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Lo stesso dislivello dell'Everest in bicicletta, ma tra le montagne di casa: "L'esotico è dietro e dentro di noi"

Negli ultimi decenni, si è diffusa nella percezione comune la convinzione che la lontananza amplifichi il valore esperienziale del viaggio. Così capita sempre più spesso di conoscere nel dettaglio località molto distanti e di sentirsi estranei a casa propria. Ed è un peccato, perché conoscere è il primo passo per affezionarsi e affezionarsi è il primo passo per rispettare il territorio e le persone che lo abitano

di
Pietro Lacasella
31 ottobre | 18:00

Negli ultimi decenni, si è diffusa nella percezione comune la convinzione che la lontananza amplifichi il valore esperienziale del viaggio. Questa percezione ovviamente ha delle fondamenta concrete, perché la ragione principale che spinge il viaggiatore a levare le ancore è il desiderio di vivere contesti diversi dal proprio (sia dal punto di vista culturale, sia da quello naturalistico-ambientale) e, ovviamente, più chilometri si percorrono e più diventa semplice respirare l’atmosfera di alterità tanto bramata.

 

Ma non è sempre così: a volte, per stupirsi, è sufficiente curiosare tra i luoghi “di casa”, o comunque prossimi a casa, spesso trascurati proprio per il meccanismo percettivo appena descritto: sono appunto troppo vicini per catturare la nostra attenzione.

 

Così capita sempre più spesso di conoscere nel dettaglio località molto distanti e di sentirsi estranei a casa propria. Ed è un peccato, perché conoscere è il primo passo per affezionarsi e affezionarsi è il primo passo per rispettare il territorio e le persone che lo abitano.

 

A partire da queste considerazioni negli ultimi anni ho deciso di viaggiare quasi esclusivamente all'interno del territorio in cui sono cresciuto e dove tutt'oggi abito. 

 

L'ultima esperienza ha preso forma in più tappe. L'idea è nata all'improvviso, mentre scrutavo l'orizzonte da un punto panoramico che si trova a breve distanza da casa: attraversare (o comunque sfiorare, come nel caso del Pasubio) in bicicletta i principali gruppi montuosi che posso osservare affacciandomi dalla finestra. Dal Monte Grappa a est, fino alle Piccole Dolomiti a ovest, passando per l'Altipiano dei Sette Comuni, il Summano e il Novegno. 

 

Al fine di dare una forma al carattere liquido delle idee germinali, a volte è necessario darsi delle regole. Così mi sono imposto di muovermi sfruttando unicamente i pedali. Se da un lato questa scelta ha eliminato la socialità dei mezzi pubblici, dall'altro il lento progredire ha acuito gli occhi e più in generale i sensi. 

 

Mi ha offerto la possibilità di osservare i territori della quotidianità attraverso una nuova prospettiva. Un afflato esotico a pochi chilometri da casa che permette di scoprire un luogo nella sua interezza, assorbendo le infinite trasformazioni che caratterizzano il paesaggio.

 

Il paesaggio, in fin dei conti, non è altro che il risultato di un centenario dialogo tra società e ambiente. Negli elementi che lo caratterizzano, più o meno antichi, si riflette un particolare sistema interpretativo del mondo. Provare a leggerli è un passo importante per imparare a comprendere chi ci ha anticipato, ma anche e soprattutto il nostro presente.

 

Il viaggio è durato quattro giorni, sviluppandosi per 558 chilometri tra monti e valli, altopiani e pianura, contrade minute e poli industriali ciclopici, boschi e pascoli. Tuttavia, più che i chilometri, a stupirmi è stato il dislivello finale: 8702 metri. "Quasi come l'Everest", mi sono detto un po' incredulo a esperienza conclusa, pur consapevole che il paragone non regge: non solo per un discorso altimetrico, ma soprattutto perché si tratta di un confronto improprio considerato che, per respirare una sana sensazione di spaesamento e novità, non sono stato costretto a prendere voli intercontinentali. Dopo questa esperienza si è quindi rafforzata una convinzione: l'esotico è dietro e dentro di noi. 

 

Per dare corpo alle mie affermazioni, riporto un'interessante riflessione di Matteo Melchiorre, custodita nel libro La Via di Schenèr:

 

"Avrei voluto dire al mio amico che Negrelli, il 23 dicembre 1785, andò da Feltre in Primiero in 15 ore. E che il nostro comune amico Turibio, la settimana scorsa, è andato da Venezia a Parigi con un'ora e 45 minuti di volo. Qual è il viaggio più lungo? Il viaggio più viaggio? Quello di Negrelli o quello di Turibio?
Avrei dunque voluto dire anche questo all'amico: ogni epoca ha i suoi orizzonti, e la gran parte dei viventi si trattiene in essi. Soltanto gli eroi, i grandi intellettuali, gli assetati di spirito o gli affamati di pane possono avere il coraggio di infrangerli. Al tempo di Marco Polo, Erasmo da Rotterdam, di Elizabeth Marsh, di Phileas Fogg, di mio nonno Vittorino che andò in Somalia, superare gli orizzonti significava spingersi al di là delle montagne, al di là delle pianure, al di là del mare. Ma al giorno d'oggi?
Oggi abbattere l'orizzonte comune non può che significare l'astensione dal movimento a oltranza, scoprire il Borneo non dico dentro di noi, ma in quegli infiniti spazi che ci stanno accanto, e da cui la vita umana, per effetto della storia, si è ritirata come una marea".

l'autore
Pietro Lacasella

Antropologo e scrittore interessato ai contesti alpini. Nel 2020 inizia a curare il blog Alto-Rilievo / voci di montagna. Ha lavorato per il Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua. Ha riorganizzato e curato i contenuti della testata online del Club alpino italiano Lo Scarpone. Oggi collabora con Il Dolomiti curando il quotidiano online L’AltraMontagna. Ha pubblicato Sottocorteccia, un saggio-diario sull’emergenza bostrico scritto a quattro mani con Luigi Torreggiani. Ha curato Scivolone olimpico, un volume sulla vicenda della pista da bob in programma di realizzazione a Cortina.

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