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Cultura

Le bande sfruttavano il difficile terreno montuoso per sfuggire all’esercito piemontese. La "Tavola dei Briganti", sulla Majella, parla di ribellione e resistenza

Camminando lungo il sentiero che porta al Monte Amaro ci si imbatte nella deviazione per la cosiddetta "tavola dei briganti". A pochi minuti dal sentiero principale ci si ritrova in un luogo mistico, dove incisioni antiche fanno capolino tra i mughi e raccontano la storia del brigantaggio nell'Italia meridionale

di
Sofia Farina
31 agosto | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Camminando lungo il sentiero che porta al Monte Amaro, la cima più alta della Majella, il massiccio abruzzese, ci si imbatte nella deviazione per la cosiddetta "tavola dei briganti". A pochi minuti dal sentiero principale ci si ritrova in un luogo mistico, dove incisioni antiche fanno capolino tra i mughi, e la mente corre inevitabilmente indietro nel tempo, a immaginare l'aspetto di quei dolci pendii qualche secolo fa.

 

Il fenomeno del brigantaggio, che caratterizzò l’Italia meridionale nella seconda metà del diciannovesimo secolo, è un capitolo complesso e controverso della storia italiana. Spesso descritto con tinte fosche o romantiche, il brigantaggio è stato alternativamente considerato una forma di delinquenza, una rivolta sociale o un movimento armato anti-risorgimentale. Tra i luoghi più emblematici di questa resistenza c'è proprio la Majella, la montagna madre dell’Abruzzo, dove il paesaggio aspro e selvaggio divenne il rifugio ideale per diverse bande di briganti che operarono tra il 1861 e il 1867.

La Majella e la Resistenza Brigantesca

 

Con l’unificazione italiana, molti territori del Regno delle Due Sicilie furono annessi al neonato Regno d’Italia sotto la corona di Vittorio Emanuele II. Questo evento generò un’ondata di malcontento tra le popolazioni locali, che si sentirono tradite e oppresse dal nuovo governo, che a sua volta divenne terreno fertile per il fenomeno del brigantaggio. La Majella, con le sue grotte inaccessibili e i fitti boschi, divenne un rifugio sicuro per coloro che si opponevano al nuovo ordine.

 

Le bande di briganti sulla Majella erano numerose e ben organizzate, ognuna guidata da un capo carismatico. Tra le più note si ricordano quelle di Croce Di Tola, detto Crocitto; i fratelli Colafella di Sant’Eufemia; Pasquale Mancini, detto Mercante, di Pacentro; Domenico Valerio, detto Cannone, di Atessa; Luca Pastore di Caramanico; Salvatore Scenna di Orsogna; Domenico Di Sciascio di Guardiagrele; Nicola Marino di Roccamorice; e Fabiano Marcucci, detto Primiano, di Campo di Giove. Questi gruppi, sebbene autonomi, sono spesso collettivamente indicati come la "Banda della Majella".

 

I briganti erano principalmente uomini stanchi della miseria, ex soldati borbonici, contadini, braccianti e disoccupati che, dopo il 1860, presero le armi contro lo Stato unitario. Le bande sfruttavano il difficile terreno montuoso per sfuggire all’esercito piemontese, che si trovava in grave difficoltà a combattere in un ambiente a loro sconosciuto e ostile. L’esercito sabaudo costruì, nel 1866, il "Blockhaus", un fortino in pietra situato a 2140 metri di altitudine, proprio nel cuore del territorio controllato dai briganti, per cercare di arginare il fenomeno. Nonostante questi tentativi, i briganti riuscivano spesso a sfuggire, disperdendosi tra le montagne subito dopo i saccheggi nei paesi a valle.

La Tavola dei Briganti: Memoria di una Lotta

 

Nei pressi del Blockhaus, su quell'insieme di lastroni calcarei bianchi oggi noti come la "Tavola dei Briganti", i briganti e i pastori locali hanno inciso i loro nomi e messaggi, lasciando una testimonianza duratura della loro esistenza e delle loro lotte. Le incisioni, spesso effettuate di notte per evitare di essere scoperti dai soldati piemontesi, rappresentano una forma di resistenza, ma anche di sfida, contro l'autorità del nuovo regno. Uno dei messaggi più emblematici recita: “Leggete la mia memoria per i cari lettori: nel 1820 nacque Vittorio Emanuele II Re d’Italia, primo il 60 era il regno dei fiori, ora è il regno della miseria”. Queste parole esprimono il sentimento di perdita e disillusione che accompagnò molti abitanti delle regioni meridionali dopo l’Unità d’Italia.

 

La Tavola dei Briganti non è solo un monumento naturale, ma un documento storico che racconta le storie di vita e di lotta di coloro che hanno vissuto e combattuto su queste montagne. Incisioni simili sono anche attribuite ai pastori che portavano i loro greggi in alta montagna, contribuendo a testimoniare una cultura pastorale e rurale profondamente radicata nelle tradizioni abruzzesi.

La Legge Pica e la Fine del Brigantaggio

 

Per combattere il brigantaggio, il governo del neonato Regno d'Italia promulgò nel 1863 la Legge Pica, che sospendeva alcuni dei diritti fondamentali garantiti dallo Statuto Albertino e prevedeva misure severe contro i briganti e i loro sostenitori. Questa legge, che rimase in vigore fino al 1865, segnò l'inizio di una repressione feroce: molte bande furono annientate, i capibanda arrestati e spesso giustiziati o condannati all'ergastolo.

 

La resistenza armata sulle montagne dell’Abruzzo, tuttavia, non fu solo una questione di legge e ordine: molte delle gesta dei briganti divennero oggetto di leggende popolari, e i briganti stessi furono talvolta visti come eroi romantici, odiati e temuti, ma anche ammirati per il loro coraggio nel ribellarsi alle ingiustizie.

Un Patrimonio Storico e Culturale

 

Oggi, la Majella e la Tavola dei Briganti rappresentano un patrimonio storico e culturale di grande valore. Mentre i sentieri che un tempo risuonavano delle grida di combattimento e degli spari sono ora percorsi da escursionisti in cerca di pace e tranquillità, le incisioni sulla pietra rimangono a testimoniare un passato di lotta e resistenza. Questo luogo unico, dove natura e storia si intrecciano, continua a raccontare la storia di coloro che vi trovarono rifugio e di un’epoca in cui il sogno di una nazione unita era ancora lontano dall’essere realizzato per molti italiani.

 

La Majella, con la sua storia di briganti e pastori, rimane un simbolo della lotta per la giustizia sociale e della resistenza contro l’oppressione, offrendo a chi la visita un prezioso scorcio sul passato tumultuoso del nostro paese.

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