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Cultura

"Se un prodotto fatto in montagna è sano, il prezzo è giusto anche se caro perché si paga la gestione del territorio". Roberto Colombero commenta la campagna “Compra in valle, la montagna vivrà”

La campagna “compra in valle, la montagna vivrà”, promossa da Uncem come segno di vicinanza ai territori montani e come atto di sostegno all’economia locale, ha stimolato diversi commenti: dalla lettura di Luca Martinelli sui canali de L'AltraMontagna, alla risposta di Marco Bussone, presidente di Uncem. A scrivere al Direttore de L'AltraMontagna, per aggiungere un tassello alla discussione, oggi è Roberto Colombero, sindaco del comune di Marmora, in Valle Maira, in provincia di Cuneo, e Presidente di Uncem Piemonte

di
Redazione
18 agosto | 20:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

La campagna “compra in valle, la montagna vivrà”, promossa da Uncem come segno di vicinanza ai territori montani e come atto di sostegno all’economia locale, ha stimolato diversi commenti, dalla lettura di Luca Martinelli sui canali de L'AltraMontagna, alla risposta di Marco Bussone, presidente di Uncem. A scrivere al Direttore de L'AltraMontagna, per aggiungere un tassello alla discussione, oggi è Roberto Colombero, sindaco del comune di Marmora, in Valle Maira, in provincia di Cuneo, e Presidente di Uncem Piemonte.

 

"Parlare di attività commerciali in comunità micro come quelle che troviamo in tanti luoghi delle nostre Alpi e Appennini, è parlare di qualcosa di più complesso di prodotti tipici si, o prodotti tipici no. La complessità va oltre lo stesso concetto di attività commerciale ed entra a pieno titolo nella sfera della sociologia. Chi ha la fortuna di vivere in un piccolo comune di montagna che vive anche di turismo per qualche mese all’anno, sa benissimo quanto sia fondamentale un luogo di comunità (cosi come l’abbiamo definito come Uncem) dove costruire o rigenerare quella comunità ancora prima che comprare un etto di formaggio tipico o industriale. Ed è chiaro che quel negozio o mini market, che fa anche un po’ di bar e piccola ristorazione, vive grazie anche e soprattutto al passaggio dei turisti o fruitori giornalieri del clima mite lontano dalla calura metropolitana. Ma sempre quello stesso negozio si trova poi per mesi, sei se va bene, molti di più se va male, a lottare con i numeri fragili di una comunità numericamente non funzionale al mantenimento stesso di quella attività.

 

Ecco che lì, quel luogo, assume una finalità di interesse “comunitario” che richiama la responsabilità del “pubblico”. Se svolgo un servizio per la collettività in quanto prima di attività commerciale sono luogo di incontro per far sentire meno soli chi in quella piccola comunità vive, allora deve essere responsabilità di chi regola i rapporti comunitari sostenere quella funzione per quei mesi di lungo inverno dove non nevica firmato. 

 

Ed è per questo che è fondamentale il richiamo di Marco quando rilancia il claim “compra in valle, la montagna vivrà” perché quel piccolo contributo non serve solo a quella attività commerciale, ma serve ad una comunità a non sentirsi sola, ad avere un luogo dove salutarsi, dove riconoscersi, dove discutere delle scelte giuste o sbagliate dell’amministrazione: tutto questo fa paese. Fondamentale. 

 

Prima ancora della tipicità o meno di ciò che viene venduto. Qui si entra in dinamiche che sono chiaramente commerciali, economiche, organizzative e addirittura politiche. 

 

Retorico sarebbe dire che dovremmo solo trovare prodotti tipici. Ma prima di poterli vendere, servirebbe che qualcuno li avesse prodotti. Il grande tema che riguarda la produzione primaria in montagna, che è stata quasi del tutto abbandonata per inseguire percorsi di sviluppo più ”facili” legati al turismo, richiama a responsabilità “alte”, a quella politica agricola comunitaria cieca ai luoghi, che ha azzerato le produzioni in quanto ha sempre e solo premiato (quasi ovunque) la quantità e le grandi dimensioni delle aziende rispetto alla presenza di aziende che producessero qualcosa.

 

Perché legata alla produzione c’è la gestione del territorio, perché, ad esempio, dietro ad un chilo di formaggio prodotto ci sono 10 litri di latte munti, c’è lo sfalcio di un prato per il fieno, c’è la gestione dei canali o degli impianti di irrigazione. Ma tutto questo, al di là di rare eccezioni legate a quei territori dove hanno resistito produzioni con identificazioni geografiche protette, non è stato valorizzato da chi ha gestito la politica agricola: le aziende stanziali (soprattutto zootecniche) sono sempre meno, con pochi margini di evoluzione, con enormi difficoltà di mercato e con prodotti, quando vengono fatti, che si perdono nell’anonimato di un bancone frigo vicino al formaggio della multinazionale o del caseificio del primo comune della pianura sottostante. Non va bene. Si valorizza un prodotto se si racconta quel territorio, la storia di chi lo produce, se si vedono i luoghi dove nasce e se ne comprendono opportunità, difficoltà.

 

Entra in campo la capacità di chi vende di instaurare relazioni dirette e non mediate con chi produce; entra in campo la capacità dei produttori di mettersi in rete per costruire dei panieri di territorio, tra comuni diversi, valli vicine, insieme, più forti. Così si fanno percorsi che riducono i costi senza dover ridurre i prezzi. Perché se un prodotto fatto in montagna è fatto bene, è sano, è riconoscibile, è confezionato bene, ha un prezzo e quel prezzo è giusto anche se è caro. Perché in quel prezzo, si paga anche il fatto che un territorio è gestito, possibilmente in modo sostenibile, garantisce la biodiversità, mantiene vivi gli ecosistemi alimentando quei servizi ecosistemici (mantenimento dei versanti, tutela della risorsa idrica, ecc) che servono a tutti e non solo a chi vive in montagna. Qui si inserisce la traiettoria di futuro del settore primario (zootecnico, agricolo, vitivinicolo, delle piante officinali, ecc…) come garanzia di futuro dei territori nell’era della transizione ecologica. E all’interno delle filiere, che sono fondamentali, i negozi luoghi di comunità devono essere protagonisti assoluti". 

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