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Il teatrino del centrodestra tra Fugatti e Gerosa e il tafazzismo del centrosinistra che a Trento rischia di non poter candidare le sue figure di riferimento

DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 05 luglio 2023

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

La fantapolitica che illude gli allocchi? Eccola. La destra/centro trentina che materializza una massima di Georges Armand Masson, pittore e giornalista del primo 900.Il masochismo è una perversione assurda che consiste nel farsi del male da soli, quando ci sono gli altri per questo”. Lega e Fratelli d’Italia continuano a sfottersi. Con infantile e reciproco sussiego. Lo fanno in un crescendo poco emozionante che sa tanto di teatro dell’assurdo. Chissà se Maurizio Fugatti e Francesca Gerosa conoscono l’arte di Samuel Beckett. Però si impegnano: lui e lei recitano la parte come se ci credessero.

 

Fino a quando la tireranno lunga sta tiritera sulla candidatura alla prossima presidenza della Provincia Autonoma? La “non suspense” della capricciosa contesa dura da molto. Durerà ancora poco. Meloni e Salvini chiuderanno il sipario su una farsa di periferia che in fondo (ma in fondo in fondo) ha un che di generoso. O di perfido? Lasciando in forse la scelta del candidato presidente la destra/centro alimenta le illusorie speranze degli avversari. Quelli, cioè, di un centro sinistra che per l’occasione si è battezzato come Alleanza (fino ad ora dei “soliti noti”). Maestro di masochismi, il centro sinistra prova a convincersi che il masochismo altrui non sia una barzelletta cinica. Prega di non dover giocare una partita elettorale per puro e frustrante onore di firma.

 

“Farsi male da soli quando ci sono gli altri per questo”. Gli “altri” – tanto per chiarire – sono quelli che per il Trentino hanno idee progressiste certamente condivisibili (sempre che le esprimano) ma che sono fin qui stati drammaticamente prigionieri di un’autoreferenza letale. Il drammaticamente si spiega con il fatto che si sono troppo spesso crogiolati in un parlarsi addosso dal lessico incomprensibile ai più. Pur costretti al disarmo psicologico dell’opposizione gli antagonisti della destra al governo in Piazza Dante hanno disinvestito. In cinque anni si sarebbe potuta costruire con un umile e faticoso lavoro “sul territorio” (e non limitandosi alle istituzioni) una prospettiva di alternativa. Invece no. Invece ci si è ridotti (come sempre) ad incollare alla fine del percorso mai iniziato nomi e sigle vecchie. Un dejà vu di allegre (ma anche no) riunioni dove dettano la linea gli stessi che lo facevano dieci, cento, mille anni fa. Ma va così. E purtroppo andrà ancora così chissà per quanto.

 

Ciononostante a forza di punzecchiature, gelosie e personalismi al diapason la destra potrebbe perfino avvitarsi su sé stessa, al punto da rendere complicato il “redde rationem” atteso da Roma o Milano (altro che decisione presa in Trentino). E’ un’ipotesi piuttosto remota ma mai sottovalutare la portata delle fisime tra chi ha il vento in poppa (i Fratelli) e chi rincorre (la Lega). Tuttavia Meloni e Salvini, secondo pronostico nemmeno troppo difficile, dovrebbero concedere a Fugatti un bis “salva faccia” (e salva Lega) mentre a Fratelli D’Italia andrebbe il malloppo: una vicepresidenza e gli assessorati che contano una volta contati i rispettivi e certo diseguali voti.

 

La politica può anche riservare sorprese ma non può essere così sorprendentemente nichilista da far perdere completamente la tramontana e le elezioni a chi sulla carta e sulla mappa delle valli (ma non solo) le ha già in mano. Per altro anche se miracolato dall’incredibile (Lega e Fratelli dì’Italia s/coalizzati) il centro sinistra sarebbe perfino capace di “non approfittane”. Quel che sta accadendo nel retro bottega dell’Alleanza democratica e autonomista richiama infatti una sindrome autolesionista che è di antica data ma che s’aggiorna di volta in volta di ulteriori tafazzismi. Uno dei più curiosi parte da Trento città, dove un sindaco che adatta opinabili questioni di principio alla sua aspirazione monarchica non si schioda dall’idea di togliere le deleghe a chi dalla giunta dovesse azzardare la corsa in Provincia.

 

La legge scritta dice che non c’è obbligo: forse bisognerebbe tenerne conto. Ma il problema non è nemmeno la legge che permette ad un assessore di candidare e non gli permette, se eletto, di tenere ovviamente i piedi in due istituzioni. Il problema è ragionare con onestà sul contesto del tutto particolare ed inedito delle elezioni provinciali d’ottobre. Le elezioni 2023, a differenza di un passato nel quale il centro sinistra “vinceva facile” contro una destra inesistente (il centro sinistra poteva dunque candidare anche i passanti), impongono ai progressisti di mettere in campo chi ha possibilità di raccogliere voti. Pur sapendo che le possibilità sono molto più scarse rispetto al passato. Il vento di destra è travolgente e va oltre le qualità (poche) della destra al governo del Trentino. Ogni voto alternativo conta quasi doppio.

 

Vabbè dunque l’elogio allo spirito di servizio ma la tagliola che ti azzoppa prima di iniziare la corsa proprio no. I samaritani non fanno politica e comunque anche i samaritani di fronte ad una scommessa con questo centro sinistra in queste elezioni si domanderebbero “chi me lo fa fare”. Poniamo il caso che i tre assessori candidabili della giunta Ianeselli (Maule, Franzoia e Stanchina) non accettino il diktat delle dimissioni preventive e restino al loro posto. Chi troverà voti nel bacino ampio del capoluogo (e forse anche fuori)? E se la linea Ianeselli dovesse allargarsi ad altre giunte consimili in Trentino? Beh, per contare i voti non ci vorrà certo una calcolatrice. Non serve avere le competenze predittive di Mago Merlino per immaginare liste competitive allo stesso modo di come il Trento può competere con il Manchester City.

 

La tesi che la campagna elettorale di un assessore penalizzerebbe il Comune regge tanto quanto la saliva usata come colla. La campagna elettorale vera durerà al più un mese. Chi viene dalla città la farà prevalentemente in città e un assessorato vive del rapporto operativo tra politico, dirigenti e funzionari che non certo non si interrompe nel caso di assenze contingenti. Se però il sindaco intuisce che un’elezione provinciale è l’occasione per rimpastare la sua giunta secondo desiderata (per nulla misteriose) precedenti alla scadenza elettorale, beh allora non sente ragioni. L’Alleanza? Può attendere un giro (lungo 5 anni). Il candidato presidente Valduga? Si rilegga De Coubertin: l’importante è partecipare. Chissà se il candidato presidente Valduga abbandonerà la finestra per dire la sua sul tema (che è delicato ma vitale). Chissà se diranno la loro i partiti. La politica non è il calcio ma il calcio insegna che se in campo non metti la squadra più attrezzata alla pugna giochi sottotono, punti a massimo al pareggio. E dunque perdi.

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