Infestazione di bostrico? Non solo Alpi, ma anche Appennini. La tempesta Vaia non è l’unico innesco
I focolai di bostrico si scorgono in modo nitido anche in boschi lontani dalle valli compite da Vaia. Ad esempio sugli Appennini, in Alta Val Parma e in Val Cedra, dove le chiazze provocate dal coleottero si palesano inconfondibili nel paesaggio. Vediamo insieme perché
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il verde scuro e omogeneo dei boschi di abete rosso viene interrotto da chiazze prima color ruggine e poi di una tonalità scialba che, con lo scorrere del tempo, sfuma in un bianco-avorio: nel nord-est, questa dinamica è diventata familiare anche a chi frequenta i territori montani con cadenza sporadica.
Sono i paesaggi del bostrico, piccolo coleottero che trova nell’abete rosso le condizioni ideali per soddisfare i suoi fabbisogni riproduttivi e che, in caso di sovrabbondanza di legname danneggiato, può proliferare in modo incontrollato: proprio com’è avvenuto in seguito alla tempesta Vaia.
Ma gli eventi meteorologici estremi, causati dai cambiamenti climatici, non costituiscono l’unico innesco dell’infestazione.
L’aumento delle temperature e il cambiamento dei regimi pluviometrici, infatti, facilitano anche lo sviluppo del bostrico permettendogli di compiere più generazioni l’anno, ne diminuiscono la mortalità invernale e favoriscono la suscettibilità delle piante; le rendono più vulnerabili, andando a indebolire i loro sofisticati sistemi difensivi. Gli alberi solitamente si difendono dagli invasori mediante la saturazione, con resina, delle cavità scavate dal bostrico; tuttavia, se l’albero ospite è stressato, non riesce a produrre la resina necessaria a respingere i coleotteri, soprattutto quando si verificano colonizzazioni massali.
Lo stress degli alberi può inoltre essere esacerbato in siti dove c’è competizione per l’acqua e per i nutrienti, come nelle foreste fitte, con alberi di grandi dimensioni, maturi o stramaturi. Infine, il bostrico vola attratto dalle sostanze di natura terpenica rilasciate proprio dalle piante indebolite.
Per questi e per altri motivi, il numero di abeti rossi compromessi dagli scolitidi (famiglia a cui appartiene il bostrico) sta subendo un notevole incremento in tutta l’Europa temperata: “Per il primo decennio del XXI secolo - informano Luca Deganutti e Massimo Faccoli, in un articolo pubblicato sulla rivista Sherwood - è stato stimato un aumento dei danni da Ips typographus in Europa pari a sei volte quelli registrati nel periodo 1971-1980, e un ulteriore aumento del 764% è previsto per il periodo 2021-2030”.
La pullulazione del coleottero si scorge quindi in modo nitido anche in boschi lontani dalle valli compite da Vaia. Ad esempio sugli Appennini, in Alta Val Parma e in Val Cedra, dove le chiazze provocate dal bostrico si palesano inconfondibili nel paesaggio. In questi territori – come ha spiegato a L’AltraMontagna Simone Barbarotti, dottore forestale – è una dinamica che ha iniziato a palesarsi dal 2003.
“Val Parma e Val Cedra sono due vallate di crinale della provincia di Parma. Abbiamo un rimboschimento più corposo in Val Parma che è stato fatto negli anni Venti, e abbiamo dei rimboschimenti più recenti, che riguardano la Val Cedra, che hanno una cinquantina d’anni. E queste aree sono state rimboschite anche con l’abete rosso, di varie provenienze di cui la gran parte non sono locali, ma sono alpine”.
“A livello apenninico – prosegue Barbarotti – noi abbiamo avuto nel 2003 uno dei primi attacchi, su una piccola area. Le peccete della Val Parma, che hanno un centinaio d’anni, hanno un carattere di maestosità e di pulizia che è molto gradito ai turisti. Ma per quanto riguarda il nostro appennino l’abete rosso è forse l’albero meno autoctono che possiamo avere, perché le nostre formazioni sono quelle delle latifoglie”.
“L’abete rosso non è quindi stato più utilizzato all’interno del demanio Val Parma per le piantagioni e dal 2003 si è costituito un gruppo di lavoro che sta monitorando e studiando il bosco e il bostrico da vent’anni. Il Parco fin da subito, proprio per la provenienza alloctona dell’abete rosso, ha deciso di non difenderlo con la convinzione che dal punto di vista naturalistico ha più valore osservare un attacco del bostrico rispetto a fermarlo. Dal punto di vista turistico invece in una prima fase siamo stati messi alla gogna, ma adesso ci compatiscono. La scelta del Parco è stata dunque quella di mettere in sicurezza le aree a ridosso dei sentieri, anche con tagli di piante colonizzate, e dove non ci sono aree frequentate ha deciso di osservare e di lasciare quindi spazio alla necromassa”.
“La cosa stranissima è che da noi l’attacco continua a espandersi in modo graduale da vent’anni, con annate che coinvolge più ettari, altre meno (anche perché lo stock di riserva di abete rosso sta via via diminuendo)”.
“Nelle aree più frequentate – conclude – e quindi messe in sicurezza, per velocizzare le dinamiche naturali abbiamo scelto di fare delle piantagioni usando delle latifoglie autoctone: acero di monte, frassini, olmo montano, ciliegio. Crescono in modo sorprendente!”
“Per quanto riguarda la Val Cedra, i boschi possono anche essere in terreni privati. Quindi succede che se ci sono delle piante morte e se da esse si riesce ad avere anche un minimo di mercato, l’idea è quella di tagliarle, anche se da noi c’è un mercato del legname che lascia a desiderare, perché la maggior parte del legno che esce dai nostri boschi o va cippato o va a bancale. Però in Val Cedra i boschi sono a quote inferiori per cui abbiamo subito una rinnovazione esagerata di latifoglie mesofile: frassino, orniello, cerro, e così via”.
Per saperne di più sul bostrico è di recente uscito SOTTOCORTECCIA. Un viaggio tra i boschi che cambiano, il primo libro targato L'AltraMontagna.