Ma cosa vuol dire vivere nei luoghi di pena? Con ''Grazie ragazzi'' un attore si dedica ai carcerati
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
La cronaca vede il carcere in primo piano: 41 bis da abolire o no. Ma cosa vuol dire vivere nei luoghi di pena? Cosa pensano e che potenziali hanno quelli che devono occupare quegli oscuri luoghi per lungo tempo, a volte per sempre? Può succedere che un attore, in modo altruistico, voglia trasmettere le sue competenze ai detenuti? “Grazie ragazzi”, il divertente film di Riccardo Milani cerca di affrontare questi temi con gli occhi di Antonio Albanese.
Antonio è un attore che da anni non frequenta più il palcoscenico, per sopravvivere deve fare il doppiatore di film a luci rosse. La sua vita solitaria in periferia, è una noia mortale, la figlia poi, lavora in Canada.
Una storia triste che viene ravvivata dalla proposta del suo egocentrico amico Michele, Fabrizio Bentivoglio. Lui lavora in un piccolo teatro romano e presenta un progetto di laboratorio teatrale con la Casa Circondariale di Velletri dove un attore in carcere va a insegnare ai detenuti come si recita.
Antonio, non molto convinto, accetta pur scoprendo che dovrà mettere in scena in poche ore una piece con tema una fiaba. I carcerati coinvolti sono quattro, cinque con l’inserviente romeno (grande interpretazione di Bogdan Lordachoiv realmente romeno) che fa il suggeritore.
Il lavoro va avanti bene e viene riproposto un altro testo da Antonio: “Aspettando Godot” di Samuele Beckett, un mito del teatro dell’assurdo. Lui l’aveva interpretato tanti anni prima proprio con Michele. La direttrice Laura, la splendida Sonia Bergamasco, comprensiva e progressista, accetta. Ci sarà una sostituzione imposta da Diego, Vinicio Marchioni, il leader del carcere.
Il gruppo dei cinque funziona e s’impegna sempre di più, ottimi i risultati. La compagnia sarà richiesta in alcuni teatri italiani. Il film è un remake di “Un Triomphe” di Emanuele Courcol del 2020 tratto dal documentario “Les Prisoners de Beckett” di Michka Saal, del 2005. E’ una storia vera avvenuta in Svezia negli anni ottanta, in un carcere di massima sicurezza dove l’attore Jan Jonson ha realizzato questo progetto che gli ha cambiato la vita.
La pena diviene un modo di educare ed elevarsi culturalmente per ritrovare se stesso. Già in altri film abbiamo visto affrontare questo tema come in “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani. Sostiene Milani: “Credo che la cultura sia una delle emergenze del paese”. “Grazie ragazzi”, un cinema popolare che emoziona per scavare nell’animo umano e mettersi in gioco.