Il cambiamento climatico non è il principale responsabile della crisi della biodiversità: ecco perchè
La politica non sembra intenzionata a prendere provvedimenti radicali per contrastare la crisi climatica, sebbene la copertura mediatica di questo tema sia in aumento. Ma siamo sicuri che il cambiamento climatico sia l'unica minaccia ambientale del nostro tempo? Le percezioni comuni potrebbero nascondere dei rischi
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La ventottesima conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico svolta a Dubai il mese scorso conferma un’inquietante consapevolezza: i decisori politici non stanno affrontando la crisi climatica con il coraggio e la determinazione che sarebbero invece sempre più urgenti. In alcuni casi non la stanno affrontando affatto, galleggiando colpevolmente nello status quo. A fronte di questa inazione politica sta però crescendo la copertura mediatica del fenomeno, seppure non sia ancora commisurata alla sua gravità, tanto più che i suoi effetti si fanno sempre più palpabili nella nostra vita quotidiana, con alluvioni, incendi e ondate di calore. La crisi ambientale del nostro tempo viene perciò sempre più identificata con il cambiamento climatico. Di conseguenza, il dibattito pubblico si è fino ad ora concentrato sulle emissioni di gas climalteranti e su come ridurle trasformando gli impianti di produzione di energia attraverso il passaggio alle energie rinnovabili. La transizione ecologica viene perciò spesso interpretata come mera transizione energetica. Ma siamo sicuri che questa immagine sia completa?
Per rispondere a questa domanda chiamiamo in causa la testuggine palustre Emys orbicularis e un uccello costiero, il fratino Charadrius alexandrinus, entrambi considerati in pericolo di estinzione dalla lista rossa dei vertebrati italiani pubblicata nel 2022. È forse a causa del cambiamento climatico che questi preziosi animali selvatici stanno vacillando? In realtà no. Come per gli altri animali vertebrati italiani queste specie sono minacciate principalmente dalla distruzione e la frammentazione del loro habitat naturale: le aree umide planiziali per la testuggine palustre e le dune costiere per il fratino (finito sotto i riflettori durante i concerti balneari di Jovanotti delle scorse estati). L’estesa e diffusa urbanizzazione della nostra penisola, che attualmente viaggia al vertiginoso ritmo di 19 ettari cementificati al giorno, ha distrutto grandissima parte delle zone umide di pianura, e reso estremamente rare le aree costiere naturali, sostituite quasi ovunque da stabilimenti balneari, alberghi e aree urbane.
Se consideriamo gli uccelli nel loro complesso, scopriamo che delle 42 estinzioni avvenute a causa dell’impatto umano dal 1900 ad oggi, solamente il 3% di queste ha avuto il cambiamento climatico come una delle cause preminenti, mentre il 35% è stato in realtà principalmente causato dalla distruzione dell’habitat. Queste cifre si riflettono nei cosiddetti planetary boundaries, cioè un insieme di limiti planetari identificati da un autorevole gruppo di scienziati, dal quale emerge come l’alterazione dell’integrità della biosfera (cioè dell’insieme di tutte le specie viventi) abbia valicato i confini della stabilità del sistema ben più di quanto non si possa dire per il cambiamento climatico. Per quanto riguarda gli impatti sulle specie animali, attualmente il riscaldamento globale è il principale responsabile soltanto in alcuni casi, come per esempio per le specie che abitano le alte quote montane, quelle adattate a regioni aride, o quelle che vivono nell’artico. Senza dubbio il cambiamento climatico impatterà sempre più fortemente sulle specie viventi e sugli ecosistemi con l’andare del tempo, ma al momento gli organismi terrestri stanno venendo decimati principalmente dalla distruzione e dalla frammentazione del loro habitat naturale operata dagli esseri umani, così come quelli marini dalla sovrapesca.
Eppure, l’opinione pubblica sembra in preda ad un grande malinteso, e la copertura mediatica sugli effetti delle alterazioni climatiche sulla biodiversità è tre volte maggiore rispetto a quella relativa alla deforestazione, all’urbanizzazione e la distruzione degli habitat, sebbene questi siano attualmente di gran lunga i principali impatti sugli organismi viventi. In generale, si parla di crisi climatica otto volte di più di quanto non si faccia per la crisi della biodiversità.
Ma perché è importante mettere a fuoco entrambe le grandi crisi ambientali del nostro tempo con la giusta nitidezza? Concentrarsi esclusivamente sulla riduzione e l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica e altri gas climalteranti rischia di farci credere che basti convertire il nostro settore energetico in modo da non renderlo più dipendente dai combustibili fossili per risolvere tutti i problemi ambientali. In realtà anche se riuscissimo a decarbonizzare del tutto le nostre economie, le pressioni sulla biosfera non cesserebbero automaticamente. L’espansione urbana non sarebbe meno dannosa per gli habitat naturali se fosse eseguita tramite ruspe e bulldozer dotati di batterie al litio, così come la sovrapesca non sarebbe meno rovinosa per gli ecosistemi marini se operata da pescherecci elettrici.
Non solo, ma alcune azioni per combattere l’aumento globale delle temperature potrebbero persino essere dannose per molte specie, se compiute attraverso una prospettiva miope. Ad esempio, la costruzione di pale eoliche lungo le rotte migratorie degli uccelli può costituire una significativa fonte di mortalità, così come la proliferazione di dighe lungo i corsi d’acqua può danneggiare profondamente gli ecosistemi fluviali. Senza dubbio trasformare il nostro modo di produrre energia è cruciale per evitare che la crisi climatica superi il punto di non ritorno, ma non basta. Se vogliamo fermare l’erosione dell’architettura vivente che rende abitabile il nostro pianeta non possiamo esimerci dall'arrestare la distruzione degli habitat naturali e dove possibile dovremmo pensare a ripristinarli. Immagazzinando carbonio nei loro tessuti viventi, animali, piante e funghi sarebbero inoltre dei preziosi alleati nella stabilizzazione del nostro clima, facendoci prendere, come si suol dire, due piccioni con una fava.