Senza natura non può esserci agricoltura: le politiche ambientali europee criticate dal movimento dei trattori non sono il vero problema
Sessant'anni fa la biologa Rachel Carson ci metteva in guardia dai pericoli insiti nell'utilizzo eccessivo dei fitofarmaci di sintesi in agricoltura e da allora il declino degli insetti e della biodiversità nei terreni agricoli non si è arrestato. Eppure stiamo assistendo ad una strumentalizzazione delle proteste degli agricoltori europei per minare le politiche ambientali che dovrebbero invertire questa rotta pericolosa, ma siamo sicuri che le politiche ambientali siano il vero problema degli agricoltori?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Ci sono libri che racchiudono già nel titolo la potenza del messaggio contenuto nelle loro pagine. Uno di questi è Primavera silenziosa, scritto all’inizio degli anni ’60 dalla biologa Rachel Carson; un libro che prende origine dalla constatazione di un’assenza. Nello specifico, la scomparsa degli uccelli nel giardino di un’amica di Rachel, che uno dopo l’altro erano capitolati al suolo a seguito di una disinfestazione aerea a base di DDT. Il giardino era diventato improvvisamente silenzioso. E così molte zone rurali americane, zittite dall’esplosione di quella che venne chiamata proprio “the insect bomb”, la bomba di sostanze di sintesi irrorate sui terreni coltivati con lo scopo di sterminare gli insetti. Un’arma che dal secondo dopoguerra aveva illuso il mondo agricolo di poter finalmente sconfiggere un nemico in verità auto-creato, perché l’aumento di insetti parassiti andava di pari passo con quello delle monocolture, di per sé più fragili ed esposte ai patogeni. La semplicità nelle intenzioni (eliminare i parassiti) si scontrò tuttavia con la complessità degli effetti provocati, al cui proposito Carson scrisse: “Uno degli aspetti più sinistri del DDT e delle sostanze chimiche similari riguarda la trasmissibilità da un organismo all’altro attraverso tutti gli anelli della catena alimentare”. Una “Fiera dell’Est” in cui dall’insetto al pettirosso, passando per le foglie e i lombrichi ma arrivando spesso anche all’uomo, il risultato era un silenzio tombale. Attenzione però: Primavera silenziosa non esortava all’abbandono totale dei fitofarmaci. “Spruzza il meno che ti sia possibile, piuttosto che spruzzare al limite delle tue capacità”, consigliava Carson.
Da allora sono stati fatti sicuramente grandi passi, primo fra tutti la messa al bando del DDT nella maggior parte delle nazioni ad alto reddito, ma il declino degli insetti non si è arrestato, tanto da essere evidente anche dal cosiddetto “effetto del parabrezza” delle nostre automobili: quando negli anni Sessanta si attraversava con l’automobile una strada di campagna il parabrezza si ricopriva di insetti, tanto da doversi fermare periodicamente per rimuoverli; sessant’anni dopo i vetri delle auto che attraversano quelle stesse strade sono intonsi. Si tratta di un aneddoto che molte persone anziane possono raccontare e che è stato però anche misurato e confermato scientificamente in diverse ricerche. Un gruppo di biologi tedeschi ha catturato insetti per oltre un trentennio in numerose località agricole della Germania per una ricerca a lungo termine: i preziosi dati raccolti hanno certificato un declino catastrofico, equivalente all’82% della biomassa, non soltanto per le specie di insetti più rare e a rischio di estinzione, ma anche per quelle più comuni e diffuse. Conclusioni simili si potevano già ricavare da studi su falene e farfalle della Gran Bretagna, che evidenziavano un significativo declino della numerosità delle popolazioni in due terzi delle specie studiate. Le cause principali sono state ricondotte al cambiamento delle pratiche agronomiche, con l’eliminazione di siepi e boschi, una maggior meccanizzazione, una frequenza più alta e pervasiva dell’aratura, un massiccio utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci e l’espansione dell’urbanizzazione con la cementificazione del suolo.
A parte una ristretta minoranza di naturalisti ed appassionati, la maggior parte delle persone prova sentimenti di repulsione nei confronti degli insetti e potrebbe non essere particolarmente colpita da questi dati. Il punto è che gli insetti svolgono un ruolo chiave negli ecosistemi, primo fra tutti quello dell’impollinazione: oltre l’85% delle piante a fiore richiede l’impollinazione animale. Si stima che il valore economico degli impollinatori selvatici per il settore agricolo globale sia quantificabile in oltre 150 miliardi di dollari (equivalente al 10% della produzione agricola per uso umano). Per dirla con il grande biologo Edward O. Wilson gli insetti sono “quelle piccole cose che fanno funzionare il mondo”. Per questo motivo la riduzione dell’utilizzo di pesticidi dannosi per gli insetti impollinatori è in realtà vantaggioso per le piccole imprese agricole che coltivano colture dipendenti dagli impollinatori, oltre la metà delle quali sta già soffrendo per un deficit di impollinazione. Un terzo di tutte le specie di api selvatiche e farfalle europee è valutato in declino, e questo non può che mettere a repentaglio il servizio ecosistemico di impollinazione cruciale per l’agricoltura e la produzione di cibo.
Questo rischio è stato debitamente preso in considerazione nel Green Deal europeo, un pacchetto di iniziative strategiche annunciato nel 2019, volte ad “azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050 e dissociare la crescita economica dal sovra-sfruttamento delle risorse naturali”, agendo su diverse macroaree: energia, clima, trasporti, agricoltura, sviluppo regionale, industria, ricerca e innovazione, ambiente e oceani. Al suo interno, la strategia agricola Farm to Fork (dal produttore al consumatore) spinge verso una gestione integrata della lotta agli insetti nocivi per l’agricoltura che si fonda sui risultati scientifici (Integrated Pest Management). Queste pratiche integrate prevedono un minor utilizzo di sostanze di sintesi, e un maggior affidamento su sistemi di lotta biologica, creando per esempio ambienti favorevoli alla presenza di insetti predatori o di uccelli insettivori. Questi ultimi, ad esempio, consumano ogni anno 500 milioni di tonnellate di insetti, fra cui anche insetti nocivi alle colture, fornendo un servizio gratuito di controllo biologico per gli agricoltori. Purtroppo un recente report della LIPU indica che in Italia gli uccelli tipici degli ambienti agricoli sono crollati del 36% dal 2000, persino dimezzati in pianura Padana. Favorire la presenza degli insetti impollinatori attraverso una riduzione dei pesticidi e la presenza di fasce prative e quella degli uccelli insettivori tramite la presenza di siepi e alberature, può aumentare la resistenza delle colture e al contempo diminuire i costi legati ai fertilizzanti e ai fitofarmaci, creando agroecosistemi più resistenti nel lungo termine. Le politiche ambientali europee potrebbero perciò beneficiare i piccoli produttori agricoli attraverso una graduale implementazione di queste buone pratiche.
Il 2024 è iniziato però con la protesta del mondo agricolo, dilagata a macchia d’olio nel nostro continente. Accanto a rivendicazioni specifiche che si inseriscono nei rispettivi contesti nazionali, una parte del mondo agricolo ha additato anche il Green Deal europeo e le politiche di salvaguardia dell’ambiente. Il movimento dei trattori ha ottenuto rapidamente delle concessioni in tal senso, ovvero il ritiro della proposta di regolamento sui pesticidi e un nuovo rinvio della destinazione del 4% dei terreni a incolto per la salvaguardia della biodiversità. Una retromarcia da parte dell’Europa che ha molto a che vedere con la Primavera silenziosa e che in realtà premia le grandi agro-industrie ma non i piccoli agricoltori.
Il problema di fondo della filiera alimentare europea che penalizza gli agricoltori è invece da ricercare nella scarsa retribuzione del prodotto agricolo e nei margini di guadagno eccessivi della grande distribuzione. In Italia ad esempio, la grande distribuzione, il cui fatturato è in aumento, controlla il 75% del mercato alimentare e stabilisce di fatto le somme che gli agricoltori ricevono per i loro prodotti, con una disproporzione anche di 20-30 volte fra il prezzo in cui il prodotto viene venduto nei supermercati e quello corrisposto al produttore. Purtroppo, in questo momento le politiche ambientali europee sono sotto attacco da chi cerca di strumentalizzare la protesta degli agricoltori, facendo in modo che si guardi il dito e non si veda così la luna. Il rischio è che a pagarne le spese siano gli agro-ecosistemi che consentono la produzione del cibo, perché senza natura non ci può essere futuro per l’agricoltura.