"La magia dell’incontro fra due mondi apparentemente non-comunicanti, quello dello studioso e quello degli abitanti della valle". Leandro Picarella, dalla Sicilia alle montagne
Il regista agrigentino Leandro Picarella è stato uno degli ospiti dell’edizione 2024 di Superpark, la manifestazione estiva organizzata dal Parco Naturale Adamello Brenta assieme a Impact Hub, che si articola in due serie di proposte: escursioni domenicali in alcuni degli angoli più belli dell’area protetta assieme ad ospiti “d’eccezione”, non necessariamente provenienti dal mondo della montagna, e proiezioni di film a tema ambientale “sotto le stelle”
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il regista agrigentino Leandro Picarella è stato uno degli ospiti dell’edizione 2024 di Superpark, la manifestazione estiva organizzata dal Parco Naturale Adamello Brenta assieme a Impact Hub, che si articola in due serie di proposte: escursioni domenicali in alcuni degli angoli più belli dell’area protetta assieme ad ospiti “d’eccezione”, non necessariamente provenienti dal mondo della montagna, e proiezioni di film a tema ambientale “sotto le stelle”, cioè all’aperto, ai margini del bosco, con il pubblico sdraiato sul prato e dotato di cuffie per non arrecare disturbo all’ambiente circostante, una proposta realizzata in collaborazione con l’associazione Cinema du desert, che porta in giro per il mondo, con il suo camion, la magia del grande schermo, alimentata da pannelli fotovoltaici.
Picarella ha partecipato, domenica 30 giugno, all’escursione al Pian della Nana, zona splendida e poco conosciuta che si sviluppa sopra Cles, in val di Non, sovrastando la più famosa val di Tovel, estrema propaggine del gruppo delle Dolomiti di Brenta. La sera, invece, al lago di Molveno (periodicamente ai vertici dei laghi più belli d’Italia) ha presentato il suo film “Segnali di vita”, ambientato in val d’Aosta, che ha raccolto molti premi ed è stato presentato anche al Filmfestival di Trento, dove ha vinto il premio del pubblico.
“Segnali di vita” è un titolo che cita una canzone di Battiato, o è un caso?
Non lo è affatto. Quando sono arrivato nella valle di Saint-Barthelemy, nel piccolo borgo di Lignan, dove sorge l'osservatorio astronomico della Regione, ho capito che lì c’era una storia che valeva la pena di essere raccontata. Ma all’inizio con sapevo come. Un giorno, mentre guidavo da Aosta a Lignan, la mia playlist mi ha proposto questa canzone di Battiato, artista siciliano per il quale ho una profonda stima non solo sul piano artistico, mi è sembrato un dono. “Che voglia di cambiare che c’è in me…” dice la canzone. Era la voglia che sentivo anch’io, umanamente e artisticamente, cioè quella di raccontare una storia che avesse a che fare con un cambiamento, un'evoluzione.
Il film infatti racconta la storia di un incontro.
Sì, c’è un astrofisico che è in un certo senso in fuga dal mondo, e vorrebbe rinchiudersi nell’osservatorio a guardare le stelle, e basta. Ma fra i suoi altri obblighi vi è quello di condurre una ricerca sulle “false credenze” scientifiche della popolazione locale. All’inizio non si sente affatto attratto da questo incarico. Ma è grazie ad esso che si realizza alla fine la magia dell’incontro fra due mondi apparentemente non-comunicanti, quello dello studioso e quello degli abitanti della valle: un signore anziano che cerca di sconfiggere la solitudine assieme ad una vedova, degli allevatori che vivono un rapporto speciale con i loro animali, un padre e una figlia e così via.
Quanto c’è di vero e quanto di sceneggiato in questa storia?
Questo per me è un punto fondamentale. Non ho mai fatto documentari, nel senso che comunemente si dà a questa categoria cinematografica, diciamo. Mi interessa anche la letteratura, il linguaggio della narrazione: Pirandello, Sciascia, i latinoamericani… Ma sono attratto dalla narrazione del reale. Quindi di fatto i miei non sono solo documentari. Io mi servo invece degli strumenti della narrazione per raccontare il mondo e le persone, partendo dai luoghi e dall'umanità che li vive. Tutto quello che si vede nel film è reale, è il racconto di vite che esistono e si muovono nella valle di Saint-Barthelemy, luogo a cui sarò legato per sempre. La storia dell’incontro fra il ricercatore, Paolo, un astrofisico, un uomo che è portatore di una cultura “altra” rispetto a quella delle persone che vivono lì, è anch’essa vera, anche se abbiamo fatto alcuni interventi in sede di scrittura. Ma l’incontro di Paolo con gli abitanti del paese, che è stata certamente agevolata dalla nostra presenza di persone che giravano un film, è anche per molti versi la storia del mio incontro, del mio inserimento in una comunità .
Leandro come Paolo, quindi.
Sì, anche se io ho un carattere diverso rispetto all'astrofisico, altrimenti il film non l’avremmo fatto. Fin dall’inizio ho capito che per realizzare il film dovevo mettermi in gioco, dovevo vivere lì, ed è quello che ho fatto, vivendo a Lignan per un anno. Era il desiderio di cambiamento ed esperienza che cercavo e che si realizzava.
Cosa ha reso possibile questo incontro?
L’empatia. All’inizio non è stato facile, avvicinarsi alle persone con la telecamera, sia gli abitanti del paese che lo stesso Paolo, che pure da uomo di scienza era abituato ad esprimersi in maniera molto chiara e diretta. Oltretutto si veniva dalla pandemia, da un periodo di chiusura e isolamento. Era pieno inverno. Ma pian piano l’avvicinamento reciproco è avvenuto. Lungo questo viaggio sono successe molte cose, di cui sono stato testimone. Un amore che nasceva, ad esempio, delicato, puro. Una bambina che cresceva. C’è in questo, per certi versi, la consapevolezza dello sguardo esterno. Ed è uno sguardo che lentamente cambia la realtà osservata, ma che a sua volta è cambiato da essa. Come sono cambiato io.
In che modo il suo film ha cambiato la vita degli abitanti di Lignan?
Raccontarsi ed essere raccontati è sempre una potente esperienza di cambiamento, anche se sono stato molto attento a non calare la “navicella” del cinema in quella realtà, come qualcosa di estraneo, di alieno, come accadde a volte con le grandi produzioni. Ci sono stati anche cambiamenti che escono dalla sfera puramente cinematografica. Ad esempio, ad un certo punto gli abitanti sono entrati nell’osservatorio, che non avevano mai visitato, che consideravano come una sorta di corpo estraneo. È stato un momento molto emozionante ed è diventato la chiusa ideale del film.
Ma la nostra presenza lì ha innescato anche altri cambiamenti, forse più piccoli. Ad esempio: in paese non c’è un punto di ritrovo sempre a disposizione degli abitanti, c’è una locanda aperta però solo alcuni periodi dell’anno, quelli più turistici. Così io e alcune persone abbiamo iniziato a trovarci in uno spazio pubblico, un bizzarro “distributore di formaggi e latte”, anch’essa rivolta prevalentemente ai turisti, ma che era l’unico posto del paese coperto da una tettoia. Gli appuntamenti erano al mattino, alle 11, l’ora dell’aperitivo: c’era chi portava il vino, chi del formaggio… In breve, sono diventati degli appuntamenti fissi, ci organizzavamo con un gruppo whatsapp.
E poi, quando i film è stato presentato…
Sì, alcuni dei protagonisti sono venuti alla Festa del Cinema di Roma, dove il film è stato presentato in Anteprima. Hanno potuto conoscere un po’ il mondo del cinema. Qualcuno è venuto a trovarmi in Sicilia. Sono le piccole-grandi opportunità che si aprono quando si creano relazioni. Vedi, io so di non essere uno di loro. Non sono nato lì, non è quello il mio mondo. Ma una parte di me adesso è lì. E lo sarà per sempre. Io trovo straordinaria questa idea di avere, in molti luoghi, dei punti di approdo, delle persone che per me significano qualcosa, e io per loro. È uno dei regali di questa professione ma in generale è una delle cose per cui vale la pena vivere, forse la principale, perché la vita è relazione.
Come è nato il suo amore per il cinema?
Ho sempre amato il cinema, fin da bambino. Abitavo sopra un videonoleggio e così avevo sempre film a disposizione, per placare la mia “fame”. Ad un certo punto dalla Sicilia mi sono spostato a Firenze, per proseguire gli studi universitari. Facevo studi letterari, anche di letteratura teatrale. Un professore - Gaetano Chiappini - ad un certo punto vide in me qualcosa che evidentemente neanch’io vedevo così chiaramente. Delle potenzialità che mi spinse a coltivare. È stato un incontro fondamentale – ecco un altro incontro! - e mi ha portato al cinema.
Quando parla a volte sembra che stia evocando qualcosa di “magico”. I miracoli accadono nella sua vita?
Sì, anche realizzare questo film ha avuto qualcosa di miracoloso. Spesso fare un film è un’operazione lunghissima, principalmente per ottenere i finanziamenti. In questo caso è stato tutto velocissimo. E la cosa più incredibile è che non avevo ancora una storia, avevo solo gli ingredienti, la valle, la comunità che la abita, l’osservatorio astronomico.
Nei suoi precedenti film, corti e lungometraggi, ha raccontato ad esempio Danilo Dolci, il grande pacifista che scelse, ad un certo punto della sua vita, di vivere in Sicilia, ma anche un famoso “mago televisivo” siciliano, un precursore del genere, che dopo anni di prigione, prova a reinserirsi in un mondo che però sta cambiando. Qual è il filo conduttore delle tue opere?
Raccontare le persone, le loro vite, che è anche un modo per riflettere sulla società, sui suoi cambiamenti, su come le culture da un lato tendono a preservarsi, nonostante tutto, come in montagna, ma dall’altro sono comunque investite dai venti del cambiamento. C’è il tema del sacro, un bisogno insopprimibile per l’uomo, che vedo manifestarsi continuamente.
Il suo prossimo lavoro?
Dalla montagna a un’isola, Linosa. Racconterò l’attesa dell’estate di due ragazzini, due amici cresciuti insieme, uno dei quali è in procinto di lasciare l’isola per studiare altrove, dove ci sono più possibilità. Ancora una storia di relazioni, e di cambiamento.