Quest'inverno in Emilia-Romagna lo zero termico in media è stato oltre i 2.300 metri, ben più della cima più alta dell'Appennino
La media invernale dello zero termico è stata di 2307 metri sul livello del mare, una quota superiore alla maggior parte delle cime appenniniche e alla totalità di quelle dell'Appennino emiliano e romagnolo. Una considerazione sulle implicazioni di questo dato da parte di Federico Grazzini, meteorologo della Regione Emilia Romagna
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La cima più alta dell'Appennino emiliano è quella del Monte Cimone, nel modenese, a 2.165 metri sul livello del mare. Il Cusna, la cima più alta nel territorio reggiano, arriva a 2.120 metri. Nel bolognese la montagna che guarda tutte le altre dall'alto, il Corno alle Scale, non sfiora nemmeno i duemila. Per quanto riguarda l'Appennino romagnolo, poi, le "punte" non superano i 1.650 metri. Questi rilievi hanno in comune una cosa: le altezze massime sono inferiori a quella in cui s'è registrato lo zero termico nell'ultimo inverno, a cavallo tra il 2023 e il 2024.
"Durante l’inverno la quota a cui la temperatura dell’aria in libera atmosfera diventa negativa, si è mantenuta sempre altissima e quasi sempre superiore alla sommità delle cime appenniniche. La media invernale è stata di 2307 m.s.l.m., a pari merito con il record stagionale registrato nel caldo inverno 2019/2020 (2310 m.s.l.m.). Nel periodo 1991-2020, la media invernale dello zero termico sulla regione si è attestata complessivamente intorno ai 1700 metri, ma l’indice, nel corso del trentennio, ha presentato un progressivo aumento di oltre 200 m. La tendenza ha subito un ulteriore incremento negli ultimi tre anni, con una quota media dello zero termico superiore a 1900 metri" spiega un comunicato dell'Agenzia regionale prevenzione ambiente dell'Emilia-Romagna (Arpae).
È stato l'inverno più caldo dal 1961, cioè dal primo anno in cui esistono misurazioni comparabili, quelle ottenute utilizzando il dataset ERG5_Eraclito. L'altezza dello zero termico dipende da una temperatura media regionale che ha raggiunto nell'ultimo inverno un valore di 6,6 °C, superiore di +2,7 °C rispetto alla media del trentennio 1991-2020 (e di 0,4 °C rispetto al precedente record, quello registrato nel 2020). Le temperature massime hanno registrato un valore medio stagionale di 10,7 °C, che è superiore al clima recente di +3,1 °C e record della serie dal 1961. "Per le temperature minime si osserva uno scostamento leggermente inferiore, ma comunque elevato, con media di 2,5 °C rispetto ai 0,2 °C attesi" sottolinea la nota Arpae. Il mese più eccezionale è stato febbraio, con anomalie superiori a +4 °C per temperature medie, massime e minime.
L'altezza dello zero termico assume un significato rilevante perché, come spiega a L'AltraMontagna Federico Grazzini, meteorologo che lavora per la Regione Emilia-Romagna e divulgatore scientifico, "com'è facilmente intuibile più lo zero termico si alza, più la permanenza della neve al suolo diminuisce. In particolare sull'Appennino, il fatto che lo zero sia stato mediamente sopra 2.300 metri, significa che nella maggior parte delle giornate lo zero è stato superiore alla quota delle cime appeniniche, e questo comporta o un'assenza di neve o una fusione di quella caduta nelle giornate in cui lo 'zero termico' era più basso".
Si tratta di un indicatore significativo "se dopo una nevicata il manto nevoso viene immediatamente fuso dall'aimento delle temperature, allora può venirne giù anche un metro ma se quella neve non dura gli effetti di quella precipitazione viene rapidamente portata via dai fiumi verso il mare", alterando cioè il ciclo che vorrebbe nella neve accumulata in altezza la riserva idrica per la primavera e poi l'estate.
C'è poi l'impatto sul turismo, sottolinea Grazzini: "In quest'inverno in particolare abbiamo avuto poche nevicate e la neve si è fusa subito e abbiamo osservato anche diversi giorni con pioggia anche sulle cime appenniniche: la combinazione di questi tre fenomeni ha fatto sì che anche sparare la neve artificiale (oggi c'è chi cerca di ricostruirne l'immagine, e prova a definirla "programmata") non è stata un'opzione, perché sono state poche le giornate favorevoli per produrre neve artificiale, con minime alte e la pioggia a distruggere il lavoro fatto".
"L’inverno 2024 non si presenta come un caso isolato, ma si inserisce in un contesto già fortemente anomalo: insieme all’autunno 2023 è infatti la seconda stagione consecutiva più calda dal 1961" conclude ARPAE. E questo accade nell'indifferenza di chi, a valle, continua ad avallare progetti ed interventi che aumentano le emissioni di gas climalteranti, come nuovi allevamenti intensivi o nuove arterie stradali. "È una situazione sempre più complessa da gestire e il trend che vediamo sulle temperature negli ultimi due anni è molto molto preoccupante, anche per questi aspetti di ricaduta sulla risorse idrica e sul turismo" conclude Grazzini.
(foto © Luca Martinelli - Il monte Cusna innevato visto dalla Pietra di Bismantova, nell'Appennino reggiano, maggio 2021)