Si abbassa il sipario sulla 79esima mostra internazionale di Venezia: tripudio per le donne. Il Leone d'oro assegnato a Laura Poitras
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
Non c’è due senza tre. Vince il cinema americano alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia ma per la terza volta il Leone d’Oro è una donna.
Dalle registe "leonesse" Chloè Zhao e Andrey Diwan (tra i giurati), quest’anno è ancora una donna, Laura Poitras - già Premio Oscar - ad alzare il Leone di Oro più prestigioso con “All the Beauty and the Bloodshed”.
Un documentario frenetico che vede l’artista contemporanea, fotografa, attivista Lgbt e videomaker cult Nad Goldin (un suo video ”Sirens” è pure alla Biennale d’Arte Venezia 2022) ripercorrere le vicende, i momenti salienti della lotta intrapresa contro la famosa famiglia Sackler, mecenati ma anche colossali produttori di farmaci, compreso un oppioide che ha causato quasi 500 mila morti per overdose.
Un film di denuncia che segna il secondo Leone d’Oro ad un documentario. Il primo nel 2013 il Gra di Gianfranco Rosi. Tempi lontani, perché quest’anno il cinema italiano non ha tanto convinto a Venezia. L’unico è Luca Guadagnino, italiano americanizzato, che vince il Leone d’Argento, premio alla Regia con il suo carnale “Bones and All”.
Il film vince anche il premio Mastroianni, per miglior attrice emergente Tylor Russell, la giovane protagonista che di fatto spiazza l’altro interprete della storia d’amore cannibale Timothèe Chalamet.
Ancora cinema al femminile con la regista Alice Diop, francese d’origini senegalesi, vince il Leone d’Argento e il Leone del futuro come opera prima, per il suo “Saint Omer”, per segnare la fiducia nei confronti del cinema che verrà.
L’Italia viene finalmente valorizzata con il Premio Orizzonti per la migliore attrice, a Vera Gemma, interprete di “Vera” della bolzanina Tizza Covi e dell’austriaco Rainer Frimmel (vincono anche il premio alla regia).
Una storia un po’ inventata e un po’ no. Vera, che non lascia mai il cappello da cow girl e vorrebbe assomigliare ad un transessuale, è figlia d’arte ma non vuole essere strumentalizzata. Una storia che viaggia tra realtà e finzione.
La vera amicizia con Asia Argento - altra figlia d’arte - la porta a duettare con lei in un canto popolare romano ed a riflettere su cosa vuol dire essere figlia-di. Gli eventi ci portano in modo leggero, a confrontare la Roma borghese, il mondo dello spettacolo, con la borgata ed il mondo dei sottoproletari pronti a tutto per poter sopravvivere.
La Mostra è finita ma il cinema non deve essere abbandonato. Quest’anno a Venezia si sono visti veri lungometraggi, durature corpose, impossibili da proporre ad un pubblico che va al cinema per distrarsi magari imparando, ma cineproduzioni che in realtà sono una strategia economica per massimizzare i proventi dello streaming. Perché i titoli vengono pagati per minuto visto.
Le sale poi se i film durano oltre i classici 120 minuti, ne possono proiettare di meno. Alcune produzioni poi potrebbero diventare una miniserie Netflix. Come “Bardo” di Alessandro G. Inarritu, film in concorso, 174 minuti, ne è un esempio.
Ma non tutto è perduto e per non far spegnere i proiettori delle sale cinematografiche è doveroso citare alcuni pregiatissimi lavori visti a Venezia.
Opere come “Monica” di Andrea Pallaoro, 113 minuti, oppure “The Whale” di Darren Aronofsky, 117 minuti, che richiedono il grande schermo per le scelte stilistiche dei registi.
O le commedie francesi come “Les enfants des autres” di Rebecca Ziotowski, 104 minuti, dove i sorrisi solari di Virginie Efira si amplificano se proiettati su vasti spazi.
Non facciamo chiudere le sale cinematografiche, valorizziamo le eccellenze.