Quando l’Appennino è stato la casa della Resistenza, alla scoperta della ''Repubblica del Carzolano''
La Valle del Rovigo, nell'Appennino Tosco-Romagnolo, è oggi un territorio remoto perfetto per escursioni tra i boschi e le ripide pareti del canyon scavato dal fiume, un paesaggio che però, se interrogato con le giuste domande, porta ancora dentro di se la testimonianza di quell'estate del '44 e delle attività partigiane
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Nell’estate del 1944 la 36° Brigata Partigiana Garibaldi Bianconcini trovò rifugio nella Valle del Rovigo, una porzione di Appennino Tosco-Romagnolo al centro della Linea Gotica. Nonostante si trovasse immersa nelle manovre dell’esercito nazista, l’orografia e la storia di questa valle ne fecero un nascondiglio perfetto per i partigiani delle varie Compagnie che in quei mesi arrivarono a contare quasi 1500 unità, convivendo con i mezzadri e le persone sfollate che vi abitavano.
Ecco come si presentava allora il territorio circostante, descritto da Luciano Bergonzini, nome di battaglia "Stampa", nel libro Quelli che non s'arresero (1957): "Il nuovo presidio della Brigata è tutta terra bruciata e sentieri segnati dalle bestie, che si distinguono a fatica nel terreno arso e che ogni tanto riappaiono, quando si entra nelle macchie, orribili e tenebrose, che sembrano dominio della morte, o ci si avvicina ad un casolare della cui presenza ci si accorge solo a distanza di pochi metri, tanto simile appare ad un cumulo informe di sassi e di fango. (...) la vetta del Carzolano, col suo ciuffetto di faggi, è l'unico elemento d'allegria nel deserto che si perde a vista d'occhio e s'inabissa giù, nel Rio Rovigo, in una lunga distesa boschiva da secoli abbandonata dall'uomo".
Una descrizione che oggi può sembrare surreale mentre ci si affaccia sulla valle, con i versanti interamente coperti dal bosco fino giù al canyon del fiume Rovigo. Grüne Linie, così i tedeschi preferivano chiamare quella che è passata alla storia come la Linea Gotica. Si dice che lo stesso Hitler spingesse per questo nome, perché in caso di sconfitta, un conto è farsi sfondare la “linea verde”, altro è invece veder crollare la Linea Gotica. Una questione terminologica che sembra quasi profetica: se la guardiamo oggi quella linea, il territorio che la ospitava, non ci sono dubbi, una lunga ed ininterrotta linea di alberi, il verde oggi è il colore dominante di questo antico campo di battaglia.
Gli ultimi testimoni di quell’estate di resistenza stanno morendo, una questione anagrafica, e oltre alle parole che hanno lasciato in libri e racconti, a presidiarne la memoria rimane il territorio stesso. Nel suo mutare il paesaggio della valle ha conservato inconfondibili segni del passaggio della storia, intrecciando quella di vita quotidiana, dei mezzadri e della loro ostinata forza modellatrice, con quella dalla S maiuscola dei partigiani e delle loro azioni. A tenere unite queste tracce, una fitta rete di sentieri che permette di muoversi tra le rovine del mondo mezzadrile e i lasciti della linea gotica, fino dove queste storie si fondono, portando l’eco di un’estate in cui le compagnie della Brigata spartirono il tetto e il cibo con le famiglie del luogo e quelle sfollate dai paesi vicini. Allo stesso tempo i boschi che ci si trova ad attraversare ci raccontano di ciò che è venuto dopo, dell’abbandono di queste montagne e della natura che si riprende i suoi spazi, trasformando il Rovigo e le sue sponde in uno dei luoghi più selvaggi della zona.
“Credi di camminare il sentiero e invece è il sentiero che ti cammina. Sono quelli che l'hanno seguito prima di te, che gli hanno dato forma con i piedi e le suole. E i tuoi piedi rispondono alle loro impronte, come la voce risponde a un'altra voce. Il corpo, mentre cammina, dialoga con chi ha plasmato l'ambiente. (...) Camminare è un dialogo, non si è mai soli. Seguire un sentiero è ricordare, anche se non si sa che cosa. È aggiungere il proprio filo di vita all'intreccio di fili che compone un luogo” – WuMing 2, Basta chiederlo ai faggi, Grüne Linie.
Sono due gli accessi principali alla Valle, quello da Casette di Tiara, nel comune di Firenzuola e quello dal Passo della Sambuca, nel Comune di Palazzuolo sul Senio, entrambi in provincia di Firenze, in quell’area che vista la sua particolare ubicazione prende il nome di Romagna Toscana. Tra questi due estremi il fiume Rovigo, che nasce nei pressi del Monte Carzolano, scava un canyon sulle cui pareti nidificano le aquile e attorno al quale sono posizionate le case che ospitavano le Compagnie della Brigata. L’Altello, Val Cavaliera, Ca’ di Vestro, Pallereto, Pian dell’Aiara, ruderi a cui si accompagnano edifici più fortunati come Ca’ di Cicci, panoramico bivacco, i Diacci, rifugio con camere e ristorante, o Le Spiagge, il ristorante di Tamara, erede di una famiglia che abitava già in queste montagne quando arrivarono la guerra e gli sfollati. Qui il tortello mugellano, che come tutte le ricette tipiche si presenta sul territorio in tante varianti quante sono le famiglie che lo abitano, è piccolo abbastanza da mangiarlo in un solo boccone. “Noi di montagna lo facciamo così, non grande come quello che fanno a valle” vi sentirete rispondere se provate ad affrontare l’argomento. Una questione di principio su cui potrete stare a discutere per ore seduti dentro al grande camino che si apre al centro della sala.
Per farsi strada nella Valle del Rovigo è disponibile una “guida” sui generis, Grüne Linie, un libro fotografico di Giancarlo Barzagli che tramite foto e materiale d’archivio ci fornisce un lasciapassare per muoversi in questi territori, liberi dai costrutti che li vorrebbero selvaggi e vuoti. Uno strumento per considerare il paesaggio come un organismo vivente, “un testimone vivo degli avvenimenti che lo hanno plasmato”, (dall’intervista di Irene Cecchini a WuMing2 su Liténature) arricchito ulteriormente da un racconto inedito firmato da WuMing2 e da una mappa con sei itinerari tematici.
La foto di copertina ritrae alcuni dei partigiani della 36° assieme ai contadini dopo la trebbiatura del grano - Fototeca CIDRA Imola.
Le altre foto sono di Giancarlo Barzagli e fanno parte del progetto Grüne Linie.