Gli infortuni possono trasformarsi in opportunità? Di sicuro aiutano a cambiare cromia a un mondo che rischia altrimenti di diventare monocromo
(L'Editoriale) A volte, per stupirsi, è sufficiente curiosare tra i luoghi “di casa”, o comunque prossimi a casa, spesso trascurati: sono appunto troppo vicini per catturare la nostra attenzione. Così capita sempre più spesso di conoscere nel dettaglio località molto distanti, e di sentirsi estranei a casa propria. Ed è un peccato, perché conoscere è il primo passo per affezionarsi e affezionarsi è il primo passo per rispettare il territorio e le persone che lo abitano
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Gli infortuni possono anche rivelarsi ottime opportunità, aiutando a cambiare cromia a un mondo che rischia altrimenti di diventare monocromo. E questo rischio io l'ho sfiorato per anni.
Ero così appassionato di arrampicata da dedicarle, con routinaria devozione, buona parte del mio tempo libero. Poi, sul più bello, è arrivato l'infortunio. Uno di quelli infidi che vincolano senza tuttavia causare troppo dolore. E così una caparbia tendinite mi accompagna da oltre un anno, impedendomi di salire con la necessaria leggerezza.
Dopo uno sconforto durato circa un anno, dopo averle provate tutte per aggiustare la mano malconcia, ho deciso di riavvicinarmi a una vecchia passione sportiva, la bicicletta. Una passione che in realtà non era mai tramontata perché, quando potevo, cercavo di coprire gli avvicinamenti alle pereti a colpi di pedale: per questioni etico-ambientali, ma anche e soprattutto perché trovo sia un modo per arricchire ulteriormente l'esperienza. Unire bicicletta e arrampicata è estremamente divertente.
È bastato qualche giro per scoprire (o, meglio, riscoprire) che appena oltre i confini verticali delle pareti; un po' più in là di liste, buchi e tacche, esistono paesaggi policromi, che hanno preso forma proprio da una millenaria e affascinante storia di reciproche interazioni tra uomo e ambiente. "Paesaggi culturali", li chiamano gli antropologi e i geologi, e in sella a una bicicletta è possibile attraversarli, insieme al loro progressivo mutare.
È un modo di viaggiare che può anche non piacere, questo è certo, ma indubbiamente offre una dimensione più completa del territorio e delle sue infinite declinazioni.
Proprio durante una delle mie ultime scorrazzate in bicicletta è nato in me un pensiero che si è presto trasformato in convinzione: negli ultimi decenni, si è radicata nella percezione comune la certezza che la lontananza spaziale amplifichi il valore esperienziale del viaggio. Questa percezione ovviamente trova delle fondamenta concrete, perché la ragione principale che spinge il viaggiatore a levare le ancore, a partire, è il desiderio di vivere contesti diversi dal proprio (sia dal punto di vista culturale, sia da quello naturalistico-ambientale) e, naturalmente, più chilometri si percorrono e più diventa semplice respirare quell’atmosfera di alterità tanto inseguita, tanto bramata.
Ma non è sempre così: a volte, per stupirsi, è sufficiente curiosare tra i luoghi “di casa”, o comunque prossimi a casa, spesso trascurati proprio a causa di quel meccanismo percettivo appena descritto. Sono appunto troppo vicini per catturare la nostra attenzione.
Così capita sempre più spesso di conoscere nel dettaglio località molto distanti, e di sentirsi estranei a casa propria. Ed è un peccato, perché conoscere è il primo passo per affezionarsi e affezionarsi è il primo passo per rispettare il territorio e le persone che lo abitano.