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Cultura

"È come coltivare patate sulla cima della Marmolada". Dal Perù al Pasubio: una lezione di resilienza per la Giornata internazionale delle patate

Il 30 maggio la Fao celebra la Giornata internazionale della patata. Nella diversità c'è sempre salvezza, nella monofunzionalità e nella standardizzazione no. Chiamiamola quindi al plurale: "Giornata delle patate". Una storia che nasce sulle Ande peruviane e prosegue alle pendici del Pasubio

di
Mauro Varotto
30 maggio | 17:00

Nel maggio del 2014 ero a Cusco, in Perù, la culla della patata (nella lingua quechua papa): all'epoca ricordo che la trasmissione radiofonica Caterpillar mi contattò come inviato per raccontare del secondo incontro mondiale sui paesaggi terrazzati, organizzato dall'Alleanza internazionale nata in Cina nel 2010. Ero presente con una delegazione italiana che da lì a qualche anno avrebbe portato questa carovana di appassionati custodi di aree terrazzate e muri a secco per la prima volta in Italia, a scoprire 10 diverse località terrazzate della nostra penisola, che rimane pur sempre il paese più terrazzato del Mediterraneo.

 

Ricordo che Massimo Cirri rimase stupito dal fatto che si potessero ottenere ottimi raccolti di patate ad oltre 3300 metri di quota, la quota della città di Cusco: come coltivare patate sulla cima della Marmolada! Le differenze di latitudine rendono ridicola la nostra smania di standardizzazione altimetrica delle montagne, questo fu un primo insegnamento che mi portai a casa dalle Ande. Il secondo, e più importante, lo appresi quando mi sentii raccontare da contadini e contadine andini che la ricchezza di un contadino non si misurava nei quintali di patate che riusciva a produrre o vendere in un'annata, ma dalla varietà di patate che possedeva.

 

Anche per questo in Perù ancora oggi si conservano circa 5000 varietà di patate: una lezione di resilienza che mi ha fatto riflettere sul nostro modello produttivo, tutto improntato sulla specializzazione e standardizzazione produttiva orientata alla massima resa, con i corollari di fragilità ecologica che ci portiamo dietro. Fino all'Ottocento infatti, in Europa erano presenti meno di cinquanta varietà di patate, e nei nostri supermercati fino ad una ventina di anni fa c'era solo un tipo di patate, al limite due: quelle americane (dolci) e quelle per tutti gli altri usi. 

 

A dieci anni di distanza ho ritrovato questo insegnamento alle pendici del Pasubio, dove ho iniziato a coltivare un campo di patate: seguendo l'esempio dei vecchi "andini di casa nostra”, non si pianta mai un solo tipo di patate, perché a volte riescono meglio le Kennebec, altre volte le Spunta, altre volte ancora le Agria.


Nella diversità c'è sempre salvezza, nella monofunzionalità e nella standardizzazione no: può andarti bene un anno, ma poi capita l'annata in cui non ti resta nulla. E poi ci sono gli animali selvatici, i cinghiali, la dorifora, le troppe piogge, la siccità. fare un buon raccolto di patate è un terno al lotto, se vuoi lasciare spazio anche ad altro, senza trattamenti impattanti che riducono la biodiversità e impoveriscono i suoli; e così molte volte ci si accontenta di quel che viene, ma quel poco è sempre buonissimo. 

 

Quel campo di patate mi regala tante cose: il rispetto per la diversità, il valore della frugalità, una certa complicità tra catene montuose lontanissime, un cibo sano da condividere, il sentirmi parte di una montagna abitata e curata, che in questo meraviglioso tubero ha trovato in molti casi la salvezza alimentare. Per questo, non chiamiamola Giornata della patata, chiamiamola Giornata delle patate. Al plurale, come le montagne.

l'autore
Mauro Varotto

È professore ordinario di Geografia all'Università di Padova. 
Ha all'attivo collaborazioni con il Club Alpino Italiano (coordinatore nazionale del Gruppo Terre Alte del Comitato Scientifico Centrale dal 2008 al 2022), Rete Montagna - Alpine Network (membro del Comitato Scientifico), ITLA - Alleanza Italiana per i Paesaggi terrazzati (membro Comitato Direttivo). Tra le sue pubblicazioni: La montagna che torna a vivere (Nuova Dimensione, 2013); Montagne del Novecento (Cierre, 2017); Montagne di mezzo. Una nuova geografia (Einaudi 2020).

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