Un anno in Antartide tra mesi in isolamento totale e -80 gradi di temperatura, Davide Carlucci: ''Qui studiamo i cambiamenti climatici''
Distese di ghiaccio e temperature fino a -80 gradi. Il racconto di un anno in Antartide: "Qui studiamo i cambiamenti climatici, in completo isolamento ai confini del mondo."
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
“Cosa vuol dire vivere nella stazione Concordia? Le condizioni sono talmente estreme che, al di là di noi ricercatori, non è presente nessun'altra forma di vita, batteri compresi." Tra tutti, non esiste forse un dato che meglio esprima la distanza (geografica e non solo) che separa il mondo abitato dall'essere umano da quello che, a tutti gli effetti, è il luogo più freddo e inospitale della Terra, più simile per certi versi alla superficie lunare che a quella del nostro pianeta: il plateau Antartico. Eppure è proprio lì, tra temperature per mesi inferiori ai -80 gradi centigradi e una lunga notte polare di ben 100 giorni, che ogni anno un gruppo di ricercatori vive per 13 mesi: a Concordia, la base di ricerca permanente italo-francese costruita a 3.232 metri di quota grazie ad un accordo congiunto tra l'Enea (l'Ente italiano per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) e l'Istituto Polare Francese Paul-Èmile Victor. A guidare il gruppo (formato da esperti di entrambe le nazioni) nell'ultima spedizione antartica è stato il ricercatore Davide Carlucci, dei Laboratori Nazionali di Legnaro dell'INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), che a L'AltraMontagna ha raccontato l'incredibile esperienza vissuta nell'ultimo anno letteralmente ai confini del mondo dove, dopo i primi mesi più 'miti' (si fa per dire, le temperature erano comunque attorno ai -40 gradi) per il restante periodo freddo i 12 partecipanti al team di ricerca del DC19 sono stati completamente isolati dal resto del mondo (se si escludono i misurati contatti telematici). Il tutto per portare avanti fondamentali attività di ricerca nei campi più disparati: dalle osservazioni astronomiche al cambiamento climatico, dallo studio del plasma atmosferico all'attività di sismologia, rese possibili proprio dalle condizioni estreme dell'ambiente antartico e dalla sua posizione unica. Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, la base. I lavori alla Concordia sono iniziati nel 1996 da una collaborazione italo-francese grazie ad un accordo voluto da Mario Zucchelli, quando venne realizzata una prima installazione temporanea, operativa solo nella stagione estiva, per fornire il supporto logistico alla missione European Project for Ice Coring in Antarctica (EPICA) e si sono conclusi nel 2005, anno della prima missione invernale. Da allora ogni anno spedizioni di ricerca si susseguono alla base per una durata di circa 13 mesi. Questo vuol dire che i ricercatori che scelgono di rimanere al Polo Sud si trovano a vivere anche i mesi dell'inverno antartico. “L'attività a Concordia – dice Carlucci – è organizzata dal PNRA (il Programma Nazionale di Ricerca in Antartide) italiano, dall'IPEV e dall'ESA, l'Agenzia spaziale europea. Quest'anno il team era composto da 12 ricercatori impegnati in 38 diversi progetti di ricerca. Per me è stata la prima volta in Antartide, ma devo dire che grazie al programma sviluppato dal PNRA la preparazione per la missione è stata di altissimo livello”. Nel gruppo erano presenti anche due medici, uno dei quali arrivato direttamente dall'ESA per studiare la capacità di adattamento dei ricercatori alle condizioni estreme dell'Altopiano Antartico, che, con le dovute differenze, ricordano come detto quelle che potrebbe vivere un astronauta sulla Luna o su Marte. “Durante il cosiddetto 'winter over' – dice infatti il ricercatore – l'isolamento alla base è completo: le condizioni e le temperature sono talmente estreme che nessun mezzo è in grado di operare, anche nel caso di un'emergenza medica”. La base è composta da due edifici circolari, sollevati dal ghiaccio sottostante e alimentati da tre generatori: “Sono in pratica delle 'torri' sul ghiaccio – spiega Carlucci – in una c'è un piccolo ospedale, i laboratori e le camere dei ricercatori. Nell'altra le officine, dei magazzini, una piccola palestra, la cucina e la living room”.
L'intera esistenza della base è legata, ovviamente, al funzionamento dei generatori, che mantengono all'interno delle strutture una temperatura di circa 18 gradi, mentre all'esterno la colonnina di mercurio può come anticipato scendere al di sotto dei -100 gradi centigradi. “A turno, uno dei tre generatori entra in funzione mentre gli altri due sono tenuti a riposo o vengono sottoposti a manutenzione – sottolinea il capospedizione – perché la sopravvivenza dell'intero gruppo è ovviamente legata al loro funzionamento. Le temperature esterne, come si può immaginare, non sono adatte alla vita: le uscite giornaliere per raccogliere dati e informazioni sul campo possono durare al massimo 1-2 ore, non di più”. Dopo l'arrivo a Concordia nel pieno dell'estate antartica (temperatura -38 gradi), Carlucci ed il suo team hanno assistito pian piano al calo delle temperature fino all'arrivo dell'inverno, quando a maggio il sole non è mai sorto oltre l'orizzonte: “La temperatura più bassa l'abbiamo registrata in quel periodo – dice – ed è stata pari a -83,9 gradi centigradi. A livello di temperatura percepita però il limite minimo registrato è stato di -104 gradi. Anche in presenza di temperature così estreme però, le attività esterne proseguono: il discrimine è dato dall'intensità del vento (che non può superare i 20 nodi) o dalla presenza di un fenomeno particolare, il whiteout. In questo caso la sospensione dei cristalli di ghiaccio nell'aria è così fitta che non si riesce a vedere nulla se non una coltre bianca tutt'attorno, perdendo quindi la capacità di orientamento. Come station leader, ogni mattina effettuavo un briefing sulle condizioni meteo per dare il via libera, o meno, alle attività esterne”.
Attività che, ovviamente, possono essere svolte solo grazie agli indumenti realizzati appositamente per le missioni antartiche (e che, per ribadire il concetto, assomigliano in alcune componenti, come gli scarponi, a quelli indossati dagli astronauti durante le missioni lunari): ogni ricercatore all'esterno della base è comunque in continuo contatto radio e sotto osservazione con telecamere ad infrarossi e nel momento in cui, per qualunque motivo, si riscontrano situazioni di pericolo l'intervento di soccorso è immediato. “Già il viaggio per arrivare alla base – spiega Carlucci, che nei suoi anni di attività ha anche frequentato la scuola di volo dell'Aeronautica Militare Italiana – è uno dei più estremi al mondo. Una volta scesi sulla superficie ghiacciata del plateau ci si rende veramente conto di cosa voglia dire trovarsi ai confini del pianeta. Una giornata-tipo si divide in 3-4 ore di attività, tra preparazione e uscite esterne, e poi in altrettante ore dedicate all'analisi delle informazioni raccolte e all'invio dei dati in Europa. Nelle condizioni estreme del plateau le giornate sono molto impegnative e già poche ore all'esterno risultano sfiancanti, così la sera normalmente ci si ritrova tutti nella living room, dove è presente, oltre ad una grande libreria, anche un calcetto, un tavolo da ping pong ed un biliardino, per passare del tempo di relax assieme”.
Dal punto di vista del cibo poi, dopo gli ultimi rifornimenti 'freschi' in arrivo, con la chiusura della finestra estiva la dieta dei ricercatori si limita ai soli prodotti surgelati: “Non ci serve certo il freezer – scherza Carlucci – teniamo i viveri in alcuni container all'esterno della base”. E nell'area di Concordia non c'è nemmeno il rischio che le provviste attirino animali di alcun tipo: “Con temperature così estreme non si sviluppa nessuna forma di vita, nemmeno i batteri. Noi 'invernanti', dopo 13 mesi trascorsi alla Concordia, dobbiamo moderare il nostro ritorno alla vita 'normale', visto che il nostro sistema immunitario risulta sensibilmente indebolito”. Come anticipato, in tutto sono stati 38 i progetti di ricerca ai quali hanno lavorato i membri di quest'ultima spedizione: lo stesso Carlucci, oltre ad essere station leader, ne gestiva 10 relativi a vari ambiti, dal cambiamento climatico alla glaciologia fino alla fisica dell'atmosfera: "Mi sono anche occupato di misure di fisica dell'atmosfera, grazie all'utilizzo di un fascio laser che, sincronizzato con un 'gemello' sistemato su un satellite in orbita, permette di studiare la composizione delle nubi, anche questa attività è volta allo studio del cambiamento climatico, partendo dal meteo in Antartide. Anche qui, nonostante le temperature estreme dell'Altopiano, lungo le coste il riscaldamento climatico si fa sentire: in alcune basi in costa la colonnina di mercurio per alcuni periodi è andata al di sopra delle zero e in diverse stazioni è stata osservata addirittura la pioggia, un evento impensabile fino a pochi anni fa”.
Viste però le condizioni estreme citate in precedenza, perché concentrare gli sforzi dei ricercatori proprio in luogo così inospitale? “L'Antartide in generale – risponde lo station leader italiano – e la base Concordia in particolare rappresentano dei favolosi laboratori a cielo aperto per tantissime attività. Innanzitutto, l'analisi paleoclimatica è il cardine della ragione d'essere di Concordia, e sul plateau antartico i carotaggi di ghiaccio hanno già permesso di ricostruire il passato climatico del nostro pianeta fino a circa 800 mila anni fa". Il processo (su ben altra scala) lo avevamo descritto in passato parlando delle attività di ricerca portate avanti su alcuni ghiacciai alpini (Qui Articolo): il ghiaccio, nella sua formazione, intrappola per così dire delle quantità di aria (sotto forma di piccole bollicine), al cui interno gli scienziati sono in grado di rintracciare la presenza di Co2 o di altri composti per studiare la composizione dell'atmosfera stessa in un dato lasso temporale. “L'Antartide – dice Carlucci – nonostante le apparenze è il più grande deserto del pianeta, e le scarsissime precipitazioni (si parla di circa 2 centimetri di neve l'anno) ci permettono di 'viaggiare' indietro nel tempo fino anche a 1,5 milioni di anni fa, grazie alle operazioni di carotaggio portate avanti dalla Comunità europea con il progetto Beyond Epica (guidato dal professor Carlo Barbante), grazie al quale ci spingeremo fino a oltre 3.200 metri di profondità”. Le informazioni raccolte sono poi fondamentali non solo per la ricostruzione del clima passato sul nostro pianeta, ma anche per la messa a punto di modelli di previsione futura.
“Sono molte però le altre attività che vengono portate avanti a Concordia – continua il ricercatore – a partire dall'osservazione astronomica: la mancanza di inquinamento luminoso e la scarsissima umidità permettono di vedere, anche ad occhio nudo, addirittura i colori dei pianeti e delle stelle in cielo. Personalmente, essendo un appassionato di montagna, ho osservato la Via Lattea da diverse cime, godendomi lo spettacolo lontano dalle luci delle città. Ma lo spettacolo che offrono i cieli dell'Antartide è tutta un'altra cosa: i ricercatori presenti durante la missione hanno lavorato per esempio all'individuazione di nuovi esopianeti, con caratteristiche quindi simili a quelle terrestri”. Un altro ambito indagato è quello della sismologia: “L'assenza di attività umane ci permette di ridurre al minimo l'errore di misurazione degli strumenti e, analizzando i sismi che avvengono in tutto il mondo, riusciamo tramite un processo di reverse engineering a studiare e capire nel dettaglio la struttura del nucleo del nostro pianeta e l'orientamento delle placche. Per la sua posizione poi, il plateau Antartico è perfetto anche per misure di geomagnetismo estremamente precise: i poli magnetici tendono infatti a spostarsi, arrivando in alcuni casi a rappresentare un problema per alcune tipologie di navigazione: essendo vicinissimi al polo, le misure effettuate dalla base hanno una precisione assoluta che permette di regolare i sistemi di navigazione”.
Lo stesso Carlucci è stato impegnato poi in un progetto di studio del plasma atmosferico, attraverso un grande radar presente in loco: il Super dual auroral network. “Lo studio dei fenomeni meteo atmosferici, che si verificano nella ionosfera, è sempre più importante – spiega – ed il radar ci permette di verificare intensità e direzione delle tempeste solari che colpiscono la Terra. Si tratta di fenomeni ancora misteriosi per certi versi, collegati alla formazione di grandi quantità di plasma atmosferico e a stati di particolare sofferenza per le comunicazioni a livello mondiale. Visto l'impatto del plasma, per dire, diversi istituti bancari hanno iniziato a schermare gli edifici che contengono i server per scongiurare eventuali rischi”. Alle attività di ricerca vere e proprie si unisce però anche la consapevolezza di trovarsi in un luogo incredibile e unico, dove pochissimi altri sono arrivati: “Prima di questa esperienza – conclude Carlucci – ho passato la mia vita lavorativa ai Laboratori nazionali di Legnaro dell'INFN, dove mi sono sempre occupato di installazioni, collaudi e operazioni di acceleratori di particelle. Per tanti anni abbiamo fatto misure anche su campioni arrivati dall'Antartide e da lì è nata la mia curiosità scientifica, alimentata poi da una passione per l'ambiente nata vivendo appieno le cime dolomitiche. Nonostante le temperature e la lunga notte polare non c'è dubbio: rifarei tutto daccapo”.