"Crepacci circolari e calderoni glaciali sono il segnale che i ghiacciai si stanno disintegrando sotto i nostri occhi": alla scoperta dell'aspetto dei giganti di ghiaccio in sofferenza
Da qualche giorno circolano spettacolari fotografie scattate dai membri della Commissione Glaciologica della Società Alpinisti Tridentini che ritraggono delle particolari formazioni sviluppate sui ghiacciai alpini: i crepacci circolari e i relativi calderoni glaciali. Si tratta di veri e propri “buchi” nel ghiaccio. Tali formazioni sono tanto affascinanti quanto preoccupanti. La loro diffusione è infatti il sintomo di un profondo stato di sofferenza degli apparati glaciali coinvolti. Scopriamo perché
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Negli ultimi anni i ghiacciai alpini esibiscono sempre più spesso particolari morfologie che disegnano particolari strutture sulla loro superficie. Stiamo parlando dei sistemi di crepacci circolari. Sono gruppi di crepacci che si dispongono a mo’ di cerchio, incidendo la superficie del ghiaccio con una serie di fratture che nel loro insieme vanno a definire un cerchio.
Dal momento in cui vengono avvistati, questi crepacci circolari tendono a trasformarsi velocemente, provocando il collasso della superficie glaciale rimasta isolata al centro dei crepacci. L’evoluzione naturale di queste morfologie è il crollo completo della volta glaciale e la comparsa del letto roccioso sul fondo della voragine. Quando questo succede, il sistema di crepacci circolari è diventato un calderone glaciale. La comparsa di queste strutture sui ghiacciai delle Alpi non è un buon segno, è anzi un chiaro segnale di forte sofferenza da parte degli apparati coinvolti.
In realtà non è da molto che nei contesti montani come quello alpino si parla di crepacci circolari o calderoni glaciali. Fino a poco fa solo i glaciologi islandesi facevano ricorso a questi termini. Essi indicavano così le depressioni circolari sviluppate sulla superficie dei ghiacciai a causa della fusione interna prodotta dall’attività vulcanica. Quando il calore geotermico diventa intenso, il ghiaccio fonde non in superficie, bensì in profondità. La fusione interna indebolisce il ghiacciaio creando dei vuoti che portano a cedimenti e collassi. Se la fusione profonda crea un vuoto sufficientemente ampio, la superficie del ghiacciaio inizia ad abbassarsi, producendo una depressione circolare. Così nascono i calderoni di ghiaccio di origine vulcanica.
Strutture simili stanno comparendo un po’ ovunque sui ghiacciai montani, anche in contesti -come quello alpino- dove l’attività vulcanica è assente. Per capire come questo possa accadere dobbiamo considerare che in natura forme simili sono prodotte da processi simili. I calderoni islandesi devono per forza avere qualcosa in comune con i calderoni osservati sui ghiacciai delle Alpi. Cosa? La fusione interna. Nel caso dei ghiacciai alpini a provocare la fusione interna non è il calore vulcanico, ma la circolazione dell’acqua di fusione all’interno del ghiacciaio.
Sui ghiacciai delle Alpi è fisiologico che in estate parte dell’acqua di fusione prodotta in superficie venga inghiottita dal ghiacciaio e si muova al suo interno. Alla fine dell’estate i ghiacciai sono percorsi da un intrico di condotti interni attraverso cui si muove l’acqua di fusione e che sono mantenuti aperti dalla pressione di quest’ultima. In condizioni normali, quando la stagione calda volge al termine, la pressione dell’acqua nei condotti cala e questi possono richiudersi, anche grazie al nuovo ghiaccio in arrivo da monte. Solo con la nuova stagione estiva queste strutture tornano a formarsi.
La chiusura/apertura dei condotti dovrebbe quindi essere un fenomeno stagionale. Ora questo meccanismo è messo in crisi dagli effetti che il cambiamento climatico sta producendo sui ghiacciai. A causa delle temperature estive sempre più alte, la fusione estiva è così intensa e l’acqua di fusione tanto abbondante, da rendere i condotti sempre più ampi. Bisogna poi considerare che il movimento dei ghiacciai sta rallentando a causa della minor quantità di ghiaccio prodotto nei bacini di accumulo. Il ridotto flusso rende sempre più lento e inefficiente il sigillo dei condotti aperti in estate. Invece di chiudersi e ricrearsi con il passare delle stagioni, i condotti permangono anche d’inverno, facendosi di anno in anno più ampi, fino a diventare enormi grotte scavate nelle profondità dei ghiacciai.
Man mano che le cavità si allargano, la volta si indebolisce fino a collassare, producendo in superficie la depressione tipica dei calderoni di ghiaccio. Quando lo spessore del soffitto diventa troppo sottile, la struttura crolla completamente, lasciando al suo posto un buco sul cui fondo affiora il letto roccioso.
Le porzioni dei ghiacciai dove si sviluppano queste strutture sono destinate a scomparire nel giro di pochi anni, sconvolgendo l’aspetto dell’intero ghiacciaio di cui fanno parte. Questo perché l’esposizione della roccia scura al centro dei crolli circolari convoglia una maggior quantità di energia all’interno del ghiacciaio, accelerando ulteriormente la fusione e il ritiro. Inoltre i calderoni si sviluppano dove lo spessore del ghiaccio è limitato e in tali contesti basta la perdita di pochi metri di ghiaccio per portare a ritiri frontali impressionanti. Si è visto negli ultimi anni che il collasso dei calderoni può portare ad arretramenti di decine, o anche centinaia, di metri nell’arco di una singola estate.
Da anni i membri della Commissione Glaciologica della SAT stanno monitorando la comparsa e l’evoluzione dei crepacci circolari e del calderoni sui ghiacciai dell’Adamello, in particolare sulla lingua del Mandrone e sul ghiacciaio di Lares. Si tratta di ghiacciai poco pendenti. Il lento flusso, l’intensa fusione e la scarsa pendenza hanno reso questi ghiacciai particolarmente favorevoli alla comparsa di tali strutture. Non una buona notizia per la loro futura evoluzione. Possiamo infatti aspettarci che nei prossimi anni questi ghiacciai subiranno un ritiro particolarmente notevole, con la perdita dell’intero settore inferiore. Nel caso del Mandrone stiamo parlando del corpo principale del più grande ghiacciaio delle alpi italiane (il ghiacciaio dell’Adamello).
Osservati singolarmente, i calderoni sono strutture affascinanti, che nella loro simmetria circolare e insolita sanno ispirare fascino e sorpresa. Sapendo però cosa si nasconde dietro alla loro formazione, non possono lasciarci indifferenti. Sono il segnale che i ghiacciai di montagna si stanno disintegrando sotto i nostri occhi.
Questi temi sono ampiamente trattati nel secondo libro targato l’AltraMontagna: “I ghiacciai raccontano” (Edizioni People). Il libro sarà presentato domenica 20 ottobre a Trento alle 11 in Piazza Duomo, nel contesto del festival di People e l’AltraMontagna.
(la fotografia in apertura ritrae un sistema di crepacci di circolari dall'alto, scatto di Cristian Ferrari - Commissione Glaciologica SAT)