Trova nell'orto due cippi funerari della Grande Guerra: potrebbero essere di Francesco Fassarin e Domenico Guzzoni. Ecco chi erano e dove ci porta la Storia
La vicenda di Renato Vicentini, carabiniere in congedo, raccontata da il Dolomiti che nel terreno di sua madre a Pilcante di Ala ha trovato dei cippi di soldati caduti nella Grande Guerra, ha fatto il giro d'Italia, mobilitando studiosi e cittadini per risalire agli eredi. Le incognite però sono tante, dalla provenienza delle steli al nome originale dei militari. La Sovrintendenza archeologica andrà sul luogo a fare i primi rilievi. Tra ricostruzioni e misteri ecco cosa abbiamo scoperto
PILCANTE. E' bastato spostare quel dito di terra che ha ricoperto le steli per quasi un secolo per movimentare studiosi e appassionati. Attorno ai due soldati, il cui nome è scolpito nella pietra rossastra dei cippi funerari, si sono subito avanzate le più disparate ipotesi, con l'attivazione della ricerca tra gli archivi e le carte militari. L'obiettivo? Ricostruire la loro vicenda, quella vita conclusa troppo presto sul fronte trentino-tirolese.
La vicenda prende avvio negli scorsi giorni, quando Renato Vicentini, lavorando nell'orto di Pilcante di Ala, si imbatte in alcune steli di pietra. Riesce a disseppellirne 2, mentre il terreno gelato ne continua gelosamente a custodire altre 3, da decenni piantate a dividere le proprietà. Sulla pietra sono scolpiti i nomi e le date di morte dei soldati Francesco Fassarin (30 luglio 1916) e di Domenico Guzzoni (5 giugno 1916).
Ride di gusto, Vicentini. Non credeva certo che scavare nel terreno della casa della madre potesse sollevare un simile marasma. Oltre al grande numero di studiosi, di professione o per passione, che si sono mobilitati per aiutarlo a risalire a degli eventuali eredi, anche dalla Soprintendenza dei Beni archeologici hanno dato avvio alle ricerche. Quei due cippi funerari, infatti, da dove provengono? Com'è possibile che siano arrivati fino a un terreno privato, trasformandosi da lapidi in comuni pietre utili a sostenere l'orto e a dividere le proprietà?
Procedendo a ritroso, a questo quesito si può rispondere con maggiore certezza. L' “utilizzo finale” delle steli seguì con ogni probabilità alla dismissione del cimitero, con le salme riesumate e traslate nei grandi sacrari – in questo caso nel Sacrario di Castel Dante, a Rovereto – e le pietre accumulate in depositi, per lo più ricavati negli spazi delle caserme. Rubate o vendute, regalate o recuperate in qualche maniera, le lapidi acquisirono una nuova vita come materiale da costruzione. In questo caso, i cippi sono finiti per trasformarsi in pietre di confine, a dividere diverse proprietà.
Gli usi più prosaici e quotidiani vanno inseriti nel contesto del dopoguerra. “Svestite” del carattere sacro di lapidi, quelle pietre tornavano a essere utili strumenti per gli svariati usi a cui la praticità contadina li poteva destinare. A cento anni di distanza, quelle pietre sono una fonte storica che apre uno squarcio sul destino individuale di due soldati morti sul fronte di guerra italo-austriaco nel 1916. Ma da dove provengono, in particolare, i cippi di Fassarin Francesco e Guzzoni Domenico?
Secondo delle prime ricerche svolte dal Museo della Guerra di Rovereto, le due steli fecero la loro comparsa nel cimitero civile di Ala, e non in quello militare di Pilcante (vedi la foto qui sotto). Una parte del campo santo alense venne destinato ad accogliere le salme dei soldati, come spesso accadeva nei territori a ridosso del fronte. A conflitto concluso e a fascismo già al potere, si diede avvio alla dismissione diffusa dei piccoli cimiteri militari, così come alla “raccolta” delle salme dei soldati dai settori appositamente dedicati nei cimiteri civili. I corpi venivano a quel punto tradotti e riuniti nei grandi ossari bellici, veri e propri templi di quella religione civile e nazionale che doveva celebrare il sacrificio di 600mila italiani per la “restituzione all'Italia” delle terre irredente – a cui il fascismo diede il proprio indelebile marchio, come visibile dalla simbologia che impregna queste strutture.
Ipotesi macabra ma meno probabile, è che a quelle lapidi corrispondano in loco le salme dei soldati. In tal caso, oltre alla Soprintendenza – che a breve svolgerà i primi rilievi nel terreno di Vicentini – entrerebbero in gioco i carabinieri. Secondo i dati forniti dal Museo della guerra, tale ipotesi va per ora scartata, essendo quelle steli le stesse presenti nel cimitero civile di Ala, nella sezione costruita durante la guerra per ospitare i corpi dei soldati caduti in battaglia.
Anche sul contesto in cui sarebbero morti Fassarin e Guzzoni aleggiano meno dubbi. Un Fassarin compare infatti tra i soldati morti sul fronte carsico, ma il luogo in cui è stata trovata la stele e le date di morte fanno pensare all'Offensiva di primavera, passata erroneamente alla storia come “Strafexpedition” (“spedizione punitiva”, perché organizzata dai comandi austro-ungarici per punire gli italiani del tradimento della Triplice alleanza), combattuta nel maggio-giugno del 1916, e alla successiva controffensiva italiana. Gli altopiani, da Folgaria ad Asiago, furono il teatro di quello scontro. Il fondovalle, nondimeno, uno dei luoghi in cui potrebbero essere confluite le salme.
La scelta del capo di Stato maggiore dell'Imperial Regio esercito Franz Conrad von Hötzendorf di condurre l'offensiva sugli altopiani incontrò la caparbia resistenza degli italiani, meglio piazzati in posizione difensiva. L'avanzata produsse comunque molti prigionieri, di cui alcuni illustri. È proprio nel giugno del '16 che gli irredentisti Fabio Filzi e Cesare Battisti finirono nelle mani degli austriaci, da cui verranno condotti al capestro il 12 luglio.
Spenta l'avanzata imperiale, il Regio esercito avrebbe condotto una controffensiva con cui si recuperarono i territori perduti. Il grande spostamento di truppe da parte di tutti e due gli eserciti belligeranti avrebbe a sua volta avuto ricadute su quello che il generale Luigi Cadorna, capo di Stato maggiore del Regio esercito, considerava il principale fronte: l'Isonzo. La sesta battaglia, cominciata in agosto, avrebbe portato alla conquista italiana di Gorizia, al prezzo di oltre 50mila vite - da qui la celebre canzone pacifista O Gorizia tu sia maledetta.
Calati nel contesto, i due soldati vengono sottratti all'indeterminatezza. Ma quelle steli, che testimoniano la loro esistenza, sono una fonte totalmente attendibile? Chi erano Francesco Fassarin e Domenico Guzzoni?
Qui, indubbiamente, la trama si infittisce. Non stiamo infatti parlando di uomini i cui nomi siano riportati nell'Onorcaduti, l'elenco redatto nel dopoguerra per raccogliere tutti i soldati caduti in guerra – e recentemente al centro di una digitalizzazione in aggiornamento - ma presenti, invece, negli elenchi di Castel Dante. Gli studiosi, d'altronde, non sono nuovi a questi rompicapo, considerando che prima di essere trascritti negli elenchi ufficiali del Ministero della Difesa i nomi dei militari potevano essere segnati nei documenti dei reggimenti, negli elenchi degli ospedali dei settori sanitari dislocati sul fronte, in quelli dei cimiteri e in quelli dei Comuni in cui erano sepolti.
La trasposizione di questi nomi nei vari passaggi poteva così essere oggetto di errori. Doppie mancanti, vocali cambiate, varianti dialettali, grafie illeggibili e quindi interpretabili potevano trasformare il nome del soldato caduto in una versione diversa e difficilmente utile per poter risalire all'originale. Il “privilegio” di questa "evoluzione", nondimeno, era del tutto negato agli scomparsi, il cui destino, così come il corpo, si perdeva nell'oblio.
Un'ipotesi riguardante i nomi dei soldati in questione è stata proposta dagli studiosi del blog di Quinto di Treviso “La guerra all'orizzonte”, che hanno condotto una ricerca incrociando diversi dati per risalire ai nomi originali. Mettendo assieme gli archivi degli Onorcaduti, dell'Albo d'oro dei caduti della Grande Guerra e delle Sezioni di sanità militare operanti in quel periodo in quella zona, hanno ipotizzato che i due si chiamassero rispettivamente Passarin Francesco (e non Fassarin) e Mussoni Domenico (e non Guzzoni).
I due provenivano, sempre secondo questa ricerca, rispettivamente da Vallonara, frazione di Marostica, nel Vicentino, e da Rimini. Nati il 25 agosto 1886 e il 17 luglio 1896, morirono rispettivamente a 30 e a 20 anni, dopo aver combattuto per il 6º reggimento degli alpini e per il 79º reggimento fanteria, Brigata Roma. A sancirne la morte, in entrambi i casi, delle ferite in combattimento, deceduti l'uno nell'ospedale militare di Ala e l'altro in Vallarsa.
Viste le tante variabili in gioco, sul loro vero nome continua però ad aleggiare ancora il mistero. Negli elenchi a disposizione di Castel Dante e di proprietà del Ministero della Difesa, nondimeno, i nomi appaiono così come scolpiti sulle lapidi. I numeri 180 e 104 accompagnano rispettivamente Fassarin e Guzzoni, il cui luogo di morte è per entrambi Ala.
Sul fatto che appartenessero al Regio esercito, i dubbi sono ridotti al lumicino. Era proprio dell'esercito austro-ungarico utilizzare una segnaletica standard per i deceduti, anche se appartenenti all'esercito nemico. L'Imperial Regio esercito utilizzava il legno per segnare i morti, come visibile d'altronde nei tanti piccoli cimiteri ancora presenti sulle montagne trentine, di cui alcuni proprio in Vallagarina.
L'ultimo aspetto riguarda la ricerca degli eredi, dove diversi fattori giocano a sfavore del desiderio di Vicentini di risalirvi. E' possibile che i due non avessero eredi? E' possibile che le loro famiglie si siano trasferite o che i registri anagrafici dei loro Comuni di provenienza siano andati persi o distrutti? E ancora, per tornare al cuore del problema: è il nome originale quello scolpito nella pietra?
Trovare il bandolo della matassa non è quindi scontato. L'unica certezza, per ora, è che Vicentini ha aperto un “vaso di Pandora”. E tutto questo smuovendo due dita di terra nel proprio orto.
(QUI AGGIORNAMENTO: dopo oltre un secolo, i familiari trovano le tracce del soldato Domenico Guzzon; QUI AGGIORNAMENTO: il Ministero della Difesa svela le identità dei 5 soldati)
Per questo articolo si ringraziano Renato Vicentini, Nicola Fontana del Museo della Guerra di Rovereto, il responsabile dell'Ufficio Beni archeologici della Provincia di Trento Franco Nicolis, Silvano Zago del blog “La guerra all'orizzonte” e il colonnello Livio Ciancarella, ex capo ufficio dell'Archivio storico dell'esercito, preziosi nel mettere a disposizione esperienza, informazioni e conoscenze nel porre un primo tassello ad una storia destinata a proseguire.