Pinocchio non deve morire. Un film fermo nei secoli per asseverare il senso del dovere e del perdono e restituirci la magia della fiaba
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
“Un ragazzino perbene”, è la seconda versione di Collodi. Pinocchio, 1881, una storia a puntate che il creatore Collodi fa terminare con l’impiccagione di Pinocchio ad una quercia, per opera del gatto e la volpe.
Ma Pinocchio non può morire. Si cambia la trama e nel finale diviene un bambino. La versione di Matteo Garrone, il pluripremiato regista romano, rispetta la seconda edizione, in tutta la sceneggiatura e nelle ambientazioni.
Dalla Toscana, dove vive Geppetto e si forma Pinocchio (probabilmente il paese di Collodi), alla Puglia dove il mare fa da protagonista con il pescecane ma anche il tonno, al Lazio con il paese dei balocchi e l’omino di burro (Nino Scardina).
Le scenografie curate da Dimitri Capuani fanno onore al libro più illustrato del mondo. Tanti i riferimenti a Carlo Chiostri ed Enrico Mazzanti che lavorarono con Carlo Collodi. I Macchiaioli avevano e hanno ispirato i colori delle scenografie.
Il movimento artistico nato alla metà dell’Ottocento abbandona la pittura accademica utilizzando un linguaggio realista. Firenze è proprio il centro di incontro fra artisti, patrioti, intellettuali governata dall’illuminato Granduca di Toscana.
Si accentua il contrasto fra luce ed ombra e si rappresenta la realtà con macchie di colore che rafforzano le immagini. Giovanni Fattori ne è il massimo esponente ma pure Silvestro Lega o Telemaco Signorini.
Un’atmosfera resa sempre più empatica grazie agli interventi dell’equipe di esperti come il Prosthetic makeup designer Mark Coulier, due volte premio Oscar (ha lavorato anche con Harry Potter).
Il designer dice ”Creare il make up di Pinocchio per questo ragazzo di 8 anni, sottoponendolo a così tante ore di trucco (pare più di quattro al giorno), non è stato semplice. Federico Ielapi è stato una superstar anche in questo. Federico, nonostante la sua giovane età, ha già recitato con Checco Zalone e Giovanni Veronesi.
Gli attori stupiscono nelle loro trasformazioni. Mangiafuoco (Gigi Proietti), il gatto (Rocco Papaleo) e la volpe (Massimo Ceccherini) sanno impaurire. Il gorilla-giudice (Teco Celio) che condanna gli innocenti, fa emergere l’animo furbo di Pinocchio.
La parte femminile, la lumaca (Maria Pia Timo), la fata da piccola (Alida Baldari Calabria) e la fata adulta (Marina Vacth), mostrano il lato buono, che purtroppo non è umano. Il grillo parlante (Davide Marotta) ne è un esempio.
Non tutti ce la fanno, Lucignolo (Alessio di Domenicantonio) no; non sempre le esperienze negative temprano e fanno crescere. Roberto Benigni, che si ritrova nuovamente coinvolto nella storia di Pinocchio (il suo risale al 2002, fedele al romanzo) è senza maschere, un falegname fallito forse perché onestissimo che vuole riscattarsi con la "creazione" del figlio. Ma insegnare non è semplice, Pinocchio non ascolta. Geppetto, dopo le vicissitudini note, vorrebbe restare rinchiuso nel corpo del pescecane che sembra una grande rana pescatrice.
L’arrivo del figlio è liberatorio per i due. Geppetto non sa nuotare, Pinocchio lo salverà, con l’aiuto del tonno. Da marionetta é diventato un ragazzo perbene Pinocchio, sfidando più volte la tragedia. Un film fermo nei secoli, che coinvolge bambini ed adulti, per asseverare il senso del dovere e del perdono e restituirci la magia della fiaba.