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''Avremo anche giorni migliori'', opere di Zehra Dogan dalle carceri turche

La mostra a Brescia è divisa in sezioni: “le macchie” dove affiora un immaginario simbolico; la “figura femminile” tra un corpo singolo e una collettività; la “rappresentazione politica”, con scene di guerra e forme femminili e per ultimo “dopo l’esperienza in carcere”
DAL BLOG
Di Alda Baglioni - 30 dicembre 2019

Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore

Parlare non basta”. Lo dice Zehra Dogan, la fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha”. Dalla performance organizzata alla Tate Modern di Londra, città in cui l’artista ha pensato di vivere il proprio esilio, si realizza a Brescia la prima esposizione delle sue opere.

 

L’occasione l’ha data la partecipazione di Zehra al Festival della Pace organizzato dalla Provincia e dal Comune di Brescia. La curatrice Elettra Stamboulis ha realizzato un percorso espositivo che riunisce 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori con tecniche miste.

 

Si tratta dei lavori eseguiti nel periodo della detenzione di Zehra nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove l’artista è stata rinchiusa per più di due anni. L’accusa: propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquerello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco.

 

Si vuole raccontare con parole e immagini, utilizzando i pochi materiali a disposizione, la propria condizione di donna dietro le sbarre

 

La mostra è divisa in sezioni: “le macchie” dove affiora un immaginario simbolico; la “figura femminile” tra un corpo singolo e una collettività; la “rappresentazione politica”, con scene di guerra e forme femminili e per ultimo “dopo l’esperienza in carcere”.

 

La Dogan (nata a Diyarbakir nel 1989) è stata scarcerata il 24 febbraio 2019 ed è tra i primi giornalisti internazionali ad aver raccolto le testimonianze delle donne Yazide scampate all’Isis. Una storia che ha emozionato artisti come il cinese Ai Weiwei e il misterioso Banksy che le ha dedicato un lavoro a Manhattan.

 

Vari i materiali utilizzati da Zehra: carta di giornale, pacchetti di sigarette, pezzi di tessuto e di indumenti intimi, realizzati con disegni a matita, penna, inchiostro, vernice,caffè, sangue mestruale, prezzemolo. Il ricamo di un’opera diventa la decorazione di un viso che innalza una mano.

 

Un’immersione nel mondo isolato di donne che raccontano storie universali. Bisogna fermarsi ed osservare per capire le immagini che scorrono e diventano ali di libertà in lontananza. Figure ricche di simbolismo dove la denuncia si impone fortemente. Nella mente Pablo Picasso e Guernica, nel cuore la libertà delle donne.

 

La mostra è stata sostenuta dal web magazine Kedistan (il Paese dei gatti), che ha curato il salvataggio e il trasporto delle opere di Associazione Mirada. Il Comune di Brescia e della Fondazione Brescia Musei diretta da Stefano Karadjov propongono per la prima volta in Italia nel Museo di Santa Giulia a Brescia, la personale dell’artista curda.

 

La mostra è aperta al Museo di Santa Giulia (ne vale un viaggio), via Musei 81/b Brescia fino al 6 gennaio 2020. Info: tel 0302977833-834 - mail: santagiulia@bresciamusei.com

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