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Gli itinerari de L’AltraMontagna: sul tetto della Sardegna

Sulla Punta La Marmora, massima elevazione dell’isola, cima iconica e selvaggia, dove respirare la rarefatta aria mediterranea.

di
Luigi Dodi
07 giugno | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

È la vetta più alta dell’isola sarda. Basterebbe questo – quantomeno ai collezionisti di cime – per desiderarne l’ascesa, la conquista. Ma una montagna così non la si conquista, e forse nessuna montagna andrebbe conquistata. Le cime si salgono, si esplorano, si vivono, si assaporano. A maggior ragione quelle “lontane”, geograficamente e culturalmente. Come lo può essere una montagna in mezzo al mare. Che poi il mare, dalla Punta La Marmora (1834 m), anche se capita di vederlo in lontananza, è lontano, fisicamente e, appunto, culturalmente. Terra di pastori e di fiere tradizioni, di natura aspra e selvaggia spazzata dal vento e cotta dal sole, il complesso montuoso del Gennargentu è un territorio splendido per camminare, dove “perdersi” tra boschi centenari e aspri versanti, seguendo antichi tracciati e scoprendo angoli e prospettive sempre nuovi, a volte sbalorditivi. E tra tutte le possibilità, la salita a questa cima è tra le più belle. Il suo nome, in lingua sarda, è Perda Carpìas, roccia spaccata, e rimanda alle rocce scistose che la compongono, con la tendenza a frantumarsi. L’oronimo La Marmora, invece, proviene dal generale, naturalista e cartografo Alberto Ferrero della Marmora, che descrisse l’isola in due compendi di carattere scientifico, ma con un’evidente chiave letteraria, scritti nel 1826 e nel 1860. E che misurò l’altezza della cima che ora porta il suo nome. I tempi sono cambiati da allora, ma la montagna è sempre la stessa, e per raggiungerne la cima si può partire da diversi punti. Il più classico è Bruncu Spina, dove aleggia ancora l’avventura di un piccolo comprensorio sciistico, ma poiché ci piace provare cose sempre nuove, decidiamo di partire da S’Arena, aggiungendo un po’ di dislivello a una prospettiva leggermente diversa.


Alla partenza dell’itinerario.

Pendii solitari e archi sardi
Ecco Fonni, uno dei paesi alle falde della montagna, da dove proseguiamo verso Desulo, altro abitato che si lega a doppio filo con la Perda Carpìas. Ignoriamo la deviazione per Bruncu Spina, e poco oltre svoltiamo a sinistra, seguendo le indicazioni per il rifugio S’Arena. Arrivati a destinazione, avendo letto la parola “rifugio”, ci si potrebbe aspettare un grande parcheggio, un edificio accogliente, con dei gestori pronti a rifocillare turisti ed escursionisti, e a dispensare consigli e racconti sulla grande montagna. Scopriamo invece, con una certa dose di piacere, che l’edificio è completamente chiuso, e che al piccolo parcheggio stazionano solo un paio di auto. Intorno non si vede anima viva. La giornata inizia nel migliore dei modi. Iniziamo a camminare seguendo la sterrata dietro il “rifugio”, la vegetazione è quasi del tutto assente, solo qualche leccio proietta una modesta ombra sul terreno, dove riposano alcune capre incuriosite dal nostro passaggio. La carrareccia termina, e proseguiamo sul sentiero (è il n° 721 del Club alpino italiano), chiaramente segnalato dai classici bolli bianchi e rossi. Camminiamo spediti, la pendenza è modesta, l’aria fresca. Il vento inizia a farsi sentire, una brezza sostenuta per ora, ma ci accorgeremo più avanti che la formula “creste spazzate dal vento” non vale solo sulle Alpi, anzi… In breve raggiungiamo la sella di Arcu Artilai (1660 m), che si apre tra la dorsale principale sopra di noi e una sua breve diramazione orientale. Il sentiero prosegue sotto la cresta, con un lungo traverso e continui saliscendi, ma vinti dalla curiosità di vedere subito “cosa c’è sopra”, come spesso ci accade, abbandoniamo la traccia principale e con una ripida salita siamo sul Bruncu Spina (1828 m), grande spallone erboso dove stazionano alcune antenne. Affacciandosi a nord si notano i resti del comprensorio sciistico, e fai un po’ fatica a immaginare gli sciatori intabarrati che inanellano curve sulla neve di questi pendii solitari. Alzando lo sguardo, invece, una sequenza di piani si allunga all’orizzonte, con i rilievi bianchi del Supramonte a chiudere la visuale.

 

Sulla cresta
La piacevole brezza che ci ha accompagnato finora, con qualche raffica più forte che alzava la polvere, si è ora trasformata in un vento teso, forte, che spazza la grande cresta sommitale. Ci accompagnerà fino alla meta. Riprendiamo il cammino, rapiti dai grandi spazi che si aprono su entrambi i versanti. Il sentiero è evidente, sale e scende assecondando il terreno, poi volge a sud e passa appena sotto la Punta Paulina (1792 m), quindi cala più ripidamente al valico di Arcu Gennargentu (1659 m), dove ci riuniamo al sentiero principale. La nostra cima pare vicina, ma dobbiamo ancora salire, riprendere quota, percorrendo una pietraia sul versante orientale che ci conduce direttamente sull’ultimo valico della giornata, la Genna Orisa (1782 m). Riprendiamo a salire, il vento sembra rinforzare, quasi a volerci tenere lontani dalla cima. Incrociamo cinque escursionisti che stanno scendendo, in una scena che ha del surreale: un cenno di saluto col capo, un abbozzo di “Salve!” che viene letteralmente inghiottito dal vento; una frase di risposta altrettanto incomprensibile. Ci guardiamo per un attimo, ridiamo divertiti dalla situazione, e ci facciamo vicendevolmente cenno che forse ci rivedremo più in basso. Forse. E finalmente la cima, siamo sul tetto della Sardegna. Ci guardiamo intorno, l’aria è tersa e lo sguardo si perde in lontananza, fino al mare. Vorremmo rispettare le tradizioni, tirare fuori dallo zaino la cartina e individuare almeno qualche cima, qualche valle, i paesi in lontananza. Ma sarebbe impossibile, il vento la porterebbe via con sé. Vorremmo mangiare qualcosa, scambiare quattro parole, commentare l’escursione e la vista. Rimaniamo invece immobili, in piedi, in silenzio, con lo sguardo nel vuoto. Converrebbe scendere, ma restiamo lì ancora un po’, fermi, ad assaporare il vento che ci sferza, i sapori mediterranei dell’alta quota sarda. Uno strano stato di trance isolano, dal quale ci riprendiamo dopo un tempo indefinito, che ci è parso lunghissimo. Ripercorriamo i nostri passi senza parlare, all’Arcu Gennargentu optiamo per il sentiero “basso”, che taglia il versante a sinistra della cresta, dove il vento cala leggermente. Passiamo dai ruderi del rifugio La Marmora, ignoriamo il sentiero che scende verso il basso e proseguiamo in salita, superando uno dei tanti solchi umidi dove dimorano gli ontani neri, unica specie arborea capace di stare quassù. Superiamo la fonte di Is Bidileddos, con tavoli e panche, ripassiamo dall’Arcu Artilai e ci dirigiamo verso l’auto. Il vento è sparito, e non ce ne siamo quasi accorti.

 

IL PERCORSO
Regione: Sardegna
Partenza: parcheggio di S’Arena (1510 m)
Accesso: da Fonni o da Desulo
Arrivo: Punta La Marmora (1834 m)
Disilvello: 500 m in salita, 150 m in discesa
Durata: 2 h e 30 min/3 h
Difficoltà: E (escursionistico)

 

Immagine di apertura: Punta La Marmora (1834 m) dall’Arcu Gennargentu. © Laurent Dupont

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