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Ambiente

Vallone delle Cime Bianche: i rischi di un’irreparabile devastazione ambientale. Paolo Cognetti: "Esiste da sempre e tra poco non esisterà più"

Il Vallone delle Cime Bianche è una zona di particolare rilevanza naturalistica. Da circa dieci anni è purtroppo minacciato da un progetto di collegamenti funiviari tra impianti sciistici definito da Legambiente del tutto irragionevole, sotto vari punti di vista: naturalistico, economico e geologico

di
Giuseppe Mendicino
12 luglio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

«C’è un ultimo vallone selvaggio ai piedi del Monte Rosa, esiste da sempre e tra poco non esisterà più», così scriveva Paolo Cognetti in un articolo su Robinson (Repubblica) del  16 luglio 2017, e così ne parla nel 2024 Enrico Camanni, nel capitolo Le Cime Bianche del suo libro La montagna sacra, da poco pubblicato da Laterza: «…il progetto del collegamento funiviario delle Cime Bianche sta diventando uno spartiacque, una scelta epocale, una specie di passo di non ritorno, ben più delle avventure speculative che l’anno preceduto. (…) Se cinque anni fa era solo un business azzardato e distruttivo, il collegamento sta diventando il paradigma dell’ostinazione progettuale contemporanea perché si basa su tre risorse decisamente scarseggianti: la neve, l’energia e il denaro pubblico».

 

Il Vallone delle Cime Bianche è una zona di particolare rilevanza naturalistica. Il suo valore ambientale è confermato dall’essere classificata come Zona di protezione speciale, sotto egida europea: “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” (IT1204220), integrata nella rete europea Natura 2000.

Lo si può raggiungere incamminandosi dal paese di Saint Jacques, a 1.689 metri, in alta Val d’Ayas, e avendo come meta finale il Gran Lago delle Cime Bianche (Gran Lac), con eventuale salita al Colle Nord delle Cime Bianche, al confine con la Valtournenche.

Fotografia di Francesco Sisti

 

La particolare bellezza di questa escursione deriva dalla sua varietà e ricchezza: all’inizio ci si immerge in estesi lariceti - che in autunno toccano il culmine della loro dorata bellezza -, nella parte finale il paesaggio diviene selvaggio e aperto, dominato da alte vette e ampi laghi luminosi. L’estate consente di camminare a lungo, per molte ore, ma forse è proprio l’autunno il tempo migliore per salire e ammirare questi luoghi, per la luce tersa tra cielo e nuvole, i riflessi di laghi e torrenti, i colori accesi di boschi e prati.

 

Le Cime Bianche sono, da nord a sud: la Gran Sometta (3.166 metri), il Bec Carré (3.106 metri) e la Pointe Sud ( 2974 metri) e dominano la destra orografica del vallone, separando Val d’Ayas e Valtournenche. Oltre la bellezza naturale, si tratta di luoghi ricchi di storia e di civiltà. La parte iniziale del percorso - la frazione di Fiery e i suoi dintorni - è stata descritta ed evocata da molti scrittori e viaggiatori come Guido Gozzano, Antonio Borgese, Salvator Gotta, Luigi Albertini, Pier Giorgio Frassati, e soprattutto dall’Abbé Amé Gorret, parroco per molti anni a Saint Jacques, uomo di cultura e di alpinismo (in cordata con Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Bich e Jean-Augustin Meynet realizzò la prima ascensione  italiana al Cervino, preceduta di tre giorni dalla prima assoluta guidata dall'inglese Edward Whymper) e autore, insieme a Claude Bich, di una memorabile guida illustrata della Val d’Aosta. Da qui passarono negli ultimi secoli le genti Walser, ma anche pastori e contrabbandieri, pellegrini e commercianti, diretti verso gli alti passi e la Svizzera o provenienti da questi.

 

Salendo oltre Fiery, si lascia il sentiero che accomuna questa escursione con l’altra, di gran lunga più nota e frequentata, che permette di arrivare, proseguendo verso nordest, ai Piani di Verra, il grande pianoro da dove si possono ammirare le vette più alte del Gruppo del Rosa: il Breithorn, la Roccia Nera, Castore e Polluce. Un’altra imperdibile escursione in zona è quella che, seguendo il sentiero 8E, consente di giungere a Plan de Tzére, a 2.178 metri, godendosi orizzonti di rara bellezza, e rinfrescandosi nel torrente Tzére, e magari salire alla vicina Alpe Ceucca (o Alpe Cucaz), altrettanto panoramica. Il Plan di Tzére e l’Alpe Ceucca sono però alle porte del Vallone delle Cime Bianche, da lì non lo si può ancora vedere.

 

Per raggiungere e ammirare il Vallone conviene seguire con decisione il sentiero numero 6 (sentiero principale). Dal sentiero, si arriva prima all’Alpe Ventina e poi all’Alpe Vardaz e ai suoi pianori, dove, dopo pochi metri, inizia la Zona di protezione speciale. Risalendola, non troviamo più baite, sentieri gradinati e ponticelli di legno. Il paesaggio diviene sempre più selvaggio e solitario: nel Vallone delle Cime Bianche, l’ultimo “avamposto” umano è l’Alpe Mase, quota 2400 metri, a poco meno di un’ora dall’Alpe Vardaz.

Fotografia di Annamaria Gremmo

 

L’immersione nella natura è totale. La fatica è ripagata da visioni di alta e aspra montagna, rocce e torrenti, stambecchi e camosci, erbe mosse dal vento e silenzi.

Da circa dieci anni, il Vallone è purtroppo minacciato da un progetto di collegamenti funiviari tra impianti sciistici definito da Legambiente del tutto irragionevole, sotto vari punti di vista: naturalistico, economico e geologico.

 

I rischi erano stati ben evidenziati da Paolo Cognetti lasciando parlare i fatti, mostrando come si costruisce una pista da discesa, con quali mezzi e con quali effetti; come viene spazzato via, irreparabilmente, un magnifico ambiente montano.

 

«Una pista si fa così: si prende un versante della montagna che viene disboscato se è un bosco, spietrato se è una pietraia, prosciugato se è un acquitrino; i torrenti vengono deviati o incanalati, le rocce fatte saltare, i buchi riempiti di terra; e si va avanti a scavare, estirpare e spianare finché quel versante della montagna assomiglia soltanto a uno scivolo dritto e senza ostacoli. Poi lo scivolo va innevato, perché è ormai impossibile affrontare l’inverno senza neve artificiale: a monte della pista viene scavato un enorme bacino, riempito con l’acqua dei torrenti d’alta quota e con quella dei fiumi pompata dal fondovalle, e lungo l’intero pendio vengono posate condutture elettriche e idrauliche, per alimentare i cannoni piantati a bordo pista ogni cento metri. Intanto decine di blocchi di cemento vengono interrati; nei blocchi conficcati piloni e tra un pilone e l’altro tirati cavi d’acciaio; all’inizio e alla fine del cavo costruite stazioni di partenza e d’arrivo dotate di motori: questa è la funivia. Mancano solo i bar e i ristoranti lungo il percorso, e una strada per servire tutto quanto. I camion e le ruspe e i fuoristrada. (…) Chi non mi crede o pensa che io stia esagerando faccia un giro intorno al Monte Rosa in estate: sciolta la neve artificiale le piste sembrano autostrade dai perenni cantieri, circondate da rottami, edifici obsoleti, ruderi industriali, devastazioni di cui noi stessi malediciamo i padri». L’articolo si chiude con l’invito a chi abita e lavora su quelle montagne a preservarle: «Tra cent’anni la vera ricchezza non saranno le piste che abbiamo costruito, ma la montagna che abbiamo lasciata intatta».

 


Fotografia di Marco Soggetto

 

Avevo riportato questo brano nel mio libro Portfolio alpino, del 2017,  speravo che la mobilitazione di tante persone e associazioni sensibili alla tutela delle montagne (20.100 firme contro il progetto, il bellissimo libro fotografico L’ultimo Vallone selvaggio di Annamaria Gremmo e Marco Soggetto, manifestazioni ed eventi molto partecipati, ricorsi ben documentati alla Comunità europea) fermasse un’operazione costosa e impattante, in un territorio alpino già in gran parte occupato da impianti, da cemento e ferraglia. Invece no, in seguito all’approvazione del DEFR 2020-2022, recepito dalla Regione Valle d’Aosta nel marzo 2023, è stato commissionato un studio di fattibilità, reso pubblico dopo due mesi a seguito delle pressanti richieste di accesso agli atti da parte di alcune associazioni ambientaliste (Valle Virtuosa e il Progetto fotografico in difesa del Vallone di Gremmo e Soggetto). C’è una forte volontà politico-economica di procedere, il Vallone quindi è perduto? È tutelato da vari gradi di normativa, europea, nazionale, regionali, la partita è quindi ancora aperta e nessun lavoro è stato ancora avviato. Chi si batte da sempre per questa giusta causa si farà sentire, sino all’ultimo.

 

Sabato 3 agosto 2024, ore 8.30, è in programma la quarta salita per il vallone. Di seguito il programma della giornata:

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