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Il Pd delle ''mozioni'' che non regala più ''emozioni'' e un centrosinistra che parla di programmi quando i cittadini nemmeno li ascoltano più

DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 14 febbraio 2023

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Festival. L’Italia di come fummo, di come siamo e – volenti o nolenti – di come Sanremo. Nel Festival in cui nonostante gli sforzi le canzoni non sono ancora un intermezzo per tutt’altro ci sono scappati parecchi omaggi. Uno tra i tanti è toccato anche a Lucio Battisti. Si è così intonato (stonando in coro, ma chissenefrega) quel suo Canto Libero che ci mise un amen a farsi universale. Lucio Battisti – indegnamente etichettato come “un destro” perché stringeva i cuori anziché alzare i pugni - dovrebbero ripassarlo anche a sinistra. Dovrebbero fare ammenda (tardiva ma mai inutile) per quel vizio nefasto di dividere il mondo tra affini e opposti senza mai prendersi la briga di conoscere un poco più a fondo chi si incasella.

 

Ripassare Battisti (Lucio, non Cesare) farebbe bene soprattutto al Pd. Il partito (fa purtroppo rima con andato) di una sinistra che non è né dura né pura ma forse solo per questo ancora salvabile dall’anacronismo. Riascoltando Battisti il Pd potrebbe imparare che per generare popolarità, rispetto e affetto non si deve per forza fare sfoggio di arzigogoli verbali e di eccesso di intellettualismi. Se mai il Pd dovesse attrezzarsi a rivalutare quelle canzonette che hanno cambiato l’Italia più spesso e più profondamente di quanto non abbiano fatto partiti, governi e parlamenti, ecco un suggerimento. Il Pd si goda le Emozioni e non s’azzardi a togliere la “E”. Se così accadesse, infatti, uno dei ritornelli immortali dell’artista di Poggio Bustone diventerebbe “Tu chiamale se vuoi…Mozioni”. Sì, mozioni al posto di emozioni: quante volte ci è cascato e ci cascherà ancora il progressismo in regresso? Se diventi un mestierante della tecnica istituzionale, se aborri il sentimento, finisci come sta finendo il Pd.

 

Un partito senza spartito che si parla troppo spesso addosso perché ignora il linguaggio in uso fuori dalla propria fascia protetta. Che sarà mai sta stupidata del “seguir con gli occhi un airone sopra il fiume per poi ritrovarsi a volare”?  Vi pare che possa permettersi deroghe alla bulimia degli “articolati” e dei “dispositivi”? Sia il Pd nazionale che quello locale sono tanto felicemente quanto anonimamente concentrati sulle interrogazioni, gli ordini del giorno e, appunto, le mozioni. Roba che si produce al chiuso, che resta chiusa alla conoscenza dei più perché spesso nasce e muore dentro la noia della prassi istituzionale. Altro che emozioni. Invece, è proprio di emozioni (cioè di vicinanza, di relazioni, di frequentazioni non occasionali con i pensieri “non collimanti”) che il Pd ha un bisogno vitale.

 

Praticando l’emozione di abbandonare anche solo per poco (un’ora, un giorno, un mese, sempre) l’autoreferenza presuntuosa e antipatica il Pd potrà tentare se non di rinascere almeno di rallentare l’inesorabilità di trasformarsi in un “passato” che è già pericolosamente prossimo a diventare remoto. Chissà se il Pd accetterà mai il rischio di fare precedere le emozioni alle mozioni (svincolandosi dai riti congressuali di un congresso colpevolmente, nichilisticamente, fuori tempo massimo rispetto alla realtà, ai bisogni, alle attese. A tutto). Le emozioni rimandano alla semplicità: una “rivoluzionaria” (quella sì) semplicità di concetti e di pratiche. La normalità, questo si chiede. Normalità che renda meno alieno il Pd, la sinistra, un progressismo che non sia una di quelle facciate senza dietro nulla di Cinecittà. È urgente sperimentare l’emozione anche in maniera grezza. Purché ci si provi aprendo spazi non solo anagrafici ma soprattutto di idee (anche quelle sacrileghe). Basta con l’alibi paralizzante della teoria, dei progetti, dei percorsi che rinviano a “mai” un confronto senza rete con gran parte della società confusa su tutto e delusa da tutti.

 

Pane e salame emozionano più del sushi: ci ha mai pensato il partito degli avvitamenti? Ci si può emozionare anche scendendo nobilmente a patti con la propria cultura, i propri ideali e la propria intelligenza. Come? Evitando, ad esempio, di usare un’eventuale differenza intellettuale come una clava contro chi parla senza saper citare. Evitando, cioè, di misurarsi con chi se la prende con tutti senza fare distinzioni ma esprime comunque disagi conosciuti ma sottovalutati.

Ci si può (ci si deve) emozionare per rendere i diritti un sentimento collettivo anziché una litania di asettiche enunciazioni. Se l’empatia è solo una tecnica, il trucco sarà presto scoperto. Se fai politica “giudicando” la fai solo per te stesso. Certa sinistra della sicumera e dell’autoreferenza (quella che per dire “ciao” parte dagli Assiri e quando riesce a dire “ciao” l’interlocutore è già scappato altrove), sprofonderà sempre più. Chiedendosi, per altro, il perché senza darsi alcuna risposta.

 

Se l’empatia (almeno l’empatia, ma volendo anche l’umiltà) diventasse un po' alla volta un’identità della sinistra qualcosa – chissà – cambierebbe. Qualcosa, chissà, si recupererebbe. È tuttavia impossibile scindere l’empatia da una costante pratica dell’ascolto. I programmi sono carta da macero se prima non si è costruita la fiducia. Ma la fiducia è la più faticosa delle conquiste. La si avrà, forse, quando si incomincerà a scendere dal trespolo, quando non si imboccherà più la scorciatoia (anzi, il vicolo cieco) di dare del qualunquista ignorante (o fascista, o razzista) a chiunque non ti applauda “per partito preso” così come succede nei circoli sempre più ristretti, popolati (poco) da coloro che sono già convinti.

 

Il Pd, la sinistra, è chiamata ad aggiornare un progressismo “antico” tanto negli slogan quanto nei riti che altro non producono se non distanza. Andare a tempo con la realtà: eccolo il punto. Se a chi fa dal benzinaio il pieno di lacrime parli per giorni solo di Donzelli o Cospito sei a posto con la tua coscienza ma lui continuerà a maledirti come se al governo ci fossi ancora tu. Qui sta il punto: il tempismo. E il coraggio magari. Se il tema è la capacità di suscitare e condividere emozioni, di suscitare e condividere empatia, di resuscitare la fiducia va da sé che una svolta (ma ci si accontenterebbe di un freno alla discesa) c’entra poco (nulla) con il congresso di cui tutti parlano solo “dentro” il Pd. Ci sarà un segretario/a nuovo sia in Italia che in Trentino. Bonaccini, Schlein, De Micheli, Cuperlo, Dal Rì, Betta: a qualcuno toccherà. Ma a chiunque toccherà saranno gli stessi dolori della Lombardia e del Lazio (e di dove si voterà più avanti, Trentino compreso) se il Pd non imparerà presto che i dubbi valgono più delle certezze, che l’umiltà è il presupposto della fiducia, che il coraggio della chiarezza alla lunga paga.

 

E paga esserci nel bar, nel condominio, sul lavoro e perfino nel casino della movida. Esserci per avere gli occhi e le orecchie aperte, per imparare a condividere ma non in modo tragicamente virtuale. Devono cambiare i luoghi, i rituali, modi, i linguaggi e molto, ma molto altro. Tanto per dire è capitato di leggere ieri l’altro il post nel quale uno di quei padri del centrosinistra trentino che è già in Azione per decidere in un tavolo paleolitico chi dovrà sfidare Fugatti alle prossime provinciali si vantava di non aver visto nulla di Sanremo se non il bacio tra Fedez e Rosa Chemical (con relativo commento di sdegno). Ecco, continuate – voi “superiori” - a stare orgogliosamente all’opposto di dove sta l’Italia (che si divide ma col Festival fa ore piccolissime). Resistete pure alla realtà, interpretatela senza mai toccarla con le mani sporche, ma poi non lamentatevi se tra non molto saremo tutti Fratelli e Sorelle maledicendo i fantasmi perché da tempo abbiamo buttato lo specchio.

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