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“Ubbidienza cieca e assoluta al duce”: democrazia interna e ruolo delle squadre nel primo statuto del Pnf

Nel dicembre 1921, poco dopo la trasformazione del movimento dei Fasci in partito, "Il Popolo d’Italia" ospitò sulle proprie pagine il primo statuto del Pnf. Basata su principi di democrazia interna, in realtà la nuova formazione si caratterizzerà subito per l’impronta fortemente gerarchica. Prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”

Immagine tratta dal web
Di Davide Leveghi - 12 dicembre 2021 - 12:06

Nel campo dell’organizzazione di combattimento il Pnf forma un tutto unico con le sue squadre; milizia volontaria al servizio dello Stato nazionale, forza viva in cui l’Italia Fascista si incarna e si difende” (dal primo statuto del Pnf, pubblicato su Il Popolo d’Italia il 27 dicembre 1921)

 

Il Milite fascista conosce soltanto doveri. Ha il solo diritto di compiere il dovere e di gioirne. Comandante o gregario deve obbedire in umiltà e comandare in forza. L’ubbidienza di questa milizia volontaria deve essere cieca, assoluta, rispettosa, fino al culmine delle gerarchie, al Capo Supremo e alla Direzione del Partito” (dal regolamento di disciplina per la milizia fascista, pubblicato su Il Popolo d’Italia il 3 ottobre 1922)

 

TRENTO. L’entrata in scena del Partito nazionale fascista mise fine ad uno periodo di forti scossoni. Il movimento, trasformato in partito nel corso del terzo congresso, tenuto al Teatro augusteo di Roma fra il 7 e il 10 novembre 1921 (QUI l’articolo), era in preda ai conflitti intestini dopo che la sua anima politica, avversata dai “duri e puri” dello squadrismo, aveva deciso per la “pacificazione” con i socialisti, firmando un patto per mettere fine alla violenza (QUI l’articolo).

 

Da parte sua, Benito Mussolini, fondatore dei Fasci ma non per questo unico leader riconosciuto del movimento, a fronte delle vibranti proteste dei fascisti più intransigenti decise di sconfessare il patto coi nemici socialisti. La decisione venne annunciata via stampa: il giorno 15 Il Popolo d’Italia, giornale fondato dallo stesso Mussolini, titolava: “Il trattato di pacificazione da oggi è denunciato e decaduto”. Il presidente del Consiglio, il liberale Ivanoe Bonomi, vedeva così sfumare il suo estremo e ormai vano tentativo di mettere un freno alla violenza politica - in quel momento esercitata in forma offensiva pressoché solo dai fascisti.

 

A testimoniare l'impotenza dello Stato, l’impunità e la libertà delle squadre basti citare l’altra carta giocata da Bonomi a poco più di un mese dal fallimento della pacificazione. Con una circolare prefettizia del 15 dicembre 1921, il governo stabilì un’equiparazione del manganello alle armi, nonché la messa al bando delle formazioni paramilitari fasciste. Nel giro di 24 ore, però, il segretario del Pnf Michele Bianchi rispondeva così su Il Popolo d’Italia: “Lo scioglimento delle Squadre di combattimento risulterà praticamente impossibile se prima il governo non avrà dichiarato fuori legge il Pnf in blocco”.

 

Inquadrate nel Partito, le squadre erano assurte a “tutto unico” con il Partito. Il nuovo statuto, entrato in vigore nella seconda metà di dicembre, recitava infatti: “Nel campo dell’organizzazione di combattimento il Pnf forma un tutto unico con le sue squadre; milizia volontaria al servizio dello Stato nazionale, forza viva in cui l’Italia Fascista si incarna e si difende”. Squadre e Partito erano ormai una cosa sola, quindi, e il governo non s’azzardò ad agire di conseguenza.

 

Sorto dallo squadrismo, il Pnf si delineava – scrive Emilio Gentile in Fascismo. Storia e interpretazione – “come un partito armato con orientamento totalitario, basato sui principi di ordine, disciplina e gerarchia”. Ben presto, però, fu proprio quest’ultimo valore ad imperniare la vita del partito. Continua Gentile: “Il principio della gerarchia, concepito in termini militareschi, prese subito il sopravvento sulla democrazia interna e definì i rapporti fra i capi e i gregari. Mussolini, da parte sua, considerò sempre il Pnf un ‘esercito’ che doveva obbedire ed eseguire senza discutere gli ordini dei capi e, prima di tutto, del duce”.

 

Ma quando avvenne questo cambiamento in senso fortemente gerarchico e quali aspetti toccò del primo statuto? Se da una parte l’organizzazione in partito del movimento dei Fasci garantì lo strumento decisivo per la presa del potere, avvenuta nell’ottobre del ’22, dall’altra fu la stessa Marcia su Roma ad inaugurare un processo di riforma dall’alto del Pnf. In questo senso, anche le squadre furono sottoposte a vincoli di ubbidienza al capo e alla direzione generale del partito.

 

In base al primo statuto, nondimeno, gli organi dirigenti del Pnf erano diversi: il Comitato centrale, eletto dal congresso nazionale come espressione diretta degli iscritti, era affiancato dal Consiglio nazionale, in cui sedevano i segretari federali delle province. Quest’ultimo era a sua volta presieduto dal segretario generale del Partito e da un direttorio nazionale. In cima alla piramide, infine, v’era il capo supremo del Pnf, il “duce” Benito Mussolini.

 

Ogni principio di democrazia interna, in realtà, non rimase che sulla carta. Le decisioni vennero prese infatti senza alcuna consultazione del congresso, riunito, tra l’altro, una sola e ultima volta, nel 1925. Parallelamente, il Partito subiva altre mutazioni: nel marzo 1923, le squadre inquadrate nel Pnf vennero trasformate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Istituito nel dicembre del ’22, a gennaio del 1923 si riuniva per la prima volta il nuovo organo direttivo presieduto dal capo del Partito, il Gran Consiglio del fascismo.

 

Attorno a quest’ultimo, dunque, si incardinò l’intero sistema fascista. Con il secondo statuto del Partito, varato nel 1926, il Gran Consiglio esautorò completamente ogni residuo di democrazia interna, sostituendo il congresso degli iscritti come “organo esecutivo della volontà del duce” (Gentile). Nel dicembre del 1928, fu addirittura trasformato in organo dello Stato. Tassello importante nella costruzione del totalitarismo fascista, la simbiosi fra Partito e Stato prendeva così ufficialmente avvio.

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