato 400 mila persone a vivere sia gli aventi che gli spazi del teatro perginese. E qui la seconda regola: fare di necessità virtù. Se non hai la sicurezza (che a volte diventa sicumera) del finanziamento pubblico devi inventare, farti il mazzo, creare occasioni, spaziare. Fare, anche bilancio.
Un teatro tecnicamente all’avanguardia: una caratteristica importante ma non esaustiva. Non c’è dotazione che possa sopperire al rapporto di scambio continuo tra chi un teatro lo fa lavorare e chi un teatro lo frequenta. Per frequentare un teatro c’è bisogno di sentirlo proprio. Conta l’offerta ma conta di più il clima che un teatro fa respirare prima, durante e dopo uno spettacolo, un evento (grande o piccolo non importa).
Ebbene, si può dire senza tema di smentita che in questi dieci anni Aria Teatro ha costruito un contesto, un clima appunto, che ha saputo dare al Teatro come fucina una dimensione che va certamente oltre il capoluogo della Valsugana senza tuttavia dimenticare la funzione comunitaria legata a Pergine e al limitrofo.
Tutto facile? Per niente facile ma direzione obbligata con un’infinità di deviazioni in corso d’opera che non hanno però mai smarrito la missione. Così la vede, (e sembra vederci chiaro anche pensando ai prossimi dieci anni) il direttore artistico del Teatro di Pergine.
E’ quel Denis Fontanari per cui la professione di attore deve essere sicuramente meno faticosa (cosa che invece non è mai) rispetto all’impegno di far quadrare le mille e mille complessità della gestione di uno spazio che non permette alcun dilettantismo. Ovviamente Fontanari (che richiama il Bruto di Braccio di Ferro nella versione più bonacciona) non si permette di dipingersi come unico protagonista.
“Eravamo un gruppo affiatato all’inizio della sfida, lo siano ancora di più oggi. Non eravamo tanti all’inizio e siamo tanti oggi, una ventina. Facciamo vivere un teatro, diamo lavoro, abbiamo costruito professionalità e competenze. Un bilancio di un milione di euro e spiccioli non permette divagazioni, né voli pindarici. Ma guai a non rischiare, guai a non alzare il tiro delle proposte seppur con attenzione a tutti i pro e i contro. Guai, più di tutto, ad abbassare il livello di osmosi con la comunità perginese, il suo associazionismo, perché è lì che nascono forze, consensi, partecipazione, volontariato”.
Professionalità e competenze, la squadra, i rapporti antichi e solidi dentro un team che produce, ospita, circuita, inventa (Chiara Benedetti, citando una per tutti), sfrutta tutte le occasioni pubbliche e private per sostenere progetti (tanti) che allargano l’offerta oltre alle stagioni di prosa, danza, musica, eccetera. Un lavoro che ha dato frutti e riconoscimenti di prestigio (anche economico) come quello ministeriale alla compagnia di produzione.
“Quello che negli anni abbiamo realizzato a Pergine in termini di struttura ed organizzazione – spiega Fontanari – lo abbiamo messo però in sinergia con tante altre realtà professionali in Trentino ma anche in Italia: compagnie, altri teatri (Villazzano, Portland, San Marco ad esempio). C’è oggi un circuito che non è solo utile a fare economie di scala ma che aiuta la creatività e le iniziative di tutti quelli che ci stanno dentro e collaborano sempre più intensamente. Così si è diventati interlocutori di tante amministrazioni comunali, di alcuni privati importanti. Così abbiamo vinto bandi delle Fondazioni culturali che ci danno forza. Così ci siamo buttati nella sfida, diversa da Pergine, della gestione del Teatro di Meano. Così ospitiamo residenze teatrali – oggi abbiamo pure una foresteria: ospitiamo attori e idee e lo scambio porta Aria Teatro, ma non solo Aria Teatro, a girare l’Italia con attori e idee”.
Senza copione, recitando a soggetto per ringraziare tanti altri soggetti (troppo lungo l’elenco dei nomi), Fontanari potrebbe essere fermato solo se Popeye gli mollasse (a lui, cioè Brutus/Timoteo) uno dei suoi uppercut. Ma fermarlo sarebbe ingiusto perché i dieci anni del Teatro di Pergine rendono inevitabile anche l’abbozzo di un monologo. E per altro il monologo ha anche un titolo accattivante: “Se dieci anni vi sembran pochi…”.
No, non sono pochi. Non è poca cosa la sfida, vinta, di fare di un teatro un’esperienza permanente di aggregAzione (culturale), che ha rilanciato un territorio a alcune sue chicche (il Castello come altra sede di proposte). A Pergine, anche grazia al suo Teatro, va ormai stretta la nomea di periferia.
Dati alla mano, il Teatro ha valenza provinciale (senza i soldi della Provincia) per frequentazione ma ancor di più per la capacità di attirare pubblici diversi grazie ad un intelligente dosaggio tra grandi nomi del palco e grandi emergenti, tra popolare e complessità, tra primo, secondo, terzo e quarto teatro (con tutti i decimali possibili).
Se un Teatro deve essere Casa, Pergine è stata in questi dieci anni una casa ospitale. Una casa di culture (davvero varie) da scoprire in ogni angolo con la prosa che esce dal palco (il Mastro e Margherita) e ti spiega è come la storia di Maometto che se non va alla montagna....Dieci anni, una tappa. Ma non c’è un Giro da vincere. C’è, semmai, da far girare una gran bella esperienza.