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Gli itinerari de L’AltraMontagna: il circuito del Nabois Grande, nelle Alpi Giulie italiane

Un bel circuito sul versante settentrionale del Jôf Fuart, nelle Alpi Giulie italiane, tra i boschi e gli aspri paesaggi rocciosi cantati da Julius Kugy

di
Luigi Dodi
12 luglio | 12:18
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Il mio primo incontro con il Jôf Fuart era avvenuto quasi casualmente, da Venezia in attesa di un treno per Vienna. Con l’amico che era con me, complice il caldo agostano della Laguna, decidemmo di concederci due giorni di frescura prima di spostarmi in terra asburgica. Perché non prendere il treno da Gemona, invece che da Venezia, dopo un giro sulle Alpi Giulie? Senza cartine, senza Google Maps (i bei tempi in cui si dovevano consultare gli atlanti stradali, seguire le indicazioni lungo la via e, soprattutto, chiedere informazioni!), feci affidamento alla mia memoria e alle mie letture: Julius Kugy, le Alpi Giulie, il Montasio, il Fuart… Se da Chiusaforte saliamo a Sella Nevea, dovremmo trovarci tra Canin e Fuart, c’era un rifugio da quelle parti… Arrivati al valico tra Val Raccolana e Valle del Predil, beviamo un caffè al rifugio Divisione Julia, dove parte la funivia che sale sul Canin. Raccogliamo qualche informazione: la nostra destinazione è il rifugio Corsi, ai piedi meridionali del Jôf Fuart e della Madre dei Camosci, e lo raggiungeremo da qui, per il Passo degli Scalini. È pieno agosto, eppure quella notte, al Corsi, siamo i soli a pernottare. Il mattino dopo saliamo ai 2666 metri della cima del Jôf Fuart (il ruvido ma disponibilissimo gestore Cristiano ci presta due caschetti, fornendoci anche le raccomandazioni del caso). Senza vedere granché, visto che da metà salita siamo avvolti dalle nubi. Passano gli anni, e torno da quelle parti, questa volta per alcune salite su roccia tra Riofreddo e Fuart. Al Corsi, dove ritrovo Cristiano, siamo ancora gli unici a pernottare, e durante una giornata di pausa dalle scalate, mi regalo un’altra salita al Fuart (questa volta con tempo sereno), concedendomi anche la stupenda traversata alla Forcella Lavinal dell’Orso con il Sentiero Anita Goitan. Ecco, il versante meridionale del Fuart comincio a conoscerlo, ma dalla parte opposta? Là dove sale la mitica via di Kugy della Gola Nordest, e dove corre la altrettanto mitica Cengia degli Dei, la Via Eterna. Ecco perché, dopo qualche anno ancora, mi ritrovo a Valbruna per salire in Val Saisera. Non ho velleità alpinistiche, è autunno, i colori sono meravigliosamente caldi e contrastati, e voglio solo concedermi una bella escursione. Che questa volta ho però studiato preventivamente sulla carta.


Il rifugio Pellarini (1499 m), tra gli ultimi alberi ai piedi nordorientali del Jôf Fuart. © Hermann Schmitz

All’ombra dei Camosci
Lascio l’auto al parcheggio – deserto – della Val Saisera, quello contrassegnato con il numero “2” (se li hanno numerati, posso immaginare che in piena estate l’affollamento non sia indifferente) e mi incammino seguendo le chiare indicazioni per il rifugio Pellarini (il segnavia è il n° 616), ignorando la traccia verso il Monte Lussari. Attraverso il torrente Saisera e seguo la comoda pista forestale che, dopo un tratto in falsopiano, inizia a salire nel bosco. I colori accesi dei faggi e degli abeti rossi creano un contrasto notevole con le rocce sullo sfondo e il cielo, oggi di un blu intenso. La salita prosegue dolcemente sulla sterrata, la vegetazione si dirada leggermente, permettendomi interessanti scorci su quella che intuisco essere la mole del Nabois Grande, alla mia destra. Sto costeggiando il rio Zapraha, quasi non mi accorgo di salire, di essere passato da una strada forestale a una mulattiera, poi a un sentiero, più ripido, che con un lungo diagonale passa sotto pareti verticali. Ignoro a sinistra il sentiero n° 617, che sale alla Sella Prasnig, e in ambiente più aperto, tra mughi e larici, raggiungo il rifugio Pellarini (1499 m), già chiuso per la stagione invernale, mentre davanti si dipana la bastionata di rocce verticali che dalle Vergini, passando per la Cima di Riofreddo e le Madri dei Camosci, arriva fino al Jôf Fuart. Uno spettacolo, che resto in silenzio a contemplare. Ecco l’altro versante del Fuart, quello che ancora non conoscevo. Anzi, uno di quelli che non conoscevo, perché questo è il versante nordest, per vedere anche quello nordovest devo proseguire nel mio anello.


La Sella Nabois (1970 m), con il sentiero di salita dal rifugio Pellarini. A sinistra si alza il Jôf Fuart, sulla destra il Nabois Grande. © bbk

Nei silenzi del Jôf Fuart
Mi rimetto in cammino, il segnavia è ancora il n° 616, impossibile sbagliare. Procedo verso ovest, salgo tra i mughi, con le pareti che si avvicinano, quindi rimonto faticosamente il pendio detritico che mi deposita alla Sella Nabois (1970 m), aperta tra il Nabois Grande e il Jôf Fuart. Poco prima del valico, avevo notato la traccia che si stacca a destra: conduce, con alcuni tratti non banali e in parte attrezzati, sulla cima del Nabois Grande (2301 m), da dove sarei potuto tornare al Pellarini con il Sentiero alpinistico Gasparini – Florit, ma nonostante la tentazione, decido di restare fedele ai miei programmi, chiudendo l’anello sulla Val Saisera. Dal passo mi si offre una nuova visuale, con di fronte la grande bastionata del Montasio. La discesa percorre un ripido canale di ghiaie e rocce instabili, una delle caratteristiche di queste montagne, poi traversa una sorta di balconata rocciosa, che si apre sulla ripida parete del Fuart, passando anche per l’ormai piccolo nevaio perenne conosciuto come Studence. Alcune spalle e canali detritici, con diversi saliscendi, e raggiungo il dosso erboso dove sorge il piccolo bivacco Mazzeni (1630 m), appena discosto dal sentiero. Nonostante la quota relativamente bassa, l’ambiente è davvero maestoso, solitario, selvaggio. Mi concedo un’ultima pausa, immerso nel silenzio, ammirando le pareti circostanti e la Val Saisera, giù in basso. Mi rendo conto di non aver visto alcun camoscio, molto presenti su queste montagne. Mi guardo intorno, cerco con lo sguardo tra le rocce e più in basso nei canali e tra i mughi, ma niente, nessuna presenza animale. Mi consola sapere che sicuramente loro hanno visto me. Riprendo il cammino, scendo a nord il ripido sentiero con strette svolte, passo dalla conca della Bassa Spragna e, nel bosco, vado ad attraversare il grande alveo detritico del torrente Saisera. Rieccomi nella civiltà, sulla pista forestale che mi conduce alla Malga Saisera (1004 m). Mi volto indietro per un ultimo sguardo al Montasio, al Fuart, a quel mondo segreto e aspro di rocce, prima di affrontare gli ultimi 3 chilometri sulla strada che mi riporta al punto di partenza.

 

 

IL PERCORSO
Regione: Friuli – Venezia Giulia
Partenza: Val Saisera (860 m)
Accesso: con la A23 si risale la Val Canale in direzione di Tarvisio (confine di Stato), si esce a Malborghetto – Valbruna, superando quest’ultima e risalendo la Val Saisera fino al parcheggio per il rifugio Pellarini (indicazioni)
Arrivo: Sella Nabois (1970 m)
Disilvello: 1400 m
Durata: 7/8 h
Difficoltà: E (escursionistico)

 

Immagine di apertura: la bastionata del Montasio (sulla destra) che procede a sudest (verso sinistra nell’immagine) con la dorsale di Terrarossa, per unirsi poi con il complesso del Jôf Fuart. © Sirleonidas

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