Centrodestra, e se la mossa a sorpresa fosse proporre ''il sindaco del giorno dopo''? Da Goio (che non è Adriano) all'illuminato Giacca quanta pochezza
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Fantapolitica. In epoca di Fantacalcio e Fantasanremo, ci sta. Se lo sbrindellato centro destra di Trento città avesse un asso (magari due) nella manica? Se fino ad oggi avesse praticato una melina, solo apparentemente stucchevole, perché sta meditando almeno un paio di colpi gobbi? Colpi capaci di abbassare il livello di sicumera dell’affollata “Ianeselli company” elettorale? Sappiamo della più imprevedibile e rivoluzionaria delle ipotesi: il candidato sindaco del “giorno dopo”. Il candidato del centro destra scelto il giorno dopo il voto previsto a maggio. Il motivo? Semplice. Se sei assente dalla battaglia elettorale non puoi nemmeno perdere. Una genialata.
Ma c’è anche il piano B. Un bi-piano che vola oltre l’immaginabile. La praticabilità è più complicata ma la creatività è al diapason. Trattasi di un ardito giochetto anagrafico. Tra le tante voci che si sono rincorse a destra, in una lucida corsa verso il precipizio elettorale, quella recentemente accreditata è la candidatura a prima cittadina di Ilaria Goio. Agli abitanti di Trento il cognome Goio richiama però un’epoca che provoca non poca nostalgia. La nostalgia di una politica abitata da personaggi di molte spanne sopra quelli che oggi animano oggi la scena. Una scena inanimata. Una scena miseramente carente di qualità ma onnipresente sui social media nell’illusione che un “mi piace” significhi consenso. Autorizzando, purtroppo, tonnellate di boria.
Adriano Goio è stato il sindaco che ha cambiato davvero la città, quello che le ha dato un centro invidiabilmente degno. Che cincischiando poco fece molto. Un sindaco spigoloso, agli antipodi dell’attuale piacioneria in auge a Palazzo Geremia. Va ricordato con stima ed affetto, Adriano Goio, ogni volta che si percorrono piazza Duomo, piazza Fiera, il giro al Sass e tutta la città restituita al bello da lavori lungimiranti nei fatti. Sì, fatti e non l’odierno stridore di mille progetti proiettati dall’ego in eccesso dentro un futuro indefinibile: cinquanta, cento, mille anni. Goio dunque. Nel nome di Goio – o meglio col cognome Goio – un centro destra che fino ad oggi ha recitato “Aspettando Godot” così come lo massacrerebbe la peggiore delle filo-drammatiche, potrebbe avere un guizzo. Una trovata. O una furbata: la furbata della disperazione.
All’ipotetica competitrice di Ianeselli, alla buona Ilaria Goio che solo per il fatto di accettare un probabile martirio andrebbe celebrata come un’eroina, dovrebbe suggerire che in campagna elettorale si faccia chiamare Adriana. Ma sì, Adriana Goio. La confusione – se lavorata con un minimo di arte – non è un reato. Qualcuno ci cascherà: è sicuro. Fantasia? Facezie? Stro…ate. Certo che sì. Ma visto quello che s’è dovuto vedere e sentire in questi mesi anche portare l’assurdo oltre il limite della decenza può perfino essere un atto rivoluzionario. A forza di strattonare l’elettrico ma poco elettrizzante Giacca (Mauro) il centro destra ha scientemente e masochisticamente scelto di brancolare nel buio. È la nemesi se si pensa che il sogno del centro destra era quello di affidarsi ad un imprenditore della luce.
Il suddetto Giacca è un Godot che se lo aspetti… campa cavallo. È noto per accendersi, (lui che guadagna con i fili elettrici) anche oltre misura. Ma non pare essersi mai acceso per la politica. Tantomeno per l’amministrazione pubblica. Se si scatena, Giacca lo fa per un fischio sbagliato dell’arbitro o per un commento sgradito di chi commenta le pluriennali delusioni di un Calcio Trento di cui è presidente. Una squadra che vorrebbe ma non è: quasi mai. Se Giacca fosse stato il presidentissimo di una squadra che fa gioire folle di tifosi, l’equazione tra personaggio e candidato sindaco avrebbe pure potuto funzionare. Ma il Trento Calcio è quello che è (e che purtroppo è quasi sempre stato). E, di più, il Giacca “tiene famiglia” (gli affari sono affari, ma meglio se incolori) e come la gran parte degli imprenditori di una terra piccola ma ricca deve aver intuito almeno l’importanza del parallelo tra politica e calcio: va bene tutto, ma non gli autogol.
Che poi Giacca non si è mai schierato: semmai lo hanno schierato, giocoforza. È un equidistante tanto disarmante quanto divertente che ha lasciato dire a tutti senza mai dire niente. Nulla che avesse a che vedere con la città, le sue delizie ma anche le sue croci. “Io voglio bene a Fugatti e voglio bene a Ianeselli” (che abbia capito quanto i due si vogliono bene tra loro?): così disse Giacca. Lui, esperto di luci sia soffuse che fluorescenti, non poteva che essere un abbaglio. Peccato, davvero un peccato. Fosse stato il candidato del centro destra, allora sì che ci si sarebbe divertiti nell’assistere a confronti dove Giacca si sarebbe financo sbaciucchiato con Ianeselli. E viceversa. Una campagna elettorale? Macché, al massimo una scampagnata tra amici: forzatamente ma disagevolmente avversari.
Archiviato Giacca – (ma cosa c’era da archiviare se la pratica non è mai stata davvero avviata?) – il centro destra fa perfino tenerezza nel suo affannarsi. Un affanno piuttosto malmostoso. I Fratelli sono ormai coltelli contro chi ha fatto perdere tempo (Patt e Lega). Probabilmente rammenderanno perché altro non possono fare. Ma saranno sarti dell’impaccio e del pasticcio: privi di ago e di filo. Ecco perché una candidatura dell’ultimissima e disperatissima ora – il centro destra dice domani, venerdì, ma non dice di quale anno – sarà un danno perché priverà la città (anche quella dei non elettori) di salute. La salute di un confronto “vero”. Non rituale, stantio, senza pathos. Trento – (città dove si sta bene ma che non è Bengodi se non nei post di Ianeselli che conoscono solo il suo immancabile primo piano) - un confronto serio tra ricette diverse se lo meriterebbe.
Ma il confronto non ci sarà per colpa grave di chi per cinque anni ha fatto opposizione guardandosi l’ombelico, trasformando così in giganti di governo anche gli gnomi. Le alternative però non si improvvisano, così come non si improvvisano i candidati. Ogni minoranza ha parecchio tempo – una legislatura - per “costruire” una figura spendibile e credibile, per farla conoscere, per renderla popolare e per dargli una chance. Se si riduce a muoversi oltre il tempo massimo non è politica: è autolesionismo. Oggi l’autolesionismo – nel capoluogo – pencola a destra. Ma non è che il centro sinistra possa dare lezioni. Per le ultime elezioni provinciali, quelle che hanno santificato il Fugatti bis, il centro sinistra ha raccolto inevitabilmente quello che non ha seminato per cinque anni: l’assenza di un progetto visibile e di un candidato presidente che fosse individuato e fatto apprezzare il giorno dopo la prima vittoria di Fugatti.
Va così. Andrà ancora così perché quando la politica vagheggia sul domani pensa ipocritamente solo all’oggi.
Certo, per come si è messa l’elezione del sindaco di Trento non attizza. Ed è probabile che l’esito già scritto smobiliterà tanti elettori dell’uno e dell’altro fronte. Altra, eventuale, sconfitta della città. Si obietterà che la pugna non è solo tra Ianeselli ed il/la competitore/ice ignoto del centro destra. Si obietterà – a ragione - che sono in campo anche due ex presidenti di circoscrizione, rispettivamente a capo di due liste fortemente critiche con l’amministrazione Ianeselli che per loro toppa nel merito (By pass, Funivia) ma soprattutto nel metodo (fastidio, ma col sorriso ironico, per ogni contestazione).
Messe assieme le due liste (Geat e Bortolotti) avrebbero potuto preoccupare l’armata schierata a sostegno del sindaco uscente? Numericamente è difficile. Ma sarebbe stato comunque un interessante segnale di novità. Di vivacità.
Niente da fare: Geat e Bortolotti – a tratti sovrapponibili nei loro argomenti – vanno al voto ognuno per proprio conto. Sarà dura, durissima, anche “fare un poco d’ombra” a chi, visto l’andazzo strambo di questa elezione, oggi è un Re Solo (in campo) che spesso si confonde. Tra Re Solo (in campo) e Re Sole in fondo c’è soltanto una vocale a fare la differenza.