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Un anno fa la mozione Ue che parificava nazismo e comunismo, facendo infuriare la sinistra italiana. Flores D'Arcais: “Reazione identitaria"

Il 19 settembre 2019 il Parlamento europeo votava una mozione sull'importanza della memoria, suscitando diverse proteste tra gli ex comunisti (e gli storici) italiani, che gridarono alla banalizzazione della storia e a un'inaccettabile equiparazione tra nazismo e comunismo. Lo storico Marcello Flores D'Arcais: "Il documento, coi suoi limiti, esprime il desiderio dell'Europa di costruire un racconto comune del passato. Il clamore suscitato in Italia fu dovuto al rifiuto della storia in nome dell'identità"

Di Davide Leveghi - 19 settembre 2020 - 13:12

TRENTO. Un anno fa il Parlamento europeo, nel solco di altre iniziative di politiche della memoria, approvava una mozione dal titolo “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa". Il documento, promosso per lo più da parlamentari dell’Est Europa, tracciava un confine tra le storie trasversali di Europa orientale e occidentale, individuando nel nazismo e nel comunismo i due momenti antitetici dei valori che tengono assieme i 27 Paesi dell’Unione.

 

Con un richiamo costante e un po’ ingenuo alla memoria (in particolare alla memoria condivisa) e il ricorso a letture di certi passaggi novecenteschi decisamente forzate (al punto 2 si sostiene che “la Seconda guerra mondiale è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, noto come patto Molotov-Ribbentrop”), il documento veniva accolto in Italia in maniera particolarmente dura da storici ed ex militanti dei partiti di sinistra, considerato come una vergognosa banalizzazione e soprattutto un’inaccettabile comparazione.

 

Equiparare nazismo e comunismo, si disse, cancella ogni differenza storica tra due totalitarismi che si distinsero non tanto negli esiti brutali e inumani quanto negli ideali che li ispirarono e guidarono. Il maggior crimine di Stalin, dunque, risiedette proprio nell’aver tradito ideali, valori e promesse del comunismo, nel non averli realizzati. Le violazioni dei diritti, i gulag, la repressione, le deportazioni e la menzogna a cui si condannarono milioni di persone non furono che una perversione delle idee che sostanziavano la principale alternativa al sistema liberal-capitalistico.

 

“La protesta della sinistra di derivazione comunista si contraddistingue per la stessa logica di fondo dei discorsi memoriali – spiega lo storico Marcello Flores D’Arcais, autore di numerosi lavori sul comunismo e da ultimo di un saggio sulle politiche della memoria dal titolo “Cattiva memoria. Perché è difficile fare i conti con la storia”, edito da il Mulino – quella di rifiutare la storia in nome di un’identità. Giunta in Italia, la notizia dell’approvazione della mozione venne contestata in forma plateale, considerata una vera e propria ingerenza europea nelle singole storie nazionali”.

 

In Italia, sostenevano gli ex comunisti, un discorso se non di equiparazione quanto meno di comparazione tra nazismo e comunismo non poteva sussistere, se era vero che il Pci, pur guardando a Mosca, aveva svolto un ruolo decisivo nel portare il Paese alla democrazia, accettandone le logiche. In un’Europa aperta a Est, però, questo discorso si scontra con quarant’anni di regime, creando un cortocircuito identitario, un sovrapporsi e scontrarsi tra memorie collettive di gruppi che vissero i propri ideali e le proprie lotte in contesti completamente diversi.

 

“Queste polemiche hanno avuto così tanta risonanza solo in Italia – prosegue Flores – l’accusa stessa di equiparazione tra comunismo e nazismo è qui che viene fatta con tanto vigore, mentre nel documento non vi si accenna nemmeno. Anzi, non era proprio nelle intenzioni della politica della memoria europea. Dopo il 1989, infatti, quando l’Europa cominciò il proprio allargamento verso Est, si pensò a creare un’altra gamba a quello che in Europa occidentale era considerato il momento centrale della memoria sovranazionale, cioè la Shoah: la critica al comunismo”.

 

Quando si parla storicamente del comunismo si fa riferimento ai regimi, quello di opposizione non fu che un’appendice. Affiancare la memoria di quella parte d’Europa che aveva vissuto a Est della Cortina di Ferro ha sì dei limiti, ma non nei termini dell’equiparazione. Nel documento, infatti, si riafferma in generale la Shoah come momento centrale della memoria europea. Il problema sta semmai nel fondo: come si arriva a riconoscere delle realtà storiche diverse dando vita a una memoria comune?”.

 

Il quesito non è certo di facile soluzione. Se è vero che una comunità, come si vuole quella europea, da Varsavia a Lisbona, da Sofia a Dublino, ha bisogno di ritrovarsi in valori condivisi, così come in memorie comuni, com’è possibile trovare un filo conduttore che non distorca il passato e che contribuisca a creare maggiore aggregazione? L’equilibrio, in questa difficile operazione, corre su un filo molto sottile.

 

Nei documenti europei c’è una certa confusione tra storia e memoria – spiega lo storico padovano – l’Europa pensa da parte sua che gli europei necessitino di una memoria comune, ma ciò è molto al di là da venire, perché ci sono ostacoli e limiti a questa operazione. La cosa fondamentale è pensare a una storia comune, trovare degli elementi condivisi. Il percorso è molto lungo, trovare le ragioni del nostro stare insieme è un processo che fino ad ora si è risolto in iniziativa limitate, in un libro franco-tedesco ad esempio, o la Casa della storia europea di Bruxelles. Nelle intenzioni di questo documento del settembre 2019 sono d’accordo più nei principi che nei risultati”.

 

I risultati, leggendo il documento, fanno pensare anche ad un significato politico piuttosto chiaro, promosso particolarmente da quei Paesi che dopo la Guerra Fredda hanno continuato a guardare verso Est nel timore che Mosca rialzasse la testa e ripartisse nei suoi disegni egemonici. I riferimenti alla Russia attuale sono numerosi, così come alle sue interpretazioni dominanti del passato nazionale da parte del potere putiniano.

 

L’Europa e l’Italia in particolare hanno avuto degli atteggiamenti lassisti nei confronti di Mosca, verso le libertà negate, le intimidazioni e gli omicidi dei giornalisti, la compressione delle libertà civili. È vero che la Russia sta recuperando la memoria dello stalinismo tirando una retta che va da Pietro il Grande a Stalin, che sta manipolando la storia. Lo stesso discorso varrebbe però anche per alcuni Paesi dell’Est Europa, pensiamo alla Polonia e alle leggi su Auschwitz e il nazismo (ne avevamo parlato anche noi de Il Dolomiti QUI e QUI)”.

 

Come accaduto nelle reazioni al documento in Italia, dunque, nella mozione stessa si intravedono balenare le memorie identitarie e nazionali, ostacolo insormontabile alla costruzione ricercata dall’Europa unita di un racconto sovranazionale del passato. “Non so quanto il tentativo europeo di costruire un racconto comune del passato sia possibile. C’è chi sostiene che si debba dar prima vita alla costruzione politica e poi a quella identitaria. Io penso che si possa andare avanti in maniera parallela – conclude Flores – e ciò spingendo i Paesi a uscire dalla proposta di un racconto nazionale, cercando di far uscire dalle memorie nazionali una memoria europea. Il problema è che, anche noi in Italia, la memoria la vogliamo ricondurre solo a noi stessi”.

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