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Cultura

Vermiglio e le voci dal silenzio di una montagna che non c'é più, per riflettere su chi eravamo, su chi siamo, su chi saremo

Vecchi appunti su un "pellegrinaggio laico" in una valle della Carnia ormai abbandonata riaffiorano dopo la visione di "Vermiglio", il film di Maura Delpero candidato agli Oscar

di
Luigi Torreggiani
08 ottobre | 12:00

L'idea parte spesso alla sera, dalla lettura di una mappa, che talvolta mi appassiona più di un libro.

 

Quella al 25.000 va benissimo, ha la giusta visione d'insieme e un discreto dettaglio. Conserva inoltre molti toponimi minori: sono quelli che spesso mi incuriosiscono, perché i toponimi raccontano.

 

Così una sera di alcuni mesi fa ho passato il mio indice di valle in valle sulla mappa, fino a notare un sentiero dritto, su per un crinale ripido, esposto esattamente a sud. Dal colore della mappa sembrava un’area quasi completamente boscata, ma il luogo era costellato di toponimi, appunto, e di quadratini neri: forme di nuclei abitati. Case Pascàt, Case Ribatas, Case Col Maggiore, Stavolo Faidièr, Stavolo Pantianutta, Stavolo Pantiana, Stavolo Iof, Stavolo Claupa di sopra, Stavolo Claupa di sotto. La curiosità si è tramutata presto in scelta: ecco il percorso perfetto per l’indomani. 

 

Sono così partito e tutto si è rivelato esattamente come immaginavo: una valle un tempo abitata, coltivata, pascolata, oggi riconquistata dal bosco.

L'erba dei vecchi prati a tratti ancora resisteva, ma i noccioli, i pioppi tremoli, i ciliegi, gli aceri, i faggi, gli abeti e i larici sembravano avanzare inesorabilmente, come il fronte compatto di un esercito determinato ad occupare ogni spazio lasciato libero.

 

Ma nel fitto del bosco ho trovato i muri e dietro ai muri le stanze, le stalle, le mangiatoie, tra i resti di tetti crollati. C'è sempre una strana brezza tra quelle pietre, che nei miei pensieri si trasforma nella voce di un'anziana ricurva che lentamente racconta la sua vita, di miseria nera e antica meraviglia.

Lassù, nella valle di Caprizzi, tra il Tagliamento e la cresta del Monte Jof, fino agli anni '60 del '900 vivevano in 600, l’ho scoperto da un vecchio cartello turistico. Oggi vi abitano soltanto i mille suoni del bosco.

 

Quel giorno ho camminato per quattro ore incrociando un solo, anziano e solitario escursionista. Ma in realtà erano in tanti attorno a noi, anime silenziose che parlano solo se ci si prende il tempo di ascoltarle. Anime troppo in fretta dimenticate, anime sotterrate dal tempo ma vive, come radici dormienti.

 

Amo questa specie di pellegrinaggi laici nell'Italia che non c'è più, nella montagna che non esiste più, perché ogni volta mi fanno riflettere su chi eravamo, su chi siamo, su chi saremo. Mi riempiono di suggestioni e domande, mi lasciano spesso senza risposte.  

Ho riordinato questi vecchi appunti dopo aver visto, al cinema, “Vermiglio” di Maura Delpero. Un film delicato e potente ambientato durante la Seconda guerra mondiale in una piccola comunità della Val di Sole, in Trentino.

 

Un film caleidoscopico, pluristratificato, con la montagna sempre al centro della narrazione. Mentre i fatti scorrono si vive l’avvicendarsi delle stagioni, si entra nel cuore delle tradizioni, si sente la vicinanza quasi simbiotica delle famiglie con vacche, asini e capre, ci si impressiona al tonfo di un grande abete che cade dopo ripetuti colpi sui cunei, ci si commuove per la richiesta dell’ennesima storia della buonanotte dedicata all’incontro con l’orso.

 

Ma Vermiglio è al tempo stesso un film sulla guerra, sulla condizione delle donne, sulla maternità, sull’orientamento sessuale, sul senso di comunità, sulla povertà, sulla libertà, sul destino. Un film “affascinante e ipnotico”, come lo ha definito Pietro Masciullo su Sentieri Selvaggi. “Un film dell’incanto, anche quando veicola esattamente l’opposto”, come lo ha invece descritto Francesco Boille su Internazionale

 

Fascino, incanto, dolore, asprezza, angoscia, meraviglia, con la montagna al centro: esattamente tutto ciò che provo durante le mie camminate in luoghi come quello descritto. 

 

Luoghi sempre più silenziosi, in cui però si percepisce la presenza di una moltitudine di voci. Voci che Maura Delpero ha saputo tirare fuori dalla terra, facendole risbocciare da quelle radici dormienti e donandoci così la straordinaria opportunità di poterle ascoltare, in tutta la loro cruda, dolce e amara sincerità.  

l'autore
Luigi Torreggiani

Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella. 

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