L'Africa che cambia tra ritratti, usi e costumi e provocazioni, ''Ritratti africani'': sguardi sorprendenti in mostra a Trieste
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
"Che nulla è il bello, se non l’emergenza del tremendo", dalle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke. Bello e tremendo come gli sguardi in mostra in “Ritratti Africani. Seydou Kita, Malick Sidibè e Samuel Fosso.
Più di cento opere dei più significativi fotografi africani in esposizione a Trieste, al Magazzino delle Idee, fino all’11 giugno. Il Magazzino delle Idee, polo culturale nato con il recupero complessivo degli edifici del fronte porto, è in corso Cavour 2, vicino al centro cittadino e alla stazione. Nelle ampie sale i tre artisti che hanno esposto nei grandi musei del mondo, trovano spazio per narrare l’Africa che cambia.
Il primo, Seydou Keita, ci stupisce con una foto molto grande in bianco e nero. Un uomo sorridente, seduto con un chiaro vestito a strati, ci guarda tenendo in braccio una piccolissima bimba. Keita nasce a Bamako capitale del Mali negli anni venti, inizia a fotografare nel trentacinque e nel quarantotto apre uno studio di fotografia. Nel 1962 l’artista inizia a lavorare per il governo del Mali finalmente indipendente. Morirà a Parigi nel 2001.
I ritratti in mostra sono tutti senza titolo e raccontano la vita della gente africana, gli usi e costumi alla fine degli anni Quaranta o negli anni Cinquanta. Dolcissimo lo sguardo delle due bimbe, forse gemelle, sedute su una sedia troppo grande per loro. Oppure una donna sdraiata che viene vivacizzata dalla geometria tipicamente africana sulla parete che contrasta con il vestito e la coperta sul divano.
Rigorosamente in bianco e nero anche il secondo fotografo Malick Sidibè più giovane, del 1936. Il fotografo nasce a Soloba a 300 chilometri da Bamako. Probabilmente sarà entrato in contatto con Keita, il taglio dei ritratti è più moderno, meno rigido, lui morirà a Bamako nel 2016. Sidibè impara a fotografare grazie al fotografo francese Gerard Guillat ed apre lo studio fotografico a Bamako nel 1962.
L’artista ha come soggetti oltre ai ritratti anche i balli nelle serate locali. Interessante il ritratto, profilo in mezza figura, di Mlle Kante Sira e le danze scatenate in “Regardez – moi” del 1962.
Di un’altra generazione Samuel Fosso, nasce in Camerun nel 1962. Dalla Nigeria nel '72 l’artista si trasferisce a Bangui capitale della Repubblica Centraficana dove inizia a conoscere la fotografia. Già a tredici anni apre uno studio, il suo soggetto è se stesso. Per rassicurare sulla sua salute, dice, la nonna rimasta in Nigeria.
Provocatorio Fosso ci mostra il suo trasformismo nel susseguirsi di immagini a colori e in bianco e nero. Con sfondi contrastanti il verde fa esplodere il rosso del vestito e degli scacchi anche bianchi di un telo sul pavimento. Un’ironia che mette in luce il tacco dodici che il fotografo con disinvoltura indossa. Titolo “Le femme libere americane dans Les ammes” 1997/2003.
Gli autoritratti si spingono oltre con “Angela Davis. Auto Portrait from The serie African spirits” del 2008. Una ricerca che vede la società africana evolversi velocemente e sottolinea gli stereotipi dell’Africa, visti con gli occhi dell’Occidente.