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Cultura

Pista da sci a Jesolo. Nasce Skibeach: indagine su uno sport "che si prostituisce andando ovunque. L’importante è che renda economicamente"

Michele Trentini, insieme a Marco Toffanin, a Mauro Varotto e agli studenti del corso Landscape Videomaking, sta dando vita a "Skibeach", un documentario sulla pista da sci installata lo scorso maggio Jesolo. "Questa formula artificiale potrebbe funzionare, perché nel raccogliere testimonianze ci siamo accorti che un riscontro c’è. È chi si occupa di proporre, forse, che dovrebbe fare altre scelte"

di
Pietro Lacasella
05 novembre | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

L’industria sciistica sta iniziando a emanciparsi dalle montagne e dall’inverno? Grazie alla plastica oppure agli ski dome (le cattedrali sottozero dello sci al coperto) questo formidabile sport ha la possibilità di sgattaiolare altrove, magari in città oppure in riva al mare? Sono domande che sorgono spontanee osservando i fotogrammi della pista da sci installata lo scorso maggio a pochi passi dalla battigia di Jesolo.

In quell’occasione, molti hanno provato l’ebbrezza di lanciarsi, sci ai piedi, su un tracciato lungo oltre 30 metri e realizzato interamente di plastica riciclata (ne avevamo parlato qui).

 

Non è facile capire se lo sci saprà o vorrà affrancarsi dai rilievi e dall’inverno, eppure qualcuno sta provando a sviluppare delle riflessioni attorno a questa dinamica germinale, sul cui futuro aleggiano ancora tante incognite. Così ci siamo confrontati col regista Michele Trentini che, insieme a Marco Toffanin (responsabile del settore multimedia dell'Università di Padova), al professore Mauro Varotto e agli studenti del corso Landscape Videomaking (che si svolge con gli studenti di Scienze del Paesaggio dell’Università di Padova e di antropologia di Venezia) sta dando vita a Skibeach, un documentario sulla pista da sci di Jesolo.

 

 

Michele, com’è nata l’idea?

 

Le cose sono andate così: io ho letto su L’AltraMontagna la notizia che avrebbero fatto questo evento. Il giorno dell’evento coincideva con un corso a carattere laboratoriale che si chiama Landscape Videomaking (che si svolge con gli studenti di Scienze del Paesaggio dell’Università di Padova e di antropologia di Venezia) e secondo me poteva rivelarsi un episodio da osservare con attenzione perché poteva dirci tante cose sul mutamento dei paesaggi legati al turismo. Ho segnalato questa cosa a Mauro Varotto che, prontamente, ha proposto di organizzare un’uscita con gli studenti a Jesolo.
Ci siamo dati appuntamento là…

 

 

… quanti eravate?

 

Eravamo io, Marco Toffanin e poi una decina di studenti. L’evento si svolgeva in Piazza Mazzini e ognuno era libero con il proprio smartphone di osservare e di raccogliere dei punti di vista, delle testimonianze.
La cosa interessante è questa: innanzitutto la pista era di dimensioni molto ridotte, il tutto avveniva in uno spazio molto ristretto dov’erano presenti sia gli organizzatori, ma anche stand di località turistiche trentine, altoatesine, venete e le voci che abbiamo raccolto sono molto diverse. Nelle testimonianze raccolte la parola “business” compariva spesso: il pubblico, indipendentemente che andasse al mare o in montagna, era osservato come un potenziale cliente a cui vendere questo tipo di proposta.

 

 

Questa proposta secondo te aveva un fine a sé stante, oppure pubblicitario e quindi finalizzato per promuovere delle località montane?

 

C’era proprio la volontà di promuovere le località montane, in primis le Olimpiadi di Cortina 2026, tant’è che era presente pure la mascotte. Nelle risposte alcuni degli organizzatori dicevano che bisogna pensare al nuovo sci, a un futuro sostenibile per questo sport, e però ci trovavamo all’interno di una baraonda, perché puoi immaginare: tra stand, negozi e rumore, la percezione era che avvenisse un po’ il contrario di quanto sostenevano.
Abbiamo tuttavia incontrato anche persone critiche, persone che hanno addirittura scelto di abbandonare lo sci di discesa perché secondo loro è troppo impattante, per preferire il fuoripista oppure il fondo, e che quindi guardavano con sospetto questo evento. Secondo queste persone il fatto che la pista fosse di plastica riciclata era puro greenwashing, e anche alcuni studenti la pensavano così.
Poi c’era gente attratta. Attratta perché a un certo tipo di turismo basta che ci sia la movida, usavano proprio questa parola. È quindi sufficiente che succeda qualcosa. Una ragazza ha ad esempio affermato: “Che sia a Jesolo o che sia in montagna l’importante è che ci sia da bere”.
C’è stato infine chi sosteneva, all’interno della baraonda, che quello non era sci perché non c’era la neve, non c’era il freddo, non c’era il contesto, non c’era il paesaggio. Secondo loro non era quindi la stessa cosa e si domandavano: “Come fa a piacere questa cosa qua?”
L’impressione è che un certo tipo di turismo, da parte sia di chi lo propone che dei fruitori, possa addirittura fare a meno del contesto. Abbiamo quasi avuto l’impressione che potesse essere un’attrazione perfetta per Gardaland.

 

 

Sulla base della vostra percezione, lo sci può quindi sopravvivere anche all’esterno dei confini delle montagne? Può espandersi nel territorio oppure, per motivi legati al contesto e anche alla storia, questo tipo di strutture possono avere successo solo nei territori montani?

 

Domanda interessante perché è una questione aperta. Va detto questo: se la cosa avviene per ragioni strettamente sportive, fino a un certo limite potrebbe anche avere un senso. Queste strutture diventerebbero così una sorta di palestra di allenamento, per gli inverni senza neve, in cui gli atleti si potrebbero esercitare. Però rimarrebbe una cosa ristretta.
In ogni caso, il fatto di riempire di plastica, per quanto riciclata, un pendio montano mi lascia molto perplesso perché significa spudoratamente che è l’economia a comandare e che non siamo ancora riusciti a trovare un senso del limite nelle cose; che non riusciamo ad apprezzare la montagna per quella che è; che se un inverno non nevica si può fare altro. Il fatto di non riuscire a fare a meno di sciare a me lascia molto perplesso.
Però questa formula artificiale potrebbe funzionare, perché nel raccogliere testimonianze a Jesolo ci siamo accorti che un riscontro c’è, che c’è un interesse da parte delle persone. Quindi secondo me il pubblico si troverebbe. È chi si occupa di proporre, forse, che dovrebbe fare altre scelte.

 

 

È dunque questo il futuro dello sci, in un mondo che si sta velocemente scaldando?

 

Mentre stavamo montando il materiale e pensando alla sinossi, credevo che questo breve documentario potesse dare delle risposte sullo sci del futuro. In realtà queste modalità di fruizione turistica sono già presente e ne abbiamo diversi esempi. Quindi non mi stupirebbe se nell’arco di poco tempo questa offerta iniziasse ad espandersi con più slancio. Secondo me ci attendono gli scenari più improbabili se non si diffonde una coscienza di un certo tipo, perché ti rendi conto che dietro c’è un discorso economico potente. Credo che per le aziende che supportano queste proposte conti ben poco che il turista sia appassionato di qualcosa veramente legato alla montagna. L’importante è che consumi: che sia sulla spiaggia a Jesolo o su un pendio in montagna per queste realtà è un po’ la stessa cosa. Questo secondo me non va bene, perché bisognerebbe pensare a un turismo legato a un territorio e alle sue peculiarità. Da qui dunque l’origine del titolo: Skibeach inteso come uno sci praticato in spiaggia, ma anche come uno sci che si prostituisce andando ovunque, l’importante è che renda economicamente.

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