I primi a dare la colpa ai partigiani furono i fascisti, ma la richiesta di consegna non avvenne mai: 77 anni fa l'eccidio delle Fosse Ardeatine
Dopo l'attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, i comandi militari tedeschi organizzano la rappresaglia ancora prima di chiedere ai responsabili di consegnarsi. Ma la stampa fascista scarica la colpa sui partigiani. E, nonostante i dissapori all'interno del Cln, arriva la rivendicazione comunista
TRENTO. Alle ore 20 di venerdì 24 marzo 1944 gli ingressi delle cave di pozzolana di via Ardeatina sono fatti esplodere. Nei giorni successivi, il fetido odore di morte che trapassa la terra e impregna l'aria della zona spingerà l'architetto della strage, il capo della Gestapo a Roma Herbert Kappler, a emanare l'ordine di ricoprire tutto con i rifiuti. 335 cadaveri, ricoperti dalle pietre esplose con la dinamite, dovevano essere nascosti con l'immondizia.
Cercare di nascondere una strage è parte stessa della strage. Ma la notizia della feroce rappresaglia tedesca dopo l'attentato di via Rasella, in cui persero la vita 33 soldati – tutti sudtirolesi - appartenenti al Polizeiregiment Bozen, aveva già fatto il giro della città e non solo. Domenica 26 marzo, a due giorni dall'eccidio, alcuni cittadini romani si affacciano sugli ingressi crollati delle cave. Il giorno successivo, anche la Bbc dà notizia del massacro, parlando di 500 civili fucilati.
I primi a dare la colpa ai partigiani comunisti sono i fascisti. La stampa della Repubblica sociale, coinvolta nell'organizzazione della rappresaglia tramite la stesura di una parte della lista di condannati a morte, scarica la responsabilità sui Gap romani. La versione è ribadita nella conferenza stampa indetta dal comando tedesco sabato 8 aprile 1944.
Nelle ore concitate fra l'attentato e la rappresaglia, però, la volontà di trovare un colpevole è marginale rispetto alla sete di vendetta. Da Berlino l'ordine è chiaro: ci vuole una rappresaglia esemplare. La richiesta di consegna dei colpevoli, non a caso, non avviene. E solo a cose fatte, con 335 persone uccise con un colpo alla testa e sepolte nelle cave di via Ardeatina, il comando tedesco dirama un comunicato alla stampa del Paese. “Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca in transito in via Rasella. Il seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l'attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata”.
Alle 18 del giorno successivo, sabato 25 marzo 2021, è l'Osservatore romano, il giornale del Vaticano, a intervenire. Ogni vita ha la stessa importanza, che sia di un tedesco o di un civile. La responsabilità della strage ricade anche in questo caso su chi ha voluto colpire gli invasori. “Di fronte a simili fatti ogni animo onesto rimane profondamente addolorato in nome dell'umanità e dei sentimenti cristiani – si legge nel comunicato – trentadue vittime da una parte, trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all'arresto, dall'altra. Ieri rivolgemmo un accorato appello alla serenità e alla calma; oggi ripetiamo lo stesso invito con più ardente affetto, con più commossa insistenza”.
“Al di fuori, al di sopra delle contese, mossi soltanto da carità cristiana, da amor di patria, da equità verso tutti i 'fatti a sembianza d'uomo' e 'figli d'un solo riscatto'; dall'odio ovunque nutrito, dalla vendetta ovunque perpetrata, aborrendo dal sangue dovunque sparso, consci della stato d'animo della cittadinanza, persuasi dal fatto che non si può, non si deve spingere alla disperazione ch'è la più tremenda consigliera ma ancora la più tremenda delle forze, invochiamo dagli irresponsabili il rispetto per la vita umana che non hanno il diritto di sacrificare mai; il rispetto dell'innocenza che ne resta fatalmente vittima; dai responsabili la coscienza di questa loro responsabilità verso se stessi, verso lo vite che vogliono salvaguardare, verso la storia e la civiltà”.
In netta contrapposizione a questa visione, tutt'altro che neutra, delle istituzioni pontificie, c'è la rivendicazione dell'azione di via Rasella da parte del Gap. All'interno dei vertici del Cln c'è infatti dibattito. Bonomi minaccia le dimissioni, i democristiani contestano l'opportunità dell'azione e i comunisti, indignati, decidono di pubblicare un comunicato di rivendicazione - anche il Cln, dopo diverso tempo, condannerà la strage e sosterrà l'azione comunista. “Contro il nemico che occupa il nostro suolo, saccheggia i nostri beni, provoca la distruzione delle nostre città e delle nostre contrade, affama i nostri bambini, razzia i nostri lavoratori, tortura, uccide, massacra, uno solo è il dovere di tutti gli italiani – si legge nell'editoriale dell'edizione clandestina dell'Unità titolato 'Gloria eterna ai 320 fucilati di Roma' – colpirlo, senza esitazione, in ogni momento, dove si trovi, negli uomini e nelle cose. A questo dovere si sono consacrati i Gruppi di azione patriottica”.
“I tedeschi, sconfitti nel combattimento di via Rasella, hanno sfogato il loro odio per gli italiani e la loro ira impotente uccidendo donne e bambini e fucilando 320 innocenti – proseguono – nessun componente dei Gap è caduto nelle loro mani né in quella della polizia italiana. I 320 italiani, massacrati dalle mitragliatrici tedesche, sfigurati e gettati nella fossa comune, gridano vendetta. E sarà spietata e terribile. Lo giuriamo […] il comando dei Gap dichiara che le azioni di guerra partigiana e patriottica in Roma non cesseranno fino alla totale evacuazione della capitale da parte dei tedeschi”.
Erano le 14.30 di venerdì 24 marzo quando alle cave di via Ardeatina giungevano i primi prigionieri. Un sacerdote, arrestato per attività antifascista, don Pietro Pappagallo, li benedice. Un disertore austriaco, Joseph Reider, riesce a fuggire ma viene riconosciuto e fermato poco dopo. Verrà portato al carcere di via Tasso, sede della Gestapo. Sarà l'unico superstite della strage.
A gruppi di 5, intanto, i prigionieri sono portati al fondo della cava. E mentre il massacro ha preso avvio, mentre il sangue inizia a scorrere e i corpi ad ammucchiarsi, le autorità tedesche hanno già inviato i propri camion a Regina Coeli, dove la lista stilata dai repubblicani fascisti non è però ancora arrivata. E così, dei 50 selezionati dal questore Caruso, solo 20 finiranno fucilati alle Fosse Ardeatine. I restanti 30 sono prelevati a caso dai tedeschi.
Scrisse Vittorio Foa: “Si uccidevano gli ebrei perché erano ebrei, non per quello che pensavano e facevano. Si uccidevano gli antifascisti per quello che pensavano e facevano, si uccidevano uomini che non c'entravano nulla solo perché erano dei numeri da completare per eseguire l'ordine”. Alle 20, infatti, un ultimo gruppo di 5 prigionieri entra nella cava.
Gli uomini della Gestapo hanno già fucilato 330 persone. “E' un errore, ma visto che sono qui...”, sospira Kappler, trasformando una sfortunata fatalità in un dovere indissolubile di vendetta. I morti salgono così a 335. Un quarto d'ora dopo, gli ingressi sono fatti saltare con la dinamite.
(Articolo seguito a "L'esplosione, gli spari all'impazzata e 'la rappresaglia che fa tremare il mondo': 77 anni fa l'attentato di via Rasella").