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Tra intimidazioni, pestaggi e divisioni, la “Secessione dell’Aventino” spiana la strada al fascismo

Dopo la sparizione di Matteotti, le opposizioni alla Camera si riuniscono per decidere il da farsi. Fino a quando non si fosse fatta chiarezza sul destino del loro collega, non sarebbero tornate in aula. Mussolini, scosso dalle pressioni provenienti da più parti, finisce però per approfittarne. La “Secessione dell’Aventino” spianerà così la strada al regime, tra frazionamenti degli antifascisti, pestaggi mortali e continue intimidazioni. Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”

Di Davide Leveghi - 20 giugno 2021 - 08:53

Se la dittatura non è stata instaurata, la Camera è pregata di non nutrire illusioni. Se farà dei mali sarà soppressa” (da Il Popolo d’Italia, 11 novembre 1922)

 

Il deputato Amendola domanda perché mai se il fascismo ha il consenso nazionale, non si abolisca la milizia nazionale. A questo signore che gira ancora indisturbato per Roma, rispondiamo che la milizia non è rivolta contro il popolo, ma sibbene contro una minoranza sparuta e screditata di canaglie che hanno sempre tradito l’Italia… il nuovo Cagoia Amendola che invoca la libertà, quasi che tutti i fossati d’Italia fossero pieni di cadaveri e i lampioni carichi di carogne antinazionali, ha finora avuto troppo larga licenza. Il fascismo è stato verso di lui troppo magnanimo, così come fu generoso verso gli altri delinquenti antinazionali, che rispondono ai nomi di Nitti, Albertini, don Sturzo, Treves, Modigliani, Serrati, Turati ed altri […] se il fascismo invece di essere troppo ingenuo e buono, avesse liquidato queste canaglie che appestano la nazione… il fascismo oggi sconta l’errore di aver fatto una rivoluzione soltanto col sangue dei suoi militi eroici e non col sangue degli avversari. Ma appunto per questo, appunto per sanare una omissione iniziale, è necessario che la milizia rimanga al suo posto saldamente, perché essa potrebbe anche servire per quattro canaglie non ancora messe al muro” (da Il Popolo d’Italia, 23 agosto 1923)

 

TRENTO. Intransigente oppositore del fascismo, il deputato Giovanni Amendola subiva il 20 luglio 1925 un pestaggio devastante. Una quindicina di uomini, armati di bastoni e manganelli, lo aggredisce nei pressi di Pistoia. A organizzare la mobilitazione è il ras della Lucchesia, Carlo Scorza, dal cui ordine prende avvio la spedizione punitiva contro il leader liberale.

 

Scorza, volontario di guerra, tenente dei bersaglieri e degli Arditi fregiato con due medaglie di bronzo, già presidente della Federazione degli Arditi d’Italia, è figura temuta e rispettata nello squadrismo lucchese. Nel luglio del ’25, sono “suoi” gli uomini che si concentrano fuori dall’hotel Pace di Pieve a Nievole, dove risiede Amendola. Lo attendono e lo percuotono, inferendogli colpi che risulteranno poi fatali. Il 7 aprile del 1926, trasferitosi in Francia per curarsi, Giovanni Amendola si spegne in una clinica sulla Costa Azzurra.

 

Protagonista dell’opposizione al fascismo, Amendola è voce centrale nel periodo a cavallo del delitto Matteotti (10 giugno 1924, QUI l’articolo). Dalle pagine del suo giornale, il Mondo, non si risparmia nel denunciare le violenze fasciste, ospitando anche il memoriale in cui il gerarca Cesare Rossi si ribella al ruolo di capro espiatorio accusando direttamente Mussolini d’essere il mandante dell’omicidio del deputato socialista.

 

A tre giorni dalla scomparsa di Matteotti, Mussolini risponde in aula affermando di non essere coinvolto ma profondamente addolorato. Nei mesi seguenti, intanto, orchestra la farsa che porta alle sue dimissioni da ministro degli Interni (carica affidata a una figura vicina al re, il nazionalista Luigi Federzoni), a quelle di Emilio De Bono, quadrumviro della Marcia su Roma, da capo della polizia, e a quelle dei due gerarchi più compromessi, Cesare Rossi e Aldo Finzi.

 

Grazie alle indagini, si consegnano o vengono fermati anche Filippo Filippelli, direttore del Corriere italiano e proprietario della Lancia Lambda su cui viene caricato Matteotti, Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Pnf e gli uomini della “Ceka fascista”, responsabili diretti del sequestro e dell’omicidio (QUI l’articolo). A incastrarli è il magistrato Mauro Del Giudice, anch’egli ben presto esautorato dalle indagini perché impermeabile alle pressioni.

 

Il 13 giugno 1924, dopo la difesa di Mussolini di fronte alla Camera, il presidente Alfredo Rocco ne aggiorna i lavori sospendendo sine die le attività dell’aula. L’opposizione, a questo punto, agirà in maniera decisa, decidendo di fatto le sorti del Paese per i decenni a venire. Il 26 giugno, infatti, circa 130 deputati del Partito popolare, del Partito socialista unitario (di cui Matteotti era segretario), del Partito socialista italiano, del Partito comunista d’Italia, del Partito democratico sociale, del Partito repubblicano e del Partito sardo d’azione si riuniscono nella sala della Lupa e convergono sull’atteggiamento da adottare: finché non si farà chiarezza sulla scomparsa dell’onorevole Matteotti i deputati dell’opposizione non parteciperanno ai lavori parlamentari.

 

Questa scelta, risultata poi essere “suicida”, prende il nome di Secessione dell’Aventino. Come i plebei romani fecero per protesta contro i patrizi, così decisero i deputati d’opposizione, imboccando una strada che, a causa di divisioni, indecisioni e incompatibilità di vedute, porterà al sostanziale immobilismo, permettendo al fascismo di incassare il colpo e tornare, definitivamente, all’attacco.

 

Un primo punto su cui si creano spaccature all’interno degli aventiniani è l’utilizzo legittimo della violenza. Qualsiasi azione d’insurrezione popolare è esclusa e la fiducia viene rimessa nella figura del re. Si crede infatti che di fronte alla verità dei fatti, all’emergere delle chiare responsabilità fasciste nel delitto Matteotti, il monarca non possa che obbligare Mussolini alle dimissioni, ristabilendo l’ordine democratico. Ma il re Vittorio Emanuele III, come noto, si dirà “cieco e sordo” di fronte alle accuse.

 

Sottoposto a grandi pressioni da parte degli alleati liberali, dell’opinione pubblica e dei fascisti più intransigenti, che spingono verso lo scatenamento di una nuova e decisiva ondata di violenza, il presidente del Consiglio comprende che la sopravvivenza del fascismo dipenda da un passo irresoluto e conclusivo verso l’autoritarismo. La dittatura è l’unico sbocco possibile per salvare la rivoluzione e per compiere un ulteriore salto di livello verso la costruzione dell’italiano nuovo. Nondimeno, l’uccisione da parte del comunista Giovanni Corvi del deputato fascista Armando Casalini trasforma gli umori del pubblico italiano.

 

Nel fronte aventiniano, intanto, si consuma una prima fondamentale rottura. Il leader dei comunisti Antonio Gramsci propone a settembre di costituire un “antiparlamento”. L’obiettivo è di evidenziare in forma netta e inequivocabile l’illegittimità di un’aula formata da figure elette tra i brogli e le violenze; gli stessi che Matteotti aveva denunciato nel suo accalorato e coraggiosissimo discorso alla Camera del 30 maggio ’24, l’ultimo prima della morte (QUI l’articolo).

 

La proposta comunista, così come quella di dar vita a uno sciopero generale, viene rifiutata dai leader aventiniani. Il Pcd’I, a quel punto, decise di abbandonare il resto delle opposizioni, tornando a fine anno a partecipare alle attività parlamentari. Il 3 gennaio 1925 il presidente del Consiglio forza la mano, "proclamando" la nascita della dittatura.

 

I mesi a venire, fino al 9 novembre 1926, giorno in cui vengono dichiarati decaduti i parlamentari aventiniani, raccontano di una lunga agonia. Le accuse nei confronti dei responsabili, dei mandanti e dei complici del delitto si esauriscono con l’amnistia del 1926, che cancella ogni condanna, rimettendo in libertà gli assassini. La pressione sull’opinione pubblica a cui puntavano i secessionisti dell’Aventino non risulta essere abbastanza forte da spingere Vittorio Emanuele III ad agire e la serie di attentati scampati da Mussolini nel ’26 "legittimano" il fascismo a irreggimentarsi. Le libertà vengono soppresse, le opposizioni cancellate. Anche dall’immobilismo degli aventiniani, il fascismo trae forza per farsi dittatura.

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