Renzi e le mie scuse a Crozza: tra smorfie, capricci bambineschi e panzane all’ennesima aveva ragione il comico
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Chissà perché invece di parlare di Renzi mi viene di chiedere scusa a Crozza. Quando il comico ligure parodiava l’allora Presidente del Consiglio saccheggiando il “Nipote picchiatello” che nel lontano ’55 rese famoso Jerry Lewis, il sottoscritto giudicò esagerata quella rappresentazione. Una rappresentazione feroce: tutta dentoni, smorfie, capricci bambineschi e panzane all’ennesima. Perché Crozza – allora - mi sembrò ingiusto? Boh, forse perché come milioni di altri che erano in cerca di disperate illusioni mi ero illuso: “anche” su Renzi.
Passi e anzi ben venga l’irriverenza verso il potente – mi dicevo – ma forse è troppo far passare Renzi per un imbecille misogino, con la “velina” Boschi al seguito. Oggi, rituffato mio malgrado nel peggior incubo, nel terribile remake di “A volte ritornano”, sono costretto a darmi del cretino – (mi capita spesso e forse un po’ mi salva). Cretino per non aver intuito che quando Crozza demoliva un Renzi al diapason della carriera politica faceva un’azione eroicamente “lungimitante”.
Eh sì, proprio “lungimitante”, conio azzardato ma forse centrato tra lungimiranza e imitazione. Tante scuse a Crozza, dunque. Chapeau tardivo a chi dissacrò per primo, (con ironia e brutalità sacrilega) il primo dei due Matteo. I due Matteo che in maniera uguale e contraria spacciano vergogna nella nazione. I due Matteo che si dividono il compito di “tagliare” dosi letali di demagogia prima di piazzarle sul mercato della politica e della società disattenta e stanca. “Tagliano” le dosi di tossicità con sorrisini ipocriti, frasi fatte (male), selfie come se piovesse e altre pagliacciate vestite di egocentrismo.
Un egocentrismo patologico che pencola in un caso certamente a destra e nell’altro verso una latitudine più sinistra che di sinistra. Assistere esterrefatto ma per nulla meravigliato al “redde rationem” del Renzi spaccone e spaccatutto di ieri sera mi ha convinto che gli anni possono anche passare ma che è un limite invalicabile il fossato che separa l’età dalla maturità, la coscienza dalla decenza, gli ideali dalle miserie, l’onestà dalla finzione. Hanno già scritto e scriveranno tutti dell’irresponsabilità renziana. Lui, il pernicioso negazionista del buon senso e perfino del buon gusto quando sciorina il “vangelo secondo Matteo” con l’apostolo che si rivolta nella tomba e Gesù Cristo che avesse intuito con chi aveva a che fare non se la sarebbe presa con quel bonaccione di Giuda.
Due righe in più, due bestemmie in più, (le mie), sono e saranno del tutto inutili. Quindi meglio astenersi dall’analisi politica perché l’unica certezza che Renzi pare permettere è che nel suo fare e nel suo dire la politica – nel senso nobile ma forse anche in quello ignobile del termine – non esiste. La politica per lui deve essere un alibi, un travestimento, (seppure mal riuscito), una pura finzione che al confronto Brachetti, re dei trasformisti, è meglio cambi mestiere. Eppure un po’ d’essenza deve averla anche il “Ghigno di Tacco” di Rignano. La sua essenza è l’assenza. È assente quando le condizioni malconce di un’Italia pandemica imporrebbero l’umiltà del “si può fare” contro la presunzione del “si fa come dico io”. Sarebbe segno di intelligenza e di rispetto.
Renzi è assente se c’è da costruire con pazienza e senza guasconeria: forse perché da piccolo gli hanno regalato l’Ego anziché il Lego. È assente anche quando è presente con quel suo vocabolario che riduce ogni voce ad una sola: l’incoerenza. Nel vaniloquio della crisi che ci mancava anche questa per chiedere la cittadinanza di Marte: Renzi è arrivato perfino ad accusare Conte (che non è un cognome nobiliare ma l’identificazione di un ondivago né meglio né peggio di tanti altri) di abuso dell’immagine ai danni delle regole istituzionali. Bene, non serve certo una memoria lunga per rinverdire il Renzi ingordo di slide, il Renzi delle chat, quello del “C’è posta per te” e del giubbino da Fonzie. Di tutto quanto lo rese – da capo del Governo – un prigioniero di sé stesso: elevato al cubo.
Nel vaniloquio della crisi Renzi s’è messo al centro della scena, (sì, scena, spettacolo, anzi tragedia) con due ministre ai lati. Le ha esaltate per esaltare le donne. Le “sue” donne brave, bravissime, ma mute. Nel vaniloquio della crisi Renzi si è fatto grande del suo essere infimo (come partito), e infido (come partner di chichessia). Nel vaniloquio della crisi Renzi deve, paradossalmente, ringraziare il Covid. Il virus gli ha imposto un soliloquio mascherato e il pubblico si è evitato quelle espressioni che parlano per Renzi, che rendono inutili le sue parole, il coacervo snervante delle sue ripetizioni. Eppure con uno sforzo di nemmeno troppa immaginazione il “ti conosco mascherina” con Renzi non è un esercizio faticoso. Il godere di sé stesso con tutti i nervi facciali in esercizio: questo è Renzi. E tutto il resto è fuffa, o forse truffa per chi ci casca quando straparla di occupazione, sanità, scuola e giovani con in mano non la bacchetta magica ma il legno del rabdomante che vuol far credere che con lui in ogni deserto può sgorgare l’acqua a fiumi.
Non è dato sapere dove andremo a finire. Sappiamo da ora che finiremo male se è vero che il passaggio eventuale da un Matteo all’altro potrebbe avvenire senza che l’Italia abbia raggiunto l’immunità di gregge contro l’autodistruzione, contro la pandemia da boccaloni – gli sguaiati - che c’era prima del Covid e rischia di esserci anche dopo. Speriamo allora nella ricerca. La scienza fa passi giganteschi e non è detto che non ci possa regalare un vaccino contro i cialtroni resi immortali da un’informazione troppo spesso prona e deformata, da un intrattenimento deformante.
Di Renzi ce n’è uno ed è anche troppo. Ma Renzi non sarebbe nessuno se i suoi adepti in Parlamento e nella società – anche quella trentina - sperimentassero almeno un po’ l’arte del dubbio anziché cimentarsi nel vizio facile dei replicanti.
Per loro una sola domanda: come potrà mai essere Viva un’Italia che vuol “curare” le malattie sociali con le iniezioni letali del “tanto peggio, tanto meglio”? Per Renzi, infine, una sola soddisfazione, seppure inelegante. Parlava da bullo mascherato e il gioco anatomico non è stato improbo: nascondeva la faccia o la parte del corpo che è brutto dire? Io la risposta me lo sono data. E voi?