Il ritorno di Casanova: l'ultima opera di Salvatores. Il regista si mette a nudo nei tanti temi che affiorano nella pellicola
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
Casanova un mito indiscusso. Dai numerosi libri anche attuali come “I maccheroni di Casanova” di Giovanni Ballarini ai parecchi film, tutti immortalano la sua fama. A partire dal costoso kolossal non americano “Casanova”, il più grande della storia del cinema muto, diretto da Alexandre Volkoff, 1927.
Il regista Gabriele Salvatores (premio Oscar per “Mediterraneo”) nato a Napoli ma milanese d'adozione, mette sul grande schermo “Il ritorno di Casanova”, liberamente tratto dal libro di Arturo Schnitzler scritto nel 1918. Il film evocativo, sembra collegato da un fil rouge che va da “Il Casanova” di Federico Fellini a “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick.
L’attualità è data da un montaggio efficace (Julien Panzarasa) che mixa le due storie parallele, quella di Casanova che fugge dal carcere dei Piombi e quella di Leo Bernardi, acclamato regista cinematografico anch’egli sessantenne, incapace di terminare la sua opera perché in crisi amorosa.
In un susseguirsi di differenti generi, a cui siamo abituati conoscendo Salvatores, le scene a colori quelle settecentesche, diventano rigorosamente in bianco e nero per mostrare il reale dove si si svolge la vita di uno scapolo incallito. Fughe, tradimenti, inganni, duelli che vedranno Fabrizio Bentivoglio sfidare il giovane rivale; (i due completamente nudi come diceva il libro) scene viste in sala montaggio che lasciano il regista indifferente.
Sarà il montatore (valido Natalino Balasso), unico amico rimasto a Leo, a restargli sempre vicino. Leo (interpretato da uno splendido Toni Servillo) è disperato. Vive in una casa tecnologica che va in tilt come lui.
Il robot aspirapolvere (indovinata la scena) si aggira tra le fredde stanze del suo asettico appartamento ed esprime la profonda solitudine di un regista illustre, staccato dalla vita normale e dai sentimenti veri. Leo è proiettato verso la professione che lo celebra. Tante le aspettative. Il suo film dovrebbe partecipare alla Mostra del Cinema di Venezia.
C’è tanta competizione nella sua vita, con i giovani registi lui cova un’arroganza ridicola. Ma un casuale incontro con una giovane e bella contadina che guida un trattore cambia la sua esistenza. Parallelamente Casanova deve fare i conti con le sue prestazioni che non sono più quelle di una volta. C’è la bella Marcolina (Bianca Panconi) che glielo fa notare con lo sguardo tagliente. Leo è più fortunato, Silvia (Sara Serraiocco) lo ama ma l’innato egocentrismo e la differenza di età lo frenano. Il decadimento fisico, la paura di invecchiare e le competizioni con i giovani sono i temi che affiorano.
“Il medico mi aveva dato quattro anni di vita” dice Salvatores. Ma per fortuna non è andata così e Gabriele ha potuto fare il regista, la professione che più ama "E' un film a cui tengo molto, perché per la prima volta parlo di me”. Si respira un’aria familiare tra gli attori (ci sono anche Ale e Franz irriconoscibili). Un’amicizia che va oltre lo schermo come quella di Bentivoglio, presenza più volte consolidata nei lavori di Salvatores, capace di mettere a nudo anche il regista.