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Cultura

“Ma dove vai tutta sola?” Tra commenti sgradevoli e fischi molesti: cosa vuol dire correre in montagna se sei una donna

Correre in montagna è un'esperienza totalizzante e poetica: fare fatica, macinare metri di dislivello, ascoltare i rumori del bosco, annusarne i profumi, fare attenzione a come e dove mettere i piedi, sapere dove andare. Correre in montagna, se sei una donna, però vuol dire anche altro: esporsi a commenti sgradevoli e non richiesti, agli sguardi languidi, ai fischi e non solo. In questo articolo, i risultati di una piccola e personale indagine, per aprire la conversazione

di
Sofia Farina
09 luglio | 18:00

Corro da quando ho undici anni, da quella volta che a scuola mi hanno iscritta a una campestre e mi sono trovata a correre veloce nel fango con un sorriso enorme sul volto. Da allora ho macinato chilometri su strade, ciclabili, spiagge, prati, e prestissimo, fin dai primi allenamenti fatti in solitaria o con le compagne di squadra ho scoperto quel brivido di paura mista a disgusto che si prova nel ricevere commenti indesiderati, fischi e suonate di clacson mentre si lotta con la propria testa e con le proprie gambe per spingere un po’ di più, andare un po’ più veloce della volta precedente. Negli anni ci ho “fatto il callo” (che sia giusto o sbagliato), e ora in città corro con le cuffie nelle orecchie e la musica alta e non mi curo di ciò che succede intorno a me. 

 

Quando mi sono trasferita in Trentino, ho scoperto la poesia e la potenza di correre sui sentieri, di macinare metri di dislivello oltre che chilometri, di correre senza cuffiette, ascoltando i rumori del bosco, annusandone i profumi. Correre in montagna ci espone a tutta una serie di stimoli in più rispetto alla strada: devi sapere dove andare, stare attento a dove metti i piedi, a come li metti, sapere che animali ci sono in quelle zone, come comportarti in caso di incontro. Serve concentrazione e attenzione all’ambiente circostante. 

 

Tornando a correre senza la musica, sui sentieri, ho riscoperto cosa vuol dire, per una donna, correre da sola o in compagnia di un’amica, e ho scoperto che anche in montagna (dove forse non ce lo aspetteremmo) trovano spazio i commenti sgradevoli e non richiesti, gli sguardi languidi, i fischi e non solo. Il contesto montano, purtroppo, diventa anche spazio per la sessualizzazione di corpi che stanno facendo fatica e lottando contro i propri limiti, coperti di fango e di sudore, per la diffusa idea che una donna non possa aggirarsi da sola per i boschi o sulle creste, per l’idea il lasciare una buona parte del proprio corpo scoperta abbia l’obiettivo di farsi guardare e non di non crepare di caldo mentre si corre in salita. 

 

Qualche giorno fa, correndo sui trafficati sentieri delle Dolomiti in alta stagione con un’amica, nell’arco di 25 chilometri abbiamo ricevuto commenti non richiesti da cinque uomini: nessuno stupore, ma comunque la pace della nostra corsa è stata ripetutamente interrotta. Così, tornata a casa, ho pensato di approfondire questo argomento, lanciando una sorta di chiamata alla condivisione delle proprie esperienze e del proprio punto di vita alla rete di persone che conosco e che con me condividono la passione per la fatica in quota. La risposta è stata rapida, e sono stata inondata di donne, compagne, che mi hanno raccontato storie e condiviso riflessioni. Nelle loro parole ed emozioni, ho rivisto me e so che loro, nelle mie, hanno riscoperto la sensazione di essere meno sole.

 

Il materiale raccolto mi permette (oltre che di poter parlare generalmente di una cosa che prima era tendenzialmente il risultato di un’esperienza individuale e personale) di riportare qui una concisa caratterizzazione del fenomeno. 

 

“Ma dove vai tutta sola?”

 

E’ praticamente inevitabile ricevere questo commento almeno una volta durante una corsa in montagna in solitaria. Il tema del “sei una donna quindi non dovresti fare queste cose, soprattutto da sola” è estremamente diffuso e si declina anche in commenti come “non ha paura una bella ragazza come te da sola?” o in esclamazioni di grande stupore. Verrebbe spontaneo, a questo punto, chiedere di cosa dovremmo aver paura, se delle insidie delle terre alte e dei boschi o piuttosto degli uomini che potremmo trovarvi dentro (come dimostra poi il recente trend sui social in cui si chiedeva “se sei da sola in un bosco preferisci trovare un orso o un uomo?”).

 

Consigli non richiesti

 

Un’altra interessante categoria, che, a sentire le testimonianze, si estende in realtà anche agli uomini che scelgono di muoversi in stile “fast and light”, con poco materiale e vestiario per muoversi rapidi e consapevoli, è quella dei consigli non richiesti. 

 

“Devi usare i bastoncini!”, “Dovete lasciarlo a casa l’orologio!”, “Sei partita tardi, non arriverai in cima prima del tramonto”, “Ma non sei vestita troppo leggera?” e così via. Chiaramente, in questo caso il concetto sotteso è: io (che probabilmente passo molte meno ore sui sentieri di te) sicuramente ne so di più e ti spiego come dovresti fare le cose perché assumo che tu non sia in grado di prendere decisioni coscienti e consapevoli da sola. 

 

L’apice viene raggiunto quando i commenti si focalizzano sull’abbigliamento. Una donna mi ha raccontato che le è capitato che le chiedessero perché non portasse il top sotto la maglietta.

 

Il contesto competitivo

 

Delle varie testimonianze ricevute, una serie che mi ha particolarmente colpita (perché mi sono ricordata che è capitato tante volte anche a me) è quella legata all’ambiente competitivo, e in particolare alle gare di trail o all’utilizzo di piattaforme come Strava. 

 

“Se seguo il tuo culo riesco a finire questa salita”, “Con i pantaloncini così corti ci motivi”, “Ora che ti son dietro non voglio più accelerare”, “Così sudata sei ancora meglio” sono alcuni esempi. Come spiega la donna che ha condiviso questa storia con me, questi commenti sono ancora più fastidiosi perché arrivano nonostante ci si trovi in una situazione "protetta" dalla presenza di altre persone e nonostante il clima di gara. 

 

Per quanto riguarda Strava, l’applicazione che permette di condividere le tracce delle proprie uscite e dei propri allenamenti, non è raro ricevere messaggi sull’applicazione stessa o su altre piattaforme dopo essere state “avvistate” durante la corsa e poi cercate, tramite la traccia caricata, sull’applicazione. 

 

Il confronto con l’estero

 

Diverse donne che hanno vissuto all’estero, e lì hanno corso, hanno condiviso le loro riflessioni su come questo, a loro avviso, sia un problema molto italiano. Durante i chilometri corsi in altri paesi sono rimaste piacevolmente stupite dall’assenza dei commenti, i fischi, i clacson, e hanno realizzato come in tanti luoghi, non troppo lontani da qui, il contesto culturale sia molto meno impregnato di questo bisogno di sessualizzare a tutti i costi il corpo femminile mentre fa fatica.
 

Come mi è stato fatto notare, questo atteggiamento si estende al di là del solo trail running e va a inglobare un po’ tutte le discipline svolte in montagna, come lo scialpinismo o il bike-packing o ciclismo in generale. 

 

Una donna mi ha scritto: “Tutti questi commenti sono impregnati come pugnali nella mia mente per sempre”, e mi sembra che incarni perfettamente il messaggio conclusivo di questo racconto. L’obiettivo, come sempre in questi casi, è semplice: instillare il dubbio, piantare un seme sperando di trovare terreno fertile nella mente di chi legge e ascolta, sperando che possa crescere, con il dovuto tempo, e diventare consapevolezza. L’obiettivo è far sì che in futuro, prima di fare commenti del genere, l’uomo che li ha in testa si faccia delle domande, si chieda quale possa essere il loro effetto sulla donna che ne è oggetto, su quale sia il senso di farli. 

 

Chiudo con un duplice appello. Alle sorelle trail runner (e a me stessa) dico: “Rispondiamo, con calma (o anche senza) e spieghiamo perché questi comportamenti non sono apprezzati e, soprattutto, tollerati”, a quegli uomini (che ovviamente sono una frazione del totale) che ritengono divertente e giocoso continuare a perpetrare questi atteggiamenti, invece dico: “Per favore, semplicemente, non fatelo”. 

 

l'autore
Sofia Farina

Sofia Farina è fisica dell’atmosfera e ha un dottorato di ricerca in meteorologia alpina all’Università di Trento. Ama alternare le ore passate a scrivere codice e parole, a quelle spese correndo sui sentieri e osservando il cielo delle cime. Dagli anni universitari bolognesi, ha imparato l’attivismo ed è presidente di Protect Our Winters IT e parte del board di CIPRA int.

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