Chi vuol esser lieto sia, dell’oro bianco non c’è certezza: dei 101 comprensori appenninici, il 41% è già oggi abbandonato
Roccaraso sarà forse l’ultimo comprensorio a chiudere i battenti, per quota e dimensione, e noi gli auguriamo senz’altro lunga vita, ma anche il suo destino è segnato, e forse non è nemmeno una cattiva notizia, se nel frattempo anziché nascondere i dati dietro le maschere di Carnevale o continuare con l’accanimento terapeutico riusciremo a diversificare il nostro modo di divertirci e di frequentare la montagna
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di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
In questi giorni la vicenda di Roccaraso con i suoi 200 e passa pullman di napoletani letteralmente catapultati dalle pendici del Vesuvio ai 1200 metri di quota del piccolo borgo abruzzese (in fondo solo 100 metri più alto della cima del vulcano, ma tutt’altro contesto climatico, a dimostrazione che le quote delle montagne non sono tutte uguali…) mi ha fatto venire in mente un parallelismo con il Titanic: tutti a ballare mentre il transatlantico si dirige verso il fatidico iceberg, quello della fine delle stagioni dello sci e della neve in Appennino.
Ma in fondo, “chi vuole esser lieto, sia, di doman non c’è certezza”, suggeriva più di cinque secoli fa Lorenzo de’ Medici nella Canzona di Bacco, il più famoso dei Canti carnascialeschi, ideato nel 1490 per essere eseguito con musica e in forma corale durante le feste del Carnevale, un’esortazione a godere pienamente delle gioie della vita nella consapevolezza della loro fugacità. A chi si può negare dunque di fare festa, forse l’istinto più umano che esista, nel breve orizzonte della vita?
Sentimento di quasi gioiosa caducità o catastrofe imminente sono alcune delle sfumature posturali di tutti noi di fronte al cambiamento climatico, che oscillano dall’indifferente rassegnazione di chi vive alla giornata, incurante del futuro (“tanto è sempre stato così, il clima è sempre cambiato, e chi vuol esser lieto sia), all’allarmismo tragico delle Cassandre che paventano l’estinzione umana o addirittura la distruzione del pianeta, e magari la necessità di prepararsi per la migrazione su Marte. In questo marasma emotivo, una bussola c’è, e sono i dati, a cui non resta che aggrapparsi, come un faro nel mare in tempesta dei nostri emoticons.
Giuliano Bonanomi, docente di patologia vegetale al Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, da buon appassionato di montagna, si è divertito a raccoglierli e ad analizzarli scrupolosamente per i comprensori sciistici dell’Appennino, di cui Roccaraso è il maggiore. Ne è uscito qualche mese fa un articolo documentatissimo dal titolo davvero azzeccato (Winter is coming for ski resorts, che trovate QUI), che fa il punto sulla situazione degli impianti in Appennino, ma anche sulle proiezioni climatiche dei prossimi decenni.
Partiamo dall’iceberg: l’industria dello sci è il settore economico più direttamente e rapidamente interessato dal cambiamento climatico, ci dicono gli studiosi. La durata della copertura nevosa nelle Alpi si è ridotta di oltre il 5% per ogni decade negli ultimi 50 anni, in Svizzera la stagione della neve già nel 2015 è iniziata 12 giorni dopo e finita 26 giorni prima rispetto al 1970; ogni grado di temperatura in più si traduce in 150 metri di innalzamento medio della “neve affidabile” (definita tale dagli esperti con spessore di 30 centimetri per almeno 100 giorni l’anno): in uno scenario futuro con 2 o 4 gradi di temperatura in più rispetto al secolo scorso (scenario a cui ci stiamo rapidamente avvicinando) dal 50 al 98% dei comprensori sciistici si troveranno con neve insufficiente, e anche la neve artificiale non potrà supplire che parzialmente a questo deficit.
Eppure, nella legge finanziaria del 2024, il governo ha stanziato 148 milioni di euro per sostenere l’espansione, il rinnovamento o l’appianamento dei deficit dei comprensori sciistici nelle Alpi e negli Appennini. Si continua a ballare sul Titanic.
Ma veniamo ai dati sui comprensori appenninici attuali, di cui Bonanomi e collaboratori ci offrono una panoramica precisa: su 101 comprensori, il 41% è già oggi abbandonato, il 32% è chiuso temporaneamente (negli ultimi 7 anni su 10), il 28% è ancora aperto. Tra questi il comprensorio dell’Alto Sangro-Roccaraso-Rivisondoli, il più importante dell’Appennino per dimensioni, con i suoi 90 chilometri di piste comprese tra i 1300 e 2100 metri, il quarto comprensorio per dimensioni in Italia.
L’articolo continua evidenziando la correlazione positiva tra crisi e chiusura degli impianti, dimensioni e quota. Chiudono prima gli impianti a quote relativamente più bassa e di dimensioni minori. L’invito, molto prudente, degli autori dell’articolo è quello di leggere attentamente e soppesare questi dati, prima di pensare a nuovi investimenti sullo sci in Appennino nel futuro.
Roccaraso sarà forse l’ultimo comprensorio a chiudere i battenti, per quota e dimensione, e noi gli auguriamo senz’altro lunga vita, ma anche il suo destino è segnato, e forse non è nemmeno una cattiva notizia, se nel frattempo anziché nascondere questi dati dietro le maschere di Carnevale o continuare con l’accanimento terapeutico riusciremo a diversificare il nostro modo di divertirci e di frequentare la montagna.
Chi vuol esser lieto sia, dell’oro bianco non c’è certezza.