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Cultura

Il senso del limite in quota tra spazio e tempo: dalla “montagna” al “giorno” sacro per uscire dal cul de sac del Monveso di Forzo

La riflessione sulla nomina di una “Montagna Sacra” in una vetta minore del Parco Nazionale Gran Paradiso lanciata su questi canali ha suscitato una articolata discussione tra i promotori del progetto e una risposta da parte del Comitato Montagna Sacra, a cui, su sollecitazione, replichiamo con un'ulteriore considerazione

di
Mauro Varotto
18 giugno | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

La riflessione critica sulla nomina di una “Montagna Sacra” in una vetta minore del Parco Nazionale Gran Paradiso, lanciata nelle pagine de L’AltraMontagna lo scorso 2 giugno, ha suscitato una articolata discussione tra i promotori del progetto e una lunga risposta da parte del Comitato Montagna Sacra.

 

Il lungo articolo a firma di Luca Rota risponde alle tre domande sollevate in quella riflessione: alla prima, prettamente geografica, su quale sia la linea di demarcazione della “zona sacra” (dove dovrebbe iniziare e finire il divieto di ascensione) replica che in realtà più che di divieto trattasi di semplice invito morale, pertanto non c’è un confine definito (se non un generico riferimento alla “piramide sommitale”): “l’invito proposto è quello di astenersi simbolicamente dal salire il Monveso di Forzo”.

 

Alla seconda domanda sul senso di “consacrare una vetta del Parco alla Natura”, quando questa dedizione dovrebbe essere la finalità dell’intero Parco, e in genere di tutte le riserve naturali integrali, Rota risponde con una critica all’operato del Parco: “Purtroppo è il Parco stesso a rispondere a questa domanda, con la sua recente inopinata decisione di ripristinare la libera circolazione del traffico motorizzato sulla strada del Nivolet, con motivazioni che lasciano molto perplessi”. Una posizione quindi ancora più radicale: “la Montagna Sacra si pone il compito culturale di agevolare la riflessione sulla necessità di riconoscere dei limiti alla frequentazione della natura e all’invasività umana, senza per questo imporre alcun divieto o prescrizione, ma come approfondita presa di coscienza personale”.

 

Alla terza domanda, che si chiedeva perché scegliere una vetta minore per lanciare un messaggio così “dirompente” (a detta dei promotori), una vetta pressoché deserta per buona parte dell’anno, e non invece il Gran Paradiso o il Monte Bianco, Rota risponde che “questa eventualità sarebbe apparsa come una provocazione, per nulla costruttiva, inevitabilmente divisiva e attaccabile in mille modi. La Montagna Sacra vuole stimolare le menti, non provocare gli animi”.

 

Ci troviamo qui di fronte ad un sottile paradosso, che spiega forse anche l’insistenza con cui il comitato ha preteso questa risposta: tanto il messaggio nelle intenzioni dei promotori vuol essere rivoluzionario e dirompente per denunciare “una società no limits segnata da velocità, competizione e scellerata crescita di consumo di risorse naturali, accumulo di rifiuti e degrado degli ecosistemi”, quanto in pratica rischia di trasformarsi nella classica montagna che partorisce il topolino, in un sussurro gentile, un invito sottovoce che non vuole essere divisivo né provocatorio, per non disturbare il business as usual delle ascensioni alpinistiche alle vette più blasonate. Tanto rumore per nulla quindi? Possiamo forse concludere con le parole di Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International, che interpellato qualche tempo fa sul progetto “Montagna sacra” esprimeva il suo scetticismo e rilanciava così: “Dobbiamo dunque buttare nel cestino l’appassionata proposta di Toni Farina e seguaci? Forse no. Non del tutto. Io credo che se ne potrebbe recuperare il succo, spostando l’obiettivo in una diversa direzione. Invece di intestardirsi a individuare un monte, si potrebbe tentare di proporre un giorno estivo – sempre lo stesso tutti gli anni – in cui si invitano i frequentatori delle montagne ad astenersi dal raggiungere le vette, come simbolica adesione al concetto di limite, restituendole così per ventiquattr’ore al silenzio e alla solitudine. Probabilmente agli inizi l’invito potrebbe rivelarsi un flop, ma col tempo forse le adesioni aumenterebbero. Con il risultato collaterale di dare un significato meno retorico all’ingresso dell’alpinismo tra i patrimoni immateriali del mondo”.

 

A voi decidere la data e liberare almeno per un giorno tutte le vette, non solo quella dello sconosciuto Monveso. Le vette, dicevamo, perché le montagne – come recita il nostro Manifesto – sono tutta un’altra cosa.

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