Ad Asiago il primo Skidome d'Italia? Progetto avveniristico o legato a un modello economico ormai superato?
Un impianto coperto da 30 milioni di euro per sciare tutto l'anno ad Asiago (Vicenza), sull'Altopiano dei Sette Comuni. Un progetto avveniristico o legato a un modello del passato ormai destinato al tramonto?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Ci è parsa da subito una boutade. Ma la notizia ha fatto scalpore, ha innescato un dibattito e il giorno dopo il quotidiano (Il Giornale di Vicenza) è corso a far presente che tante cose, no, non tornano di quel progetto, come hanno precisato in molti. Ma andiamo con ordine.
La questione nasce qualche giorno fa, quando il quotidiano locale Il Giornale di Vicenza (5 gennaio 2024) pubblica sulla pagina dedicata all’Altopiano dei Sette Comuni un articolo a piena pagina con titolo a caratteri cubitali che così recita: «Sciare tutto l’anno a Kaberlaba nel primo skidome italiano». L’articolo, a firma di Gerardo Rigoni, presenta l’idea di Carlo Arduini, direttore della Scuola Sci Asiago, entusiasta di proporre in occasione del novantesimo della Scuola, la realizzazione in Altopiano di una pista da sci al coperto, tale da poter essere utilizzata dodici mesi all’anno e da costituire «un importante volano alberghiero» che richiamerebbe ad Asiago atleti e turisti dello sci da tutta Italia.
Si tratterebbe di una struttura che prenderebbe sviluppo, qualora fosse eseguita, sul versante meridionale del Kaberlaba (il monte su cui sarebbe costruita, ndr), con un debole impatto visivo su Asiago, che sorge dalla parte opposta della montagna.
La riflessione che da subito ha allineato molte sensibilità verte però non tanto, o non solo, sull’impatto visivo dell’eventuale struttura, bensì su altri aspetti che, a quanto pare, gli entusiasti promotori del progetto sembrano non tenere più di tanto in considerazione. «Realizzarlo richiederebbe circa 30 milioni di euro», sostiene sempre Arduini, cui fa eco il presidente del Collegio Nazionale Maestri di Sci, Luigi Borgo, il quale dichiara che lo skidome «proietterebbe l’Altopiano avanti di trent’anni e questo momento sarebbe quello giusto a portare avanti la proposta».
Ci pare, a onor del vero, che un’idea del genere si collochi più che trent’anni avanti, almeno quarant’anni indietro: nel cuore di quegli anni Ottanta in cui si credeva in un progresso inarrestabile, illudendosi di poter vivere sfruttando in modo indefinito le risorse di un pianeta che, viceversa, infinito non è, per parafrasare Mario Rigoni Stern.
Il rischio di vedere nuovamente investire denaro pubblico da parte delle amministrazioni locali in costosissime strutture e impianti privati destinati a soddisfare le richieste di una ormai ristretta élite, da un lato, non diversamente da quanto recentemente già accaduto, e l’impatto economico e sociale che un’operazione del genere avrebbe in tempi di cambiamento climatico e di conseguente crisi idrica ed energetica, non fanno che invitarci a guardare con estrema diffidenza un progetto simile. Che ci appare davvero, per molti aspetti, come si diceva in apertura, una boutade, ma per il quale sarebbe «già in formazione un comitato tecnico scientifico per lo studio di fattibilità».
Ciò che in parte più allarma – verrebbe da dire in chiusura – è che di fronte ad un mondo che sta così inesorabilmente cambiando e che ci pone tutti in una dimensione di corresponsabilità verso un destino che ci accomuna, vi sia ancora chi, rincorrendo certi modelli di un non lontano passato con la vocazione di arrestarne l’inevitabile tramonto, si illude di vivere il sogno di un’evasione impossibile, finendo tuttavia per recitare inconsapevolmente lo spettacolo di un declino che coinvolge tutti noi. E col quale dovremmo invece imparare a fare i conti, iniziando a prendere nei suoi confronti le giuste misure.