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Ambiente

Con l'aumento delle temperature cambia la clientela dei rifugi. Storia del "Quinto Alpini", dove gli escursionisti stanno sostituendo gli alpinisti

Il Rifugio Quinto Alpini è un posto magico e apparentemente fuori dal tempo. I gestori Elena Marinoni e Michele Bariselli lo gestiscono ormai da vent'anni, e se li ricordano tutti, fra sacrifici, cambiamenti climatici, conquiste, soddisfazioni e sì, in questo caso possiamo usare anche quella parola tanto inflazionata: resilienza

di
Andrea Bettega
12 settembre | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Se Wes Anderson girasse un film ambientato in un rifugio delle Alpi, ne sono certo, sceglierebbe il Quinto Alpini in Val Zebrù. Arroccato su un terrazzamento roccioso con due corpi gemelli in pietra-legno-lamiera, un ghiacciaio dietro le spalle, una vecchia insegna che indica un telefono a gettoniera della Sip, una fauna che compare e scompare come fosse in stop motion e, ultimo ma non ultimo, un grande e vistoso tetto giallo che crea la palette perfetta per dei personaggi stravaganti alla Steve Zissou o Grand Budapest Hotel.

 

Il bello è che il Rifugio Quinto Alpini è davvero un posto magico e fuori dal tempo, ma i gestori Elena Marinoni e Michele Bariselli lo gestiscono ormai da 20 anni, e se li ricordano tutti, fra sacrifici, cambiamenti climatici, conquiste, soddisfazioni e sì, nel loro caso possiamo usare anche quella parola tanto inflazionata: resilienza.

 

 

L’inizio di un cambiamento

Questo posto era sempre stato conosciuto come punto tappa dove gli alpinisti si confrontavano con le grandi vette: il Monte Zebrù, la Punta Thurwieser, la Suldengrat, la cresta severissima del Gran Zebrù.
Quindici anni fa, le montagne intorno al rifugio hanno iniziato a subire i segni inconfondibili del cambiamento climatico. I ghiacciai, un tempo più vicini al rifugio, hanno cominciato a ritirarsi, rendendo le vette più difficili da scalare.

 

"I ghiacciai cominciavano a entrare in sofferenza," racconta Elena, evidenziando come questo abbia segnato un punto di svolta: non solo le montagne stavano cambiando, ma anche le persone che le frequentavano.

Meno alpinisti e più escursionisti, attratti non solo dalle sfide verticali, ma anche dalla possibilità di vivere esperienze immersive e lente tra queste maestose vette.


Un nuovo tipo di camminatori però, che iniziano ad avvicinarsi ad una montagna un po' più alta, quindi non prettamente escursionistica.

 

“E quindi questo cosa ha comportato? Noi dovevamo necessariamente promuovere un'esperienza in più oltre il solo salire al Quinto Alpini e dormire, cercando di comprendere bene il nostro contesto”. Elena e Michele si attivano e fanno rete con le altre strutture della zona partendo dal Rifugio Forni, creando così il Giro del Confinale: un trekking ad anello che permette di scoprire il Parco Nazionale dello Stelvio in tutta la sua bellezza. L’idea è di proporre un'esperienza che ti permette in tre giorni di vedere porzioni di territorio, assaporare il tempo lento e l'ospitalità dei rifugi portando nel cuore qualcosa che non sia mordi e fuggi.

Questa nuova proposta ha permesso di attrarre un pubblico diverso, desideroso di vivere la montagna in modo più contemplativo, senza rinunciare a un sentimento avventuroso.

Fatica, cura e passione: le parole chiave

Il rifugio, con le sue sfide logistiche ed energetiche, ha insegnato a Elena e Michele il vero significato della parola “resilienza”. Michele, che da 25 anni è la colonna portante del rifugio, ha affrontato anni duri, quando la teleferica non c’era e i rifornimenti venivano trasportati a spalla.

 

Ricorda Elena con affetto e ammirazione: "Io ho questi ricordi che non cancellerò mai di Michele con la gerla, carica a 50 chili sulle spalle più volte al giorno in silenzio a portare su cibo, vivande e anche attrezzi per sistemare le numerose cose che in un rifugio si possono rompere: dal martello pneumatico che rimane nella storia dato il peso incredibile, a frigoriferi, divano e tante altre cose. Io se chiudo gli occhi e torno indietro vedo un giovane ragazzo che già allora aveva quella tenacia nel voler essere in questo posto, nel volerlo gestire, affrontando tutte le difficoltà del caso e cercando di farcela sempre".

Il discorso dei rifornimenti è stato molto lungo ed è molto cambiato in questi vent'anni, ma certe dinamiche a volte si ripropongono perché nel momento in cui nevica, la gerla è sempre fondamentale (a inizio o fine stagione), quindi è uno strumento che Michele non abbandona sostanzialmente mai. “Quest'anno a settembre abbiamo realizzato la nostra piccola teleferica che funziona a pannello solare e quindi questo ci permetterà di prendere fiato affrontando i prossimi anni con un po’ di fatica in meno, e di questo siamo veramente felici”.

 

 

Un rifugio per tutti, ma con la propria identità

 

Nonostante i miglioramenti, Elena sottolinea l'importanza di mantenere l'anima del rifugio, evitando di trasformarlo in un albergo. "I rifugi devono rimanere con la loro identità," afferma, ma ciò non significa rinunciare a un’ospitalità di valore. Un'accoglienza calorosa, la cura nei dettagli, dalla cucina ai materassi comodi, sono elementi che rendono il soggiorno al Quinto Alpini un’esperienza unica, capace di soddisfare le esigenze di un pubblico più ampio e variegato.

“Sta anche a noi rifugisti far comprendere il contesto, come avvengono i rifornimenti dell'acqua, dell'energia, come arrivano gli approvvigionamenti, quindi io penso che i gestori si debbano impegnare nel cercare di offrire un'ottima esperienza in quota senza escludere una sensibilizzazione verso gli avventori”.

 

Guardando al futuro

 

Il cambiamento climatico è una realtà con cui Elena e Michele convivono quotidianamente. Ogni giorno cercano nuove fonti d'acqua, allungando e spostando le tubazioni in modo sempre più imprevedibile e osservano con tristezza i fronti glaciali che si ritirano. "È una sofferenza vedere questo ghiacciaio che nel corso degli anni man mano sparirà", dice Elena. Ma nonostante queste sfide, il loro amore per il rifugio e per la montagna non vacilla. La loro missione rimane quella di preservare e migliorare questo luogo, accogliendo gli ospiti con la stessa passione e dedizione di vent'anni fa.

 

“Non si smette mai di imparare in questo posto, la natura riesce a piegarti in un attimo, la temi molto, l'ami molto, quindi cerchi sempre di averne molto rispetto in punta di piedi, con la voglia di continuare a migliorare e ad accogliere vivendoci per quattro mesi all’anno. Desideriamo ancora  rimanere a lungo al Quinto Alpini, perché lo amiamo proprio come se fosse una casa”.

 

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