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Cultura

Per una nuova politica della montagna, più vicina alle necessità dei suoi abitanti. Tina Merlin, una donna "per"

"Cara Tina, oggi, 19 agosto 2024, avresti 98 anni e sei presente, in tanti modi, nei ricordi dei molti che hanno seguito, a vario titolo, negli anni, la tragedia del Vajont". Inizia così la lettera/articolo di Mirta Da Pra Pocchiesa per Tina Merlin, grande giornalista di cui oggi ricorre l'anniversario della nascita e che abbiamo deciso di ricordare con articoli, approfondimenti e ricordi

di
Mirta Da Pra Pocchiesa
19 agosto | 19:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Cara Tina,

 

oggi, 19 agosto 2024, avresti 98 anni e sei presente, in tanti modi, nei ricordi dei molti che hanno seguito, a vario titolo, negli anni, la tragedia del Vajont, a cominciare dalle vittime per arrivare ai lettori che attraverso il giornale "L’Unità" ti hanno conosciuta e ai tuoi colleghi giornalisti. Eri, sei, una giornalista e, come ti ha definito nel testo a te dedicato Adriana Lotto "Quella del Vajont", una donna contro che però, nel raccontarti, si trasforma in una donna “per”; una testimone, un esempio, per tanti.

 

Una donna “per” una professione, quella di giornalista, che passa attraverso l’ascolto, la verifica delle fonti, la denuncia – seria e documentata – e l’assenza di mediazione e spettacolarizzazione fine a se stessa. Sei la testimonianza di una professione che significa uscire dalla redazione, andare sul posto, dare voce a chi non ne ha, entrare nel merito delle questioni aperte, poco chiare, conflittuali, rilanciando opinioni inascoltate, senza cadere nel sensazionalismo e, soprattutto, senza paura di chi ha più potere e che tenta di oscurarti. Il tutto tessendo una trama che intreccia oralità e scrittura.

 

Sei stata una donna ”per” un altro modo di fare politica. Nella tua militanza nel Pci sei stata critica, e criticata, come si fa con le realtà in cui si crede e proprio per questo, lontana dal fare sconti, come metodo, per rigore. 

 

Sei stata una donna “per” il dialogo e l’ascolto anche nel tuo essere femminista (hai scritto anche per Noidonne) non contro gli uomini ma per “costruire un mondo veramente libero per la donna e per l’uomo, di esprimere se stessi nel lavoro, nella famiglia, nella società; un nuovo rapporto tra uomo e donna che possa essere vissuto nella sua pienezza naturale, umana, sociale, fondata sulla parità e sull’amicizia; una maternità e una paternità responsabile, libere e serene”.*

 

Sei stata una donna "per" le grandi opere che servono e contro le infrastrutture inutili, dannose, pericolose.

 

Sei stata una donna che ha fatto guerra alla guerra, una donna apparentemente dura (salvo che con tuo figlio, col quale hai saputo tirare fuori tutta la dolcezza possibile), come lo sono molte montanare: schive, riservate, che hanno pudore dei sentimenti, propri e altrui.

 

Sei stata una donna con passioni forti, che ha saputo ribellarsi alle ingiustizie della guerra, con la lotta partigiana e non solo, ma anche all’interno del suo Pci.

 

Sei stata una donna che, da bellunese, hai conosciuto, amato e lottato per portare sulle pagine nazionali, le problematiche della montagna e dei montanari, con articoli e inchieste che partono dall’immigrazione maschile verso Svizzera, Francia, Belgio, Inghilterra, Algeria, Australia, Argentina e Brasile fino al mancato intervento dello Stato verso la montagna.

 

Scrivi infatti: “Fin da quegli anni il Pci richiese da Belluno con forza, al governo, una nuova politica per la montagna, di salvaguardia del suolo, di sviluppo di attività che sfruttassero economicamente le risorse locali (bosco, pascolo, agricoltura), che mettesse un freno alla rapina delle migliori terre e dell’acqua da parte dei monopoli elettrici, che facesse pagare a questi, per l’uso degli impianti, un adeguato canone ai Comuni rivieraschi. Attorno a questo gruppo di problemi il Pci si fece promotore della costituzione di un largo comitato unitario per la rinascita della montagna che univa comunisti, socialisti, cattolici, repubblicani, socialdemocratici e che fu promotore di grandi lotte popolari, locali e provinciali.**

 

Proponi uno sviluppo per la montagna che valorizzi la risorsa acqua per le industrie, il legname per l’artigianato, le bellezze naturali per il turismo. Tutto integrato, senza devastare il territorio e dando la possibilità ai residenti di restare, tanto che scriverai, anni dopo, sempre rispetto alla montagna bellunese: “Con i lavori che si potrebbero attuare in provincia, tutti  i nostri emigranti avrebbero la sicurezza del pane nella loro terra. Gli emigranti non chiedono lauti guadagni, chiedono lavoro. Chiedono la possibilità di restare a guidare la loro casa, di fare veramente da mariti e da padri. Chiedono l’Umano, se vogliamo il diritto cristiano all’unità della famiglia. Chiedono scarpe e cibo e possibilità di istruzione per i figli. Chiedono il loro diritto a non morire in terra straniera, quasi come fossero in guerra, sepolti vivi nelle gallerie o fatti  a pezzi dall’esplosivo. Chiedono lavoro in patria perché amano la loro terra. Vogliono godersela in pace, nel lavoro, assieme alle loro famiglie, con le canicole e con le nevi, i fiori e i prati, le montagne e le vallate, i fiumi e i laghi e la gente tutta, lavoratrice e pacifica”.***

 

Contro gli invasi, la sommersione di interi paesi, gli espropri,  dirai di tutto e di più. Dalla parte della gente, dalla parte della montagna inascoltata, asservita.

 

Del Vajont, del tuo impegno prima e dopo, molto è noto. Ti sei però data tanto da fare anche perché quella enorme strage non fosse dimenticata. Hai speso tante delle tue energie, sempre con passione e determinazione, per mettere al centro il valore politico della memoria.

 

Grazie.

 

*- Discorso tenuto l’8 marzo, a fine anni 0, a Sacca Fisola, dattiloscritto in ATM, b. 15.

**- T.Merlin, Il partito e le lotte di massa, pag. 552

***- T. Merlin, Dateci il pane nella nostra terra chiedono oggi consapevolmente gli emigranti, L’Unità, 27 gennaio 1953 

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