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Quando il regime chiuse la “questione romana”, ridando vita allo Stato Vaticano: fascismo e Chiesa stipulano i Patti Lateranensi

Nel dicembre 1929, a dieci mesi dalla firma dei patti Lateranensi, il re Vittorio Emanuele III e il papa Pio XI si incontravano per la prima volta chiudendo così un turbolento rapporto fra Regno d’Italia e Chiesa cattolica. Ma in cosa consistevano questi accordi e come influirono sulla vita degli italiani? Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”

Foto tratta dal web
Di Davide Leveghi - 18 dicembre 2022 - 12:15

TRENTO. Il 5 dicembre 1929 il re d’Italia Vittorio Emanuele III e papa Pio IX si incontravano ufficialmente, testimoniando, dopo oltre 60 anni, la fine della crisi fra Stato italiano e Chiesa cattolica. A saldare questa nuova amicizia era stata la firma dei Patti Lateranensi, l’accordo con cui il regime fascista e la Santa Sede ponevano fine alla “questione romana” cominciata con l’unificazione della città al Regno d’Italia, nel 1870.

 

Da Pio IX, pontefice al tempo della proclamazione cittadina a capitale d’Italia, dovettero succedersi altri quattro papi prima che Chiesa e Stato italiano venissero a patti, restaurando un dominio territoriale dalla storia millenaria in capo proprio al soglio pontificio. Dalla netta contrarietà di Pio IX al processo d’unificazione italiano – fu lui attraverso la politica del non expedit a proibire ai cattolici di partecipare alla vita politica del Regno – si passò attraverso atteggiamenti più o meno aperti verso il neonato Stato (fu Pio X, succeduto a Leone XIII, ad attenuare il non expedit), culminati nel riavvicinamento definitivo in epoca fascista.

 

Nonostante le violenze contro il cattolicesimo sociale – celebri furono, ad esempio, l’omicidio del presbitero antifascista Giovanni Minzoni, o gli attacchi alle leghe contadine cremonesi organizzate dal deputato Guido Miglioli (QUI un approfondimento) – il fascismo, nella sua ascesa, poté contare sul sostegno anche delle alte cariche ecclesiastiche. Con il 1929, oltre a rafforzare il consenso fra una popolazione profondamente cattolica, il regime acquistò nondimeno dei tratti confessionali, proclamando il cattolicesimo come religione di Stato.

 

Ma in cosa consistettero i Patti Lateranensi? Per prima cosa, come detto, l’accordo fra Chiesa cattolica e Stato italiano portò a un reciproco riconoscimento. Formati da un concordato (riguardante la disciplina dei rapporti fra Stato e confessione cattolica), da una convezione finanziaria (con cui si risarciva la Chiesa per le perdite subite) e da un trattato (riguardante invece i reciproci rapporti sul piano del diritto internazionale), i patti riportavano sulla mappa geografica lo Stato pontificio, sparito quasi 60 anni prima.

 

Firmati nel palazzo di San Giovanni in Laterano in data 11 febbraio, alla presenza per la Santa Sede del segretario cardinale Pietro Gasparri e per il Regno d’Italia del capo del governo Benito Mussolini, i patti riconoscevano alla Chiesa uno spazio comprendente il Colle Vaticano, i palazzi apostolici, la basilica di San Pietro; al di fuori di questi, le basiliche di San Giovanni in Laterano, San Paolo, Santa Maria Maggiore e il palazzo pontificio di Castel Gandolfo.

 

Accantonata la legge delle guarentigie, con cui il Regno d’Italia aveva cercato inutilmente di regolare i propri rapporti con la Chiesa, il concordato incise profondamente sulla vita nazionale. Il governo italiano, infatti, acconsentiva a rendere le proprie leggi su matrimonio e divorzio conformi a quelle della Chiesa. Religione di Stato, il cattolicesimo veniva obbligatoriamente insegnato nel sistema scolastico pubblico. Roma, soprattutto, acquisiva i tratti di una “città sacra”, centro di una Chiesa italiana di cui il papa era il primate, il massimo capo che liberamente poteva nominare i vescovi della penisola.

 

Al papa, e ciò non fu un fatto secondario, visti gli attriti e i timori del fascismo verso l’educazione cattolica, fu inoltre riconosciuto il diritto di guidare le attività religiose, compresa quell’Azione cattolica che sfidava apertamente, con la sua stessa esistenza, il monopolio del fascismo nella formazione dei suoi sudditi.

 

Riformati nei suoi punti più critici (vedi la proclamazione del cattolicesimo come religione di Stato) solamente negli anni ‘80, i patti dunque vennero accettati anche dalla Repubblica. La scelta di accordarsi con il fascismo produsse tra i cattolici del tempo, invece, non pochi problemi (altrettanto problematico sarà il Reichskorkordat firmato con la Germania nazista, sempre nel pontificato di Pio XI). Scrive a riguardo lo storico Andrea Riccardi in un saggio contenuto nell’opera collettanea I luoghi della memoria. Personaggi e date nell’Italia unita: “Per gli antifascisti Pio XI è il pontefice che ha abbandonato il Partito popolare e Don Sturzo, la cui azione era stata resa possibile da Benedetto XV”.

 

“E’ il papa dei concordati con l’Italia e la Germania. Ma forse è, in senso più largo, l’attore di una intensa politica nel quadro dei cambiamenti territoriali avvenuti dopo la prima guerra mondiale. Per i cattolici militanti è il papa dell’Azione cattolica e dei laici nella Chiesa. Pio XI rappresenta un’ispirazione per quella generazione di cattolici, che si impegnano nella ricostruzione democratica più tardi durante il pontificato di Pio XII. Non si può sottovalutare l’impronta dello stile di governo proprio di questo papa su molti ecclesiastici italiani e non, destinati a esercitare un’influenza anche dopo la fine del suo pontificato”.

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