Il Ministero della Difesa scrive al Dolomiti: “Ecco chi sono i 5 soldati dei cippi nell'orto”. Dal caporale colpito da una granata all'alpino del 6° ucciso in combattimento
Il Ministero della Difesa ci ha contattati per comunicare l'identificazione dei 5 soldati della Grande Guerra delle steli trovate in un orto di Pilcante di Ala. I loro nomi erano stati riportati erroneamente. La vicenda, partita con l'appello a risalire gli eredi, continua a regalare sorprese. Ecco chi erano e come sono morti
PILCANTE. Come nel domino, il ritrovamento di 5 cippi funerari in un campo di Pilcante di Ala ha scatenato una reazione a catena. Dissotterrate dopo un secolo, in cui da lapidi erano tornate a svolgere dei compiti ben più terreni, quelle pietre testimoniavano l'esistenza e la sepoltura di 5 soldati italiani, provenienti da diversi angoli d'Italia ma accomunati dal comune destino di morte durante gli scontri che insanguinarono e devastarono il Trentino meridionale tra il 1915 e il 1918.
Il primo tassello lo ha fatto cadere Renato Vicentini, che attorno al 25 di gennaio, dopo anni che vedeva leggermente affiorare dalla terra dell'orto della casa di famiglia quelle pietre smussate, si decise a disseppellirle. Tolte alla terra, che le aveva custodite per decenni, una volta pulite lasciavano intravedere dei nomi, dei numeri e delle date, oltre che una certezza: si trattava di lapidi di soldati italiani caduti nella Grande Guerra.
Vicentini si rivolgeva ai social per chiedere il da farsi. Noi de il Dolomiti raccontavamo la sua storia e lanciavamo assieme a lui l'appello per ritrovare gli eredi. Cercavamo i discendenti di Fassarin Francesco, morto il 30 luglio del 1916, e di Guzzoni Domenico, morto il 5 giugno 1916. Ma in brevissimo tempo, le segnalazioni di appassionati e studiosi rendevano chiaro che quei nomi non fossero quelli veri.
Dalla prima sepoltura all'inumazione nel Sacrario di Castel Dante a Rovereto v'erano stati diversi passaggi. La trascrizione dei nomi a mano da un registro all'altro portava con sé all'accumularsi di errori, dovuti alla grafia, alle varianti dialettali, a doppie e vocali cambiate. Fatto sta che tra i nomi riportati negli archivi del Museo della Guerra del capoluogo lagarino e quelli scolpiti sulle lapidi non c'era alcuna corrispondenza. L'unica cosa certa riguardava la provenienza dei cippi: il cimitero civile di Ala.
Attivatasi la Soprintendenza dei Beni archeologici di Trento, e avanzate le prime ipotesi sulle identità dei due soldati, dalla terra emergevano altre 3 steli. Fino a quel momento avevano segnato il confine di proprietà tra il terreno di Vicentini e quello del vicino. Questa volta i nomi riportati erano quelli del caporale De Blasi Girolamo, deceduto il 4 giugno 1916, del caporale Brigli Domenico, deceduto il 2 giugno 1916 e di Bonini Eurelio, deceduto il 4 febbraio 1917.
Nell'elenco visibile al cimitero di Ala emergevano tuttavia già le prime discrepanze. Il caporale Brigli era in realtà Brighi Domenico, le date di Fassarin e Guzzoni a loro volta divergevano, con quest'ultimo che “acquistava” una “I” in fondo al cognome, italianizzando un nome di famiglia chiaramente veneto. E mentre i “tasselli” di questo domino, anche se confusamente, cominciavano a cadere, faceva capolino una prima bellissima sorpresa: un discendente di uno dei soldati scriveva alla redazione.
Marco Capra, il bisnipote del soldato Domenico Guzzon (nato a Rottanova di Caverzere, in provincia di Venezia, il 21 aprile 1886), ci contattava emozionato per raccontare l'annoso lavoro svolto negli ultimi anni per risalire al luogo di sepoltura del parente. Per la madre Valeriana Guzzon, nipote del fante caduto sul fronte trentino, era la soluzione di un rompicapo durato da tutta la vita. Il nonno non era morto sul fronte carsico, bensì in Trentino, venendo dapprima sepolto ad Ala e poi portato negli anni '30 nel Sacrario di Rovereto (QUI l'articolo che racconta la storia di Domenico Guzzon).
Ricostruita la prima traiettoria di vita, ne rimanevano a questo punto 4. E qui arriva un altro colpo di scena, l'inaspettata caduta di un altro decisivo tassello. Nella giornata di venerdì 19 febbraio il Ministero della Difesa chiama il Dolomiti per comunicare la pubblicazione di un comunicato stampa sul suo sito (vedi QUI): i cinque soldati della Prima Guerra Mondiali i cui nomi erano riportati sulle lapidi trovate nel campo di Pilcante sono stati identificati.
“E' stato grazie al lavoro di ricerca ed analisi svolto dal personale del Commissariato generale per le Onoranze ai caduti, ente istituito nel 1919 e attualmente posto alle dirette dipendenze del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che è stato possibile risalire all'identità di 5 soldati caduti durante la Prima guerra mondiale dei quali, nelle scorse settimane, erano stati casualmente ritrovati i cippi funerari - si legge – un lavoro certosino reso difficoltoso dal fatto che sono emerse discrepanze tra i nomi riportati sui cippi ritrovati nell'orto e quelli riportati nell'Albo d'Oro dei Caduti della Prima guerra mondiale del quali il Commissariato è detentore e depositario”.
La ricostruzione, effettuata grazie all'incrocio di “informazioni storiche, dati presenti nei registri, esame dei fogli matricolari e dei certificati di morte”, hanno “consentito di ricostruire la storia di 5 soldati ai quali appartengono questi cippi”, cippi che appunto, come raccontato sopra, finirono per essere utilizzati come semplici pietre nelle esigenze e negli usi quotidiani dei contadini del luogo. A farlo partire il generale Gualtiero Mario De Cicco.
Ma chi sono dunque questi 5 soldati? Di Domenico Guzzon già sappiamo la provenienza e le informazioni basilari. Effettivo al 208º reggimento fanteria, in cui operava come caporale, morì il 3 giugno del 1916 nell'ospedale da campo numero 029, ad Ala. Sepolto nel cimitero civile, nella zona appositamente dedicata ai soldati, venne riesumato e trasferito nella tomba 2818 dell'Ossario di Castel Dante. Il suo nome venne dapprima trascritto come “Guzzano”, poi corretto in “Guzzon” ed infine storpiato in “Guzzoni”.
Il caporale Domenico Brighi, effettivo al 117º reggimento fanteria, morì invece – secondo quanto riportato nell'atto di morte – l'1 giugno 1916 nella casa Tognotti di Marani. A ucciderlo furono le ferite causate dalle schegge di una granata e il luogo di sepoltura fu sempre il cimitero civile di Ala. Trasferito a Castel Dante, gli venne assegnata la tomba 854. A complicare le operazioni di ricerca nell'elenco dell'Onorcaduti, in questo caso, è stata la storpiatura del cognome in “Brigli”.
Il nome “Eurelio” è stata invece la causa delle difficoltà riscontrate nel risalire al soldato Aurelio Bonini, effettivo al 52º battaglione M.T.. Come verificato dall'atto di morte, morì il 4 febbraio 1917 lungo la strada in costruzione fra Marani e San Valentino, in seguito a delle ferite riportate in guerra. Sepolto nella tomba numero 193 ad Ala è stato poi esumato e trasferito a Castel Dante nella tomba numero 721. La data di morte di Bonini, tra l'altro, è l'unica che non coincide con le altre, collocata in un'altra fase della guerra.
Per gli altri 4, infatti, le date di morte riportano all'Offensiva di primavera lanciata dai comandi austro-ungarici nel maggio del 1916 e passata alla storia (erroneamente) come “Strafexpedition”, la “Spedizione punitiva”, e alla successiva controffensiva italiana. Qui morì anche il caporale Girolamo Di Blasi – e non “De Blasi”, come riportato sulla stele - effettivo al 118º reggimento fanteria e deceduto il 4 giugno 1916 in Val Lagarina, nella stessa Ala, dove era stato portato a seguito delle ferite riportate in combattimento. Traslato a Castel Dante, è stato sepolto nella tomba 1698.
L'ultimo dei soldati è infine Francesco Passarin, effettivo al 6º reggimento alpini e deceduto il 30 luglio 1916 per ferite riportate in combattimento nella 37ª sezione di sanità che operava nel Comune di Ala. Trasferito a Castel Dante e sepolto nella tomba numero 2090, il suo nome era stato erroneamente trascritto sulla lapide come “Francesco Fassarin”. Sulla sua identità, ancora nelle prime fasi di questa storia, avevamo ipotizzato un'origine marosticense.
Ricostruite le ultime fasi della loro vita, si tratta ora di restituire la loro storia svestita dalla divisa del Regio esercito, con cui morirono centinaia di migliaia di uomini, soprattutto contadini. Così è stato fatto con Domenico Guzzon, che lasciò a 30 anni sua moglie vedova con tre figli piccoli, costretti ad andare in collegio per l'indigenza della famiglia.
Nel mentre, la speranza di risalire ai parenti si fa più concreta. “Il Commissariato generale ha già avviato le attività finalizzate all'individuazione dei famigliari dei 5 caduti per comunicare loro quanto appurato nel corso delle ricerche – si legge nel comunicato inviato dal Ministero della Difesa a il Dolomiti – i congiunti di questi caduti, a distanza di oltre un secolo, potranno finalmente avere la certezza di dove sono sepolti in modo da poter rendere loro omaggio. Solo nel 2020 sono state circa 1400 le richieste pervenute alla Direzione storico statistica. A 1300 di queste è già stato fornito riscontro”.
“Sono stra-emozionato e non nego che ho gli occhi che brillano sapendo che i loro discendenti potranno avere la certezza del luogo dove riposano i loro e nostri eroi italiani”, commenta lo “scopritore” delle lapidi Renato Vicentini. Eccetto per Guzzon, molto sulle vite di questi uomini deve ancora essere scoperto.