"Hansjörg Auer soffriva di disturbi alimentari e anoressia, i giovani scalatori dovrebbero leggere questo libro”: Luca Calvi racconta Parete Sud, l’autobiografia dell'alpinista
Il libro sull’alpinista scomparso era stato pubblicato in tedesco nel 2017, ma si è riusciti ad arrivare alla versione italiana solo di recente, grazie al lavoro congiunto del traduttore Luca Calvi, dell’architetta Marlene Roner, del presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella, della madre Traudi Auer, della compagna Tatjana Raich e della casa editrice Corbaccio
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Spirito libero, fuoriclasse visionario, interprete per antonomasia di un alpinismo di avanguardia, Hansjörg Auer ha sempre vissuto senza paura di sognare. Dalle incredibili salite in free solo sulle Dolomiti, alle pareti inviolate di Himalaya e Karakorum fino alla conquista di un Piolet d’Or, l’alpinista è diventato famoso in tutto il mondo dopo aver scalato, in meno di tre ore, usando solo scarpette, casco e magnesite, la Via Attraverso il Pesce in Marmolada.
Il 16 aprile del 2019, Hansjörg Auer, insieme al connazionale David Lama, e all’alpinista statunitense Jess Roskelley, dopo avere completato la prima ripetizione della via M-16 sull’Howse Peak, nel parco Nazionale di Banff in Canada, sono morti travolti da una valanga nel corso della discesa.
‘Parete Sud’ ripercorre la vita dell’alpinista offrendo una lettura profonda, assolutamente consigliata, che grazie al lavoro di traduzione di Calvi porta a navigare nelle esplorazioni e nella personalità di Auer con una sensibilità speciale.
Lei conosceva bene Hansjörg Auer, che persona era?
Era uno di quei personaggi da conoscere assolutamente: un fortissimo alpinista, che aveva realizzato degli exploit incredibili, ma che era soprattutto un ragazzo timido e sensibile. Era veramente enorme, aveva braccia giganti, sembrava un ragno. Una persona d’oro. Un inno alla vita: lo guardavi e ti trasmetteva la voglia di vivere. Pensavo spesso che avrebbe potuto essere mio figlio, per il modo di fare che aveva.
Che impressione le ha fatto quando l’ha visto la prima volta?
Ci siamo conosciuti nel 2018, in occasione della presentazione del libro di Reinhold Messner ‘L'assassinio dell'impossibile’, edito da Rizzoli. Era un ragazzo all’inizio timido e impacciato, ma che appena iniziava a parlare di montagna aveva gli occhi che lampeggiavano di passione. Poi ho notato subito che era molto attaccato al suo essere tirolese: preferiva parlare il suo dialetto piuttosto che il tedesco.
Come si è arrivati alla traduzione italiana del libro?
Dopo qualche anno che il libro non veniva pubblicato in Italia, sono stato contattato dell’architetta sudtirolese Marlene Roner, che mi ha chiesto se sarei stato disponibile per la traduzione. Ho subito acconsentito, per l’amicizia che mi legava all’alpinista. Siamo poi riusciti a recuperare i diritti dalla casa editrice di Monaco, e nel 2023 abbiamo ricevuto il benestare. In seguito sono venute a trovarmi la madre del ragazzo, Traudi Auer, e la compagna Tatjana Raich: abbiamo parlato e concordato le basi per affrontare il lavoro. Ho cercato una casa editrice, e ho trovato Corbaccio, che mi ha dato manforte.
Che legame emotivo ha creato con Auer grazie al libro?
Questa pubblicazione è stata molto importante: a livello emotivo è stato come riallacciare il contatto con Hansjörg. Quando è morto ci sono rimasto molto male. Non è il primo degli amici che perdo in montagna, e ogni volta è una botta. Con Hansjörg però è stata particolarmente dura, avevamo cerato una bellissima amicizia. Tradurre la sua autobiografia è stato un po’ come farlo rivivere. Sono tanti anni che lavoro come traduttore, ma questa è stata una delle esperienze più forti. Ogni volta che apro quel libro è come se vedessi la faccia di Hansjörg che mi guarda e sorride. Come se mi facesse l’occhiolino, dicendomi: “Avevi detto che volevi farlo e ci sei riuscito, vecchio pazzo”.
Inizialmente, in Italia, Parete Sud non è stato preso in considerazione e non è stato tradotto per molti anni…
Sì, in Italia molte case editrici lo avevano snobbato, pensando che parlasse solo del suo exploit in Marmolada, mentre Auer nel libro racconta quell’avventura ma anche mille altre cose, è un’autobiografia stupenda. Per riuscire a pubblicare la versione italiana è stato fondamentale il grande aiuto che ho ricevuto da parte dell’architetta Marlene Roner, della casa editrice Corbaccio, e del presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella, che si è dato molto da fare anche per organizzare future presentazioni.
Quali emozioni le ha regalato il lavoro di traduzione?
È stata una gioia pura: è un libro scritto molto bene, chi ha aiutato Auer con il lavoro di redazione non ha rovinato il suo modo di esprimersi. È scritto esattamente come parlava Hansjörg, l’unica differenza è che lui si esprimeva in dialetto. Per il resto è esattamente così com’era lui: sembra di vederlo scalare. Scrive, ma è come se stesse arrampicando: a un certo punto si ferma, quando vede il passaggio per salire. Così anche nella scrittura a volte si interrompe, per raccontare un diverso capitolo di vita. La traduzione del libro è stata come una scalata: si arriva a conoscere la vita di Hansjörg seguendo il suo modo di arrampicare.
Quali sono i temi toccati da ‘Parete Sud’?
L’alpinista racconta di quando andava insieme al papà a piedi sulle montagne vicino a casa, il suo modo di pensare, di affrontare le camminate. Poi ci sono le ascese in solitaria, il suo rapporto con il free solo, le amicizie. Ricorda di come, all’inizio, non avendo soldi per comprare l’attrezzatura, insieme a un amico si erano procurati una corda usata, qualche moschettone, e avevano comprato un solo paio di scarpette, che si passavano arrampicando una volta a testa. La dice lunga sull’approccio dell’alpinista alla montagna.
Ha scoperto qualcosa di nuovo su Hansjörg Auer grazie al lavoro di truduzione?
Hansjörg parla del suo rapporto con i disturbi alimentari e l’anoressia, dei quali non ero a conoscenza, non me ne aveva mai parlato. Racconta di come ha iniziato a mangiare sempre meno per tenersi alla roccia, essere sempre al massimo della forma e il più leggero possibile, e poi a un certo punto è diventato anoressico. Sono dei passaggi molto potenti del libro, che sarebbe opportuno che leggessero i giovani, visto che molti scalatori sportivi soffrono di disturbi alimentari. Ho anche scoperto, traducendo il libro, del suo forte legame con la religione, la famiglia e il suo paese natio. Era cattolico, molto credente, ma mai in maniera impositiva, viveva la fede con serenità.
La Via Attraverso il Pesce in Marmolada resta un punto di svolta nella vita dell’alpinista…
Solo dopo tre capitoli del libro racconta questa avventura, ricordando di come, dopo questo exploit, le persone si fossero accorte all’improvviso di lui. Era tornato a casa sentendosi quello di sempre, ma da quel momento tutti gli chiedevano l’autografo. Quando sono arrivate le case di produzione e gli sponsor allora si è reso conto di quello che aveva fatto. Parla anche di questa impresa con una delicatezza estrema, la stessa che aveva quando arrampicava: sembrava che appoggiasse la mano, accarezzava l’appiglio, non lo afferrava. Così ha anche accarezzato la carta, scrivendo la sua autobiografia.
“Fino a quando persone come Hansjörg Auer andranno alla ricerca di avventura, pericoli e difficoltà in assoluta esposizione, per poi raccontarne apertamente, l’alpinismo tradizionale sarà vivo”, scrive Reinhold Messner nella prefazione del libro..
Sì, ricordando Auer, Reinhold Messner sembra davvero commosso. Al suo testo ho però voluto aggiungere, nella prima parte, anche un’introduzione del personaggio, per dare un’immagine della sua cifra alpinistica, ma soprattutto umana. È stato facile tradurlo perché quando parlava, così come quando scriveva, faceva trasparire sé stesso e l’amore per la montagna. Penso che perpetuare la memoria consenta di evitare la morte, e con questo libro stiamo perpetuando in qualche modo la vita di Hansjörg.
In che modo il lavoro del traduttore porta a navigare nelle vite delle persone?
Avendo conosciuto di persona Hansjörg sono stato facilitato nel mio lavoro: sapevo già come parlava, e lo avevo già tradotto sul palco durante alcuni eventi. Avevo compreso il modo che aveva di scherzare, i suoi punti deboli e quelli di forza, i vizi e le virtù, se si esprimeva con frasi brevi o lunghe. Questo libro mi ha permesso di creare un legame ancora più forte con Hansjörg.
C’è un’avventura in particolare di Auer che vuole ricordare?
Sì, la via Bruderliebe, sulla parete sud della Marmolada. Un’ascesa della quale parlano in pochissimi, e che invece è davvero interessante: l’ha infatti scalata insieme al fratello minore Vitus, che non si aspettava minimamente di affrontare una parete così impegnativa.
Quale è era il rapporto di Auer con la montagna?
La montagna per lui era tutto. Amava in particolare le Dolomiti e l’esplorazione: scalare un settemila sconosciuto, dove non era mai passato nessuno e non prendeva il telefono. Erano quelle le pareti sulle quali poteva mettersi davvero alla prova. Era questo che lo faceva stare bene.
Perché consiglia di leggere Parete Sud?
Spesso la letteratura di montagna viene percepita come di minor valore, mentre sono anni che ripeto che non è così. Il libro di Hansjörg Auer ne è un esempio, appartiene alla migliore letteratura di esplorazione. È una lettura profonda, un libro da leggere pianissimo. Ti entra nel cuore e ti prende dentro, permettendoti di entrare e vivere il suo mondo.