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Cultura

Il bosco può salvarci la vita? "La stanza accanto" di Pedro Almodóvar non è solo un film sull’eutanasia, ma anche sul rapporto tra noi e la natura

Una particolare opera architettonica è protagonista di uno dei film più importanti del 2024: "La stanza accanto" di Pedro Almodóvar, pellicola vincitrice del Leone d'oro per il miglior film all'ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia. Si tratta di una casa nel bosco ed è un’occasione per riflettere sul nostro rapporto, da ripensare, con l’ambiente naturale

di
Mauro Varotto / Luigi Torreggiani
14 gennaio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Interno giorno. Due donne di mezza età entrano in un’ampia stanza che piano piano, mentre le tende si alzano, viene invasa da una luce calda che le accarezza, strappando loro un sorriso. Filtra da enormi vetrate, che invitano tutti noi spettatori ad estraniarci, almeno per pochi attimi, da una trama dolorosa, che ci sta mettendo di fronte, da ormai diverse decine di minuti, a uno dei più grandi rimossi della società moderna: la morte.

 

Dalle grandi finestre si osserva il profilo di un bosco, una pineta: tronchi dritti, bruno-grigiastri, chiome di un verde scuro, ma brillante, mosse da una leggera brezza. È come se un sospiro di sollievo invadesse la sala buia del cinema: ecco la vita, tutt’attorno alla casa dove Martha ha deciso di morire.

 

La successiva inquadratura ribalta la prospettiva: viste dall’esterno, in controluce, le figure delle due donne si trasformano in ombre appena percettibili, mentre la vetrata riflette la bellezza delle forme e dei colori della foresta. Il bosco, così, non appare soltanto come una cornice, diventa parte integrante della narrazione. Invade i muri, le stanze e le stesse protagoniste della scena, assumendo prepotentemente un ruolo centrale nella storia. Un bosco in netta antitesi con i palazzi e le strade di New York osservati fino a quel momento. Una natura lontana, a cui ritornare prima dell’ultimo respiro.  

La stanza accanto (The Room Next Door) è l’ultimo film del regista Pedro Almodóvar, ispirato dal romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez. Si tratta del primo film in lingua inglese del cineasta spagnolo, pellicola che ha vinto il Leone d'oro per il miglior film all'81a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Ingrid (Julianne Moore), famosa scrittrice, reincontra in ospedale dopo tanti anni l’amica e collega Martha (Tilda Swinton), ex giornalista-reporter, affetta da un tumore in fase avanzata. Quando Martha scopre di avere solo qualche mese di vita, confida a Ingrid di voler assumere una pillola illegale per morire in pace, prima che gli effetti della malattia degenerino sul suo corpo. Chiede così all’amica di esserle vicina in questo percorso, vivendo con lei, durante i suoi ultimi giorni, in un luogo isolato sulle montagne.

 

Il film è ambientato negli Stati Uniti e Martha cita esplicitamente la zona di Woodstock (un paese delle Catskill Mountains, a nord di New York, reso famoso dall’iconico festival hippy del 1969) quando annuncia a Ingrid di aver trovato il luogo prescelto. Ma in realtà la casa (e il bosco) in cui sono state girate le scene si trovano in Spagna, vicino a Madrid.

La casa è “Casa Szoke”, architettura modernista progettata dallo studio madrileno Aranguren e Gallegos, che si erge sulle pendici meridionali del Monte Abantos, a San Lorenzo de El Escorial. L’area forestale nelle vicinanze è il “Bosque de La Herrería”, collegato al vicino Real Monasterio de San Lorenzo de El Escorial. Monastero e palazzo reale del XVI secolo sono patrimonio dell’Unesco dal 1984, mentre il bosco è un’area protetta europea.

 

“La decisione di realizzare l'intero rivestimento esterno della casa in acciaio corten favorisce l'intenzione di fondere l'architettura con l'ambiente circostante, fatto di esili pini i cui tronchi sono dello stesso colore dell'acciaio arrugginito”, hanno spiegato su Archiportale.com i progettisti di Casa Szoke. “In contrasto, lo spazio interno acquisisce una tonalità calda, dove le pareti rivestite in legno di quercia continuano a parlare della foresta, ma in modo astratto, con i tronchi diventati piani che costruiscono le pareti. Il mondo esterno e quello interno si fondono e sono messi in relazione da un sottile piano o da un filtro di vetro che li avvicina e li riflette”.

 

Questa casa nel bosco (e in parte fatta di bosco) ricorda per molti aspetti la famosa “Casa sulla cascata” di Frank Lyord Wright, progettata nel 1936 e ubicata, questa sì, negli Stati Uniti. Una costruzione altamente iconica, diventata un simbolo dell’architettura organica che, come sottolinea Marco Paci, professore di Ecologia forestale all’Università di Firenze nel saggio “L’uomo e la foresta”, rappresenta “la via d’uscita dal grande paradosso dell’era post-industriale: una natura estranea alla società occidentale”.

 

Ed è forse proprio questo ciò che cerca Martha nei suoi ultimi giorni di vita: tornare a sentire la natura come parte di sé stessa, e viceversa. Lo si percepisce nitidamente in una scena del film in cui la donna, pur con grandi difficoltà, prova a camminare tra gli alberi, accasciandosi poco dopo al suolo. Un momento di debolezza che si trasforma, poeticamente, in una riconnessione fisica, materica, con la terra del bosco e le radici degli alberi.

Il paradosso di cui parla Paci è indubbiamente uno dei temi del film, anche se, ovviamente, gli argomenti portanti e più discussi attorno alla pellicola sono la libertà di scelta relativa al fine vita, il giudizio e l’incomprensione verso chi decide di compiere un percorso complesso come quello della protagonista. Ma se gli ultimi giorni di vita di Martha fossero stati ambientati nella sua casa di New York, il film avrebbe assunto un’atmosfera completamente diversa.

 

Il rapporto da ripensare tra esseri umani e natura è centrale nella sceneggiatura del film (scritta anch’essa da Almodóvar). Non a caso, anche il tema del cambiamento climatico trova posto più volte nei dialoghi. Sembra che, attraverso la scelta di Martha di morire sulle montagne e la decisione di ambientare il film a Casa Szoke, il grande cineasta spagnolo abbia voluto aggiungere un significato ulteriore, uno strato narrativo aggiuntivo, per dare un senso ancora più ampio e profondo a questa pellicola già densissima di contenuto.

 

Ma la natura non è fatta solo di poetici raggi di sole che illuminano le fronde dei pini e che scaldano il cuore, né di radici degli alberi che si aiutano a vicenda, lo sappiamo bene. Osservando con angoscia le recenti immagini di Los Angeles, con le ville nelle vicinanze del bosco avvolte dalle fiamme devastanti del grande incendio che ha investito la California, viene proprio da ripensare, per contrasto, a quella casa del film, a quel senso di pace che Martha, appena prima del suo ultimo respiro, esprime fissando in camera, verso noi spettatori, con alle spalle la pineta di Casa Szoke.

Nella favolistica, come nella realtà, la casa immersa nel bosco è tutt’altro che un luogo irenico: come ci insegna tutta la produzione dei fratelli Grimm, la foresta è spesso utilizzata come metafora dell'ignoto e del pericolo. Le foreste per millenni sono state considerate luoghi selvaggi, densi di incognite e difficili da attraversare. E gli “incendi di interfaccia” californiani, come il bosco che avvolge molte contrade abbandonate delle nostre Alpi, svelano ancora oggi il volto ambiguo di un’eccessiva vicinanza alla foresta. Una completa immersione nella natura, senza difese, non ha niente di irenico, allo stesso modo in cui un eccessivo distacco da essa può farci impazzire.

 

Allora quella vetrata filmata magistralmente da Almodóvar, in cui la casa, il bosco e le protagoniste si fondono insieme, in realtà è anche un diaframma, ed è forse la metafora più potente della “terra di mezzo” che oggi occorre riabitare.

 

Un velo trasparente ma necessario tra noi e gli elementi della natura, una membrana osmotica che garantisca un dialogo, ma al tempo stesso un distacco. Un muro, ma al tempo stesso un ponte, attraverso cui ricomporre una relazione. Uno scudo, ma anche un abbraccio, che ci riporta ai due insegnamenti forse più profondi che ci vengono dalla natura, ma che spesso dimentichiamo, privilegiando solo il primo e occultando il secondo: che vale davvero la pena di vivere, anche e forse proprio perché vale la pena, serenamente, di morire.

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