Migliaia di cimeli abbracciano la storia dello sci da fine Ottocento a oggi: il museo che non ha mai visto la luce
Entrare nel museo "non museo" della famiglia Zanni è un'esperienza impagabile. Sergio, classe 1934, a Piandelagotti gestiva una bottega che vendeva e riparava sci; l'attività commerciale è cessata ma, al suo interno, sono conservati reperti che consentono di ripercorrere oltre un secolo di sci alpino e nordico. Nel 2004, in occasione dei campionati italiani di sci di fondo, venne presentato il "museo storico dello sci". Passato il clamore dell'evento agonistico, però, il progetto finì nel dimenticatoio
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
All'Abetone il progetto non è rimasto solo su carta: il museo dello sci lo hanno fatto davvero. Con il risultato che oggi, a quasi quattro anni dall’inaugurazione, la struttura non solo registra visite e ingressi numericamente interessanti ma si amplia pure di nuovi spazi e nuove collezioni. Insomma, chapeau. Le istituzioni pubbliche hanno fatto la loro parte, come pure, immaginiamo, i privati. Seduti intorno a un tavolo, quando c’è la volontà, gli accordi si trovano.
Fare memoria delle tradizioni, in fondo, è uno di quegli asset immateriali e intangibili che in montagna, più che altrove, dovrebbe essere tenuto in grande e speciale considerazione.
Dall’Abetone spostiamoci di 30 chilometri, cambiamo versante, regione e provincia, rimanendo sull’Appennino tosco-emiliano per fare raffronti omogenei. Dopo un’ora scarsa di strada si arriva a Piandelagotti (Modena). Qui, in potenza, si sarebbe potuta impiantare (e raccontare) un’altra storia di successo, in tutto simile a quella che è sbocciata nel paese di Zeno Colò. Eppure dopo 20 anni suonati di conciliaboli e cogitabonde elucubrazioni, un patrimonio documentario di analoga imponenza probabilmente non vedrà mai la luce.
Lo sa bene Sergio Zanni, classe 1934. Fino a 24 anni fa a Piandelagotti gestiva una bottega (come ama definirla lui) che vendeva e riparava sci. Oggi quei locali ci sono ancora, l'attività commerciale nel frattempo è cessata ma, al suo interno, conservati con una meticolosità degna di un archivista medievale, ci sono duemila pezzi che diventano dieci mila se si considera l'attività di catalogazione e sistematizzazione ancora da compiere.
Nel 2004, complice l'evento di risonanza nazionale dei campionati italiani assoluti di sci di fondo che quell'anno si tennero in Alta Val Dragone, era stata pensata una sorta di anteprima per la presentazione del "museo storico dello sci" di Piandelagotti. La sede temporanea di questo museo, disposta su tre piani, doveva essere la bottega di Sergio. Passato il clamore dell'evento agonistico, però, anche il progetto museale finì nel dimenticatoio.
A richiesta precisa e circostanziata, ancora oggi Sergio e suo figlio Francesco accolgono informalmente, e con grandissima gentilezza, chiunque. All'ingresso sono necessari rigorosamente due biglietti: passione e curiosità.
Nel 2017, per dire, è salito fin qui il campione di ciclismo Francesco Moser. Ma a Sergio non piace vantarsene. "In Italia", dicono padre e figlio, "un vero e proprio museo nazionale legato allo strumento sci non esiste. Ed è un peccato. Qualcosa che si avvicina alla nostra collezione c'è a Stia, in provincia di Arezzo, a Opi, vicino all'Aquila, e da qualche anno all'Abetone. Francia e Germania da questo punto di vista sono lontani anni luce, lì sì che c’è una cultura museale sviluppata su questo tipo di collezioni".
Entrare nel museo "non museo" della famiglia Zanni è un'esperienza impagabile. Cronologicamente con i reperti in mostra si abbraccia oltre un secolo di sci alpino e nordico, a partire dalla fine dell'Ottocento. Ci sono sci e scarponi completi di attacchi, galosce e stivali, i primi rudimentali utensili usati per la sciolinatura, ma anche articoli di giornali d'epoca, fotografie, manifesti, locandine di gare e campionati passati, premi e cimeli appartenuti a personaggi sportivi del calibro di Zeno Colò.
Sergio oltre che per questa collezione da Guinness è conosciuto anche per essere un raccoglitore di mirtilli. Sono tanti quelli che ancora oggi, ogni anno in agosto, vengono su dalle città di pianura per comprarglieli. "Lo faccio da tantissimi anni", si schermisce. "Un tempo sufficiente per conoscere ogni cosa di questa bacca: dove cresce, quanto resiste, come lavorarla e a che prezzo venderla".
Indagare i motivi che stanno alla base del mancato accordo tra le diverse amministrazioni comunali, che in oltre 20 anni si sono succedute, e la famiglia Zanni non è nostro precipuo compito. Così come non può essere scontato che l’idea originaria del museo sia ancora attuale e soprattutto fattibile.
Di una cosa però siamo certi: da meri fruitori e appassionati della cultura delle terre alte non è accettabile che un tale patrimonio di conoscenza vada disperso. Fare tesoro della vicina esperienza dell’Abetone, forse, sarebbe un buon punto di partenza.