Lo spot di Nike sembra comunicare che per vincere bisogna annullare se stessi. Francesco Puppi: "Celebrare anche le difficoltà rende il messaggio più autentico e vicino alle persone"
"Mi piacerebbe vedere più spesso una narrativa che mostri tutte le sfaccettature del percorso di un atleta, non solo la perfezione apparente del momento del successo".
Il mondo del trail running (e non solo), negli ultimi giorni, ha visto svilupparsi un interessante dibattito a partire dalle dichiarazioni di uno dei suoi principali protagonisti: Francesco Puppi, tra i trail runner più noti a livello internazionale, sia per i successi sportivi, sia per la propria attività di divulgazione connessa al mondo dello sport e dell’ambiente
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il mondo del trail running (e non solo), negli ultimi giorni, ha visto svilupparsi un interessante dibattito a partire dalle dichiarazioni di uno dei suoi principali protagonisti: Francesco Puppi, tra i trail runner più noti a livello internazionale, sia per i successi sportivi, sia per la propria attività di divulgazione connessa al mondo dello sport e dell’ambiente (l'anno scorso è stato ospite del nostro podcast: qui la puntata).
L’atleta infatti non solo cura un podcast mensile intitolato “Any Surface Available” in cui ci aggiorna sul mondo della corsa in lingua italiana, produce contenuti sul trail running in lingua inglese su diverse piattaforme, ha co-fondato la Pro Trail Runners Association, che oltre a lavorare sulla professionalizzazione del trail running, si prende cura della sostenibilità dello sport e delle sue competizioni. Un impegno, quello per l’ambiente, che Francesco mette in pratica anche in numerose altre forme: come membro di Protect Our Winters Italy, partecipando a eventi di divulgazione, non perdendo mai l’occasione per ricordarci che tutti possiamo fare la nostra parte e soprattutto per sfruttare il proprio seguito mediatico per parlare di temi complessi e urgenti come la crisi climatica.
Francesco Puppi, che dedica buona parte della sua vita a correre e pedalare “su qualsiasi superficie disponibile” a partire dal commento sullo spot pubblicitario "Winning is not for Everyone" condiviso da Nike in occasione delle Olimpiadi di Parigi, ha sollevato una riflessione cruciale: è davvero necessario sacrificare tutto per vincere?
Attraverso i suoi canali social, Francesco ha condiviso il proprio disagio nei confronti di una narrativa che insiste su concetti come l'ossessione, la prevaricazione e l'aggressività come chiavi per il successo nello sport.
“Lo sport ad alto livello non deve essere associato a un annullamento della persona - ha spiegato -. Ognuno può utilizzare l’approccio che ritiene più opportuno, ma non ritengo il sacrificio e l’annullamento di sé stessi gli unici modi per raggiungere un obiettivo sportivo”. Secondo l’atleta, la narrazione più diffusa dello sport agonistico rende il sacrificio totalizzante e necessario: “Lavorare duramente per un traguardo va bene, ma non a costo di perdere la nostra identità e umanità”.
“Soprattutto, per me e credo per la nuova generazione di atleti, come si è visto alle Olimpiadi di Parigi, lo sport non è una questione di vita o di morte - spiega -. Un percorso sportivo può essere interpretato in molti modi, tutti ugualmente degni e interessanti, non solo in una visione binaria di vittoria-sconfitta. Invece sembra che vincere, inteso come eliminazione definitiva dell’avversario e dominio supremo su se stessi e sugli altri, sia l’unica cosa che conti, anche ad alto livello”.
Francesco, con il suo approccio trasparente e umano, rappresenta un modello alternativo per il mondo dello sport. Attraverso i social media, condivide non solo i momenti di gioia e i successi, ma anche i dubbi, le difficoltà e le giornate storte. “Credo sia importante mostrare che nessun percorso è lineare o perfetto - ha sottolineato -. Vorrei valorizzare una dimensione più vicina all’essere umano, rendendo normale il fatto che anche gli atleti abbiano paure, problemi e momenti di vulnerabilità”.
Questa visione contrasta con una narrativa mainstream che spesso celebra un’idea di successo legata al “whatever it takes”, al sacrificio totale, e alla negazione di qualsiasi fragilità. Puppi invita a un cambiamento: “Dovremmo smettere di insistere su una narrativa aggressiva e imparare a essere più gentili con noi stessi e con gli altri. Lo sport è una metafora della vita, e il vero traguardo è trovare un equilibrio tra impegno, consapevolezza e rispetto”.
Venendo allo spot che si è fatto punto di partenza di questa riflessione, Francesco commenta: “I valori negativi dello spot associati al successo per me non sono valori che portano realmente al successo, quello vero, ma fanno parte di una visione retrodatata e miope di cosa serva veramente per vincere, che ha creato una cultura, attorno allo sport e alla performance, così pervasiva che facciamo fatica a prenderne distacco, che ha prodotto molto dolore e disagio nelle persone”.
Il problema sta proprio nel messaggio lanciato dallo spot, ovvero che è necessario sacrificare ogni cosa in nome di un obiettivo supremo: vincere. E questo, commenta: “Non è quello che voglio fare, non è quello che serve davvero per avere successo - lo dimostrano le storie di moltissimi atleti -, non è quello che vorrei che il brand che rappresento (o qualsiasi brand) comunicasse al mondo”.
Al contrario, si tratta di una narrativa che porta molte persone a sentirsi inferiori (perché “winning is not for everyone”) rinforzando una cultura aggressiva e repressiva dei bisogni, delle emozioni e della persona. “In questa narrazione io non ci sto - commenta -, io non riesco a sacrificare tutto per vincere o diventare la miglior versione di me stesso. Farlo in una gara è molto semplice, basta stringere i denti per due, cinque, dieci ore, ma farlo di ogni giorno della mia vita, non ne sono capace e non sono disposto a farlo, anche perchè non serve ed è più funzionale un altro approccio, più umano, empatico, gentile. Credo che questa cosa valga un po’ per tutti”.
Secondo Puppi, le aziende e le istituzioni sportive hanno una responsabilità fondamentale nel proporre modelli che riflettano la complessità e l’autenticità del percorso sportivo. “Mi piacerebbe vedere più spesso una narrativa che mostri tutte le sfaccettature del percorso di un atleta, non solo la perfezione apparente del momento del successo” ha detto. “La strada verso il traguardo è fatta di alti e bassi, e celebrare anche le difficoltà rende il messaggio più autentico e vicino alle persone”.
Il messaggio di Francesco si fa ancora più forte alla luce del legame tra sport e giovani. “Che esempio vogliamo dare ai ragazzi?” si chiede. “Vincere non significa sacrificare la propria umanità e gentilezza. Al contrario, il vero campione è colui che sa navigare le difficoltà, rispettare se stesso e gli altri, e accettare la propria vulnerabilità.”
In un periodo storico in cui lo sport può rappresentare un potente mezzo educativo e di ispirazione, la testimonianza di Francesco diventa un punto di riferimento.
Le montagne, con la loro bellezza e le loro sfide, ci offrono il palcoscenico ideale per una narrativa diversa: quella di uno sport che celebra la gioia, la condivisione e il rispetto, senza perdere di vista la dimensione umana che ci accomuna tutti. In fondo, come le montagne stesse ci insegnano, la vera forza sta nell’abbracciare la complessità del percorso, un passo alla volta.