Il bosco muore?
Una passeggiata nel bosco, in un castagneto che conosco da quando ero ragazzino e che sta crollando su sé stesso.
Una riflessione su cosa significa gestire le foreste: prima di tutto, operare scelte consapevoli
"Il bosco muore": quante volte ho sentito questa espressione, da parte di addetti ai lavori, nel contesto di aree forestali in completo abbandono gestionale!
Molto spesso questa frase mi è stata rivolta direttamente - e con entusiasmo! - come rafforzativo di alcuni miei discorsi sulla necessità di incrementare le pratiche di Gestione Forestale Sostenibile.
Pur comprendendo bene cosa spinge umanamente a ripetere questa frase, mi sono sempre sentito in dovere di contraddirla, perché si tratta di una grande falsità.
No, un bosco abbandonato non muore mai, anzi, si evolve. Con i suoi tempi e le dinamiche, lente o improvvise, tipiche della natura.
Il castagneto protagonista di queste immagini, che conosco da quando ero ragazzino, mi ha accompagnato in innumerevoli escursioni. L'ultima, poche settimane fa, per smaltire gli eccessi di pranzi e cene natalizie.
È abbandonato ormai da tanto tempo e, di anno in anno, l'ho visto collassare su sé stesso, cambiando continuamente fisionomia. Oggi il suo aspetto spaventa chi passeggia lungo il sentiero che lo attraversa: grandi piante spezzate, crollate, enormi ceppaie ribaltate, alberi rimasti in piedi ma completamente secchi.
Un bosco, per l’appunto, in apparenza “morente”.
In realtà, dal punto di vista della natura, non si tratta affatto di questo.
Il bosco è semplicemente entrato in una fase dinamica, quella di “crollo”, che porterà a un cambiamento e che sta già favorendo alcune specie viventi, ad esempio quelle legate alle fasi di decomposizione del legno (i cosiddetti “organismi saproxilici”, che rappresentano il 30% circa della biodiversità forestale).
I fori di picchio non si contano, così come i segni dei funghi degradatori del legno: un'esplosione di vita in uno scenario a prima vista deprimente.
No, il bosco non è affatto morente ma… ad essere limitati, in questa situazione, sono quei servizi ecosistemici che noi esseri umani chiediamo continuamente da parte delle foreste, fondamentali per le nostre vite. Questo castagneto, ad esempio, è stato utilizzato per secoli per produrre legna da ardere, paleria e travature dalle popolazioni locali.
"Ma ormai da anni, qui, si è rinunciato a produrre ottimo legno di castagno", ho pensato con "occhio tecnico" analizzando i grandi tronchi atterrati.
"Oggi si ha grande difficoltà a camminare, anche lungo i sentieri segnati", ho riflettuto dopo una rovinosa caduta, avvenuta nel cercare di scavalcare rami, fusti e ceppaie divelte.
"Si sono innescati fenomeni di dissesto", ho osservato calpestando il terreno smosso da una piccola frana.
"Il rischio incendi è elevatissimo", ho immaginato poi con preoccupazione.
"Il fiume alla base del versante è completamente intasato di tronchi, che in caso di eventi meteorologici estremi potrebbero creare molti danni all'abitato a valle, quello in cui ho lasciato la mia auto, prima di mettermi in cammino", ho bofonchiato tra me e me.
Il bosco non muore, anzi!
La rinnovazione naturale ha già creato un vivissimo tappeto che spunta dal fogliame. Ma come società abbiamo rinunciato ad un sacco di servizi utilissimi.
È questa la discriminante tra selvicoltura e abbandono: si può certamente rinunciare ad alcuni servizi ecosistemici in determinate aree - ad esempio con l’obiettivo nobile di salvaguardare parte della biodiversità a rischio - ma occorre essere consapevoli di ciò che questo comporta e conoscere bene le alternative in gioco.
Il problema è che qui, come in tante altre parti d'Italia, nessuno ha scelto consapevolmente. L'abbandono è stato la conseguenza di dinamiche socio-economiche, non di una decisione dettata da analisi e studi, come quelli che portano, ad esempio, all'istituzione di un'area protetta.
Camminando nel "mio" castagneto in fase di crollo ho sentito la necessità di raccontare che gestire le foreste non significa soltanto produrre legname (attività utilissima, tra l'atro, e che può essere svolta nella sostenibilità), ma soprattutto conoscere e scegliere in modo consapevole. Per questo è così importante puntare sulla pianificazione forestale, lo strumento che abbiamo per prendere decisioni ragionate (e auspicabilmente partecipate) sul patrimonio boschivo dei nostri territori.
Che si vada in una direzione o nell'altra, che si operi in un modo o nell'altro, dobbiamo prenderci, come società, la responsabilità di una scelta.
Anche questo significa avere cura... dell'altra montagna.
Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella.