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Gli itinerari de L’AltraMontagna: sulle creste e tra i laghi dei Monti Sibillini

Un lungo e grandioso anello alla Cima del Redentore, seconda elevazione dei Sibillini dopo il Monte Vettore, tra lunghe creste e specchi d’acqua

di
Luigi Dodi
19 luglio | 13:48
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

È mattina presto, e per le vie del piccolo borgo di Foce non c’è in giro nessuno. Mi sono mosso dalla costa che era ancora buio, anche perché spero di rientrare presto. Lo spero, perché il giro che voglio fare non è corto. E nemmeno banale. Quindi supero le case, parcheggio, e dopo aver fatto scorta d’acqua mi incammino senza perdere tempo. La mia destinazione, i 2448 metri della Cima del Redentore, la intuisco là sopra, in fondo alla stretta valle che penetra in questo angolo di Monti Sibillini, sul confine tra Marche e Umbria. Alla mia destra, oltre il crinale, si apre la grande Piana di Castelluccio, che mi accompagnerà quando sarò sulle creste. Più a est, invece, il Monte Vettore, 2476 metri di quota, cima più alta dei Sibillini e di tutto il territorio marchigiano. E poi i Laghi di Pilato, i caratteristici specchi d’acqua a forma di occhiali adagiati in un’antica conca glaciale alla testata della valle, alimentati solo dalla fusione delle nevi e dove vive il Chirocephalus marchesonii, uno gamberetto endemico di questi laghi, che curiosamente nuota a pancia in su. E ancora, le leggende che aleggiano su queste montagne, i cambiamenti climatici che ne minacciano gli ecosistemi, gli eventi tellurici… Basta, basta! Sto pensando troppo, non fa mai bene iniziare un’escursione con troppi ragionamenti, troppi pensieri, troppe aspettative. Devo lasciare che sia il corpo, per primo, a entrare in contatto con l’ambiente circostante. A partire dalle gambe, che sono ancora un po’ intorpidite dopo tanta macchina, e hanno bisogno di scaldarsi, di prendere il ritmo, insieme al fiato. Via, camminare, non pensare. Andiamo!

 

Dalla valle alle creste
Seguo la comoda sterrata, la pendenza è davvero modesta. Intorno i ripidi versanti, con modeste fasce boschive alla base, salgono ai crinali soprastanti. Mi godo il paesaggio, i ripiani di pascoli, un leggero vento che si incunea nella valle, salendo verso l’alto. La prima parte è davvero rilassante, facile, e la severità del luogo produce un bel contrasto con la serenità del cammino. La strada si restringe man mano che procedo, superando una fascia boscata, fino a diventare un buon sentiero che risale, ora più ripidamente, il tratto conosciuto come Le Svolte, dove la valle si restringe e supera un gradino. Sono nella porzione superiore, con il solco che si fa più stretto, la vegetazione sparisce, e procedo sull’evidente traccia in costante salita tra i prati. Vedo chiaramente, in alto a destra, la possente mole del Redentore, mia meta di oggi. Per raggiungerlo, ho deciso di compiere un lungo giro. E infatti al bivio poco più avanti abbandono la traccia principale, in direzione dei Laghi di Pilato e che seguirò per la discesa, per volgere a destra e seguire il sentiero che, tagliando tutto il ripido versante verso nord, tra prati e pendii detritici, mi deposita al valico di Forca di Viola (1936 m). Una pausa è d’obbligo, affacciandosi sulla vasta Piana di Castelluccio a ovest, mentre dalla parte opposta si vede chiaramente tutta la dorsale che sale al Monte Vettore. Pausa finita, devo rimettermi in marcia, la strada è ancora lunga. Riprendo il cammino e, verso nord, restando prima sul versante umbro di Castelluccio, poi sul filo dell’aerei e facile crestone erboso, passo appena sotto il Quarto San Lorenzo (2247 m), poi dalla Cima dell’Osservatorio (2350 m), con la sua piattaforma dove sarebbe dovuto nascere, appunto, un osservatorio astronomico, e con un’ultima salita sono sui 2448 metri della Cima del Redentore, grandioso pulpito panoramico su tutti i Sibillini, proprio di fronte al Vettore, ma anche verso la Majella, il Gran Sasso e tutta l’infinita serie di cime e dossi di questa porzione di Appennino. Osservo il vicino Pizzo del Diavolo, collegato al Redentore da un’esile ed esposta crestina, che si protende a est proprio sopra i Laghi di Pilato. Per un attimo sono tentato, molto tentato… Poi mi concedo una sosta più rilassante e panoramica, seppur breve, e decido che preferisco rimettermi in cammino per completare il mio anello, senza divagazioni. Sarà per la prossima volta!


I Laghi di Pilato, dominati dalla Cima del Diavolo. © Francesco Gasparetti

Tra gamberetti e leggende
Segue verso sud la facile dorsale che passa dalla Cima del Lago (2422 m), poi dalla Punta di Prato Pulito (2373 m), che chiude a meridione il circo glaciale con i Laghi di Pilato. Lo spettacolo è sempre grandioso, non riesco a smettere di guardarmi intorno, in ogni direzione. In un attimo calo a est alla Sella delle Ciaule (2240 m), dove sorge il rifugio Tito Zilioli, unica struttura in quota di questo settore, di proprietà del Cai di Ascoli Piceno. In realtà si tratta di un bivacco, o meglio, un rifugio non gestito, che va prenotato in anticipo e, prima di salire, bisogna passare a ritirare le chiavi. Nel 2016, con il terremoto, è stato dichiarato inagibile, ma è poi stato completamente ristrutturato nel 2020, tornando fruibile da escursionisti e alpinisti. Si trova sulla via di accesso più facile e comoda al Monte Vettore, che si alza imponente a breve distanza, lo si vede chiaramente in cima al crestone. Altra tentazione… Ma oggi va così, decido di risparmiarmi l’ascesa alla massima vetta umbra (dove peraltro ero già stato), e mi butto a capofitto verso nord, sull’esile traccia, segnata da una fila di ometti, che scende il ripido versante erboso. A capofitto si fa per dire, perché poco dopo servono molta prudenza e una discreta esperienza per superare alcuni passaggi non banali su roccette (il tratto, non a caso, si chiama proprio così: Roccette), dove serve usare le mani per disarrampicare. Una discesa rapida, che in breve mi porta alla conca con i bellissimi Laghi di Pilato. Quando sono al massimo della loro capienza, i due specchi d’acqua sono collegati da una sorta di istmo, disegnando una sagoma di occhiali, ma oggi sono ormai ridotti ai minimi termini. La colpa non è solo delle scarse precipitazioni (i laghi sono alimentati solo dallo scioglimento delle nevi), ma anche dal terremoto, che modificando le faglie sotterranee ha cambiato la permeabilità del sottosuolo. Peccato, e non solo per l’aspetto paesaggistico, ma anche per il povero chirocefalo del Marchesoni, che ha bisogno proprio dell’acqua per vivere. Per fortuna le suo uova riescono a resistere a lungo anche con la siccità, schiudendosi appena i laghi tornano a riempirsi. Giro intorno ai due piccoli bacini (l’Ente Parco, pur non avendo interdetto l’area agli escursionisti, chiede di non compromettere questo prezioso e delicato habitat, quindi mi limito a osservarlo dalle sponde), scrutando le rive alla ricerca di un gamberetto. Niente, nemmeno l’ombra. Forse sono nascosti sotto i sassi, pronti per la notte. In effetti mi rendo conto che è pomeriggio inoltrato, e forse conviene che torni verso il basso. Un ultimo saluto al Vettore, ai Laghi di Pilato, con le leggende che li attorniano (si narra che qui in queste acque sia custodito il corpo di Ponzio Pilato condannato a morte da Tiberio), e riprendo il sentiero verso il basso che mi riporta sul percorso del mattino, e giù fino all’auto.

 

 

IL PERCORSO
Regione: Marche
Partenza: Foce (959 m)
Accesso: l’area si può raggiungere da molte direzioni, ma in ogni caso bisogna poi salire ad Amandola, procedere per Montefortino e Montemonaco, da dove si sale fino al minuscolo borgo di Foce
Arrivo: Cima del Redentore (2448 m)
Disilvello: 1750 m
Durata: 8/9 h
Difficoltà: EE (escursionisti esperti)

 

Immagine di apertura: la Cima del Redentore (2448 m) dalla Piana di Castelluccio. © Eric Huybrechts

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