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L'assurdità della risoluzione europea che accomuna nazismo e comunismo. Come l'UE falsifica la storia cercando una ''memoria condivisa'' mai esistita

Il 19 settembre 2019 il Parlamento approva una mozione che mette sullo stesso piano in nome della memoria condivisa il nazionalsocialismo e il comunismo. Ma la misura, volta a compiacere i governi dell'Est Europa, non comprende la complessità della Storia

Di Davide Leveghi - 23 settembre 2019 - 19:09

TRENTO. “Collocare sul medesimo piano il comunismo russo e il nazifascismo in quanto entrambi sarebbero stati totalitari, nel migliore dei casi è superficialità, nel peggiore è fascismo. Chi insiste su questa equiparazione può ben ritenersi un democratico, in verità e nel fondo del cuore è in realtà già fascista, e di certo solo in modo apparente e insincero combatterà il fascismo, mentre riserverà tutto il suo odio contro il comunismo”. Scriveva così lo scrittore tedesco Thomas Mann, nel 1942, quando già si era spostato con la famiglia negli Usa per sfuggire alla persecuzione nazista.

 

Mann – che teneva a precisare di non essere socialista - sosteneva che la differenza, seppur entrambi potessero essere indicati come regimi totalitari, risiedeva nel fatto che il comunismo sovietico “ha delle connessioni a ideali di umanità e di un futuro migliore, mentre il nazismo è semplicemente diabolico”.

 

Assistere all'approvazione della risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre scorso, in cui nazionalsocialismo e comunismo vengono posti sullo stesso piano in nome dell' “importanza della memoria europea per il futuro d'Europa” non può non lasciare perplessi – per usare un eufemismo – solo i professionisti della disciplina storica o coloro che provengono da una tradizione politica di sinistra. Il testo, votato dalla grande maggioranza degli europarlamentari italiani, tra cui molti esponenti del partito democratico – tra cui il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, a cui probabilmente andrebbe insegnata la storia del partito a cui appartiene – appare come una vera e propria accozzaglia di informazioni che appiattisce la Storia e la sua complessità in nome di un ecumenismo europeo totalmente inventato e forzato.

 

C'è un aspetto capzioso nel testo approvato, proposto principalmente da europarlamentari provenienti da Paesi dell'Est Europa, sottoposti per quasi cinquant'anni a regimi controllati (quasi tutti) da Mosca. Questo elemento è legato ad un'idea che equipara, appiattendola, la sofferenza di chi soffrì i regimi autoritari, nascondendo dietro a questo una serie di nodi decisivi per comprendere la complessità del '900 europeo.

 

Innanzitutto c'è la Russia. In più passaggi del testo si fa riferimento allo scomodo vicino orientale, cancellando non solo il ruolo decisivo svolto dall'Urss nella sconfitta del nazifascismo ma proiettando sulla Russia moderna le colpe di un passato da cui si è nettamente discostata. L'Unione Sovietica sacrificò 25 milioni di uomini per sconfiggere la Germania nazista e i regimi collaborazionisti. La divisione dell'Europa in due non fu responsabilità esclusiva di Mosca ma vide le potenze occidentali in campo per instaurare e mantenere - anche mediante mezzi tutt'altro che democratici – regimi liberali nell'area di propria influenza. Si pensi alla Grecia, alla Spagna o al Portogallo, senza tirare in ballo la rete della controguerriglia Nato, dove regimi di tipo fascista avrebbero resistito fino ai '70 inoltrati.

 

Nel testo si dice che la “Seconda guerra mondiale, il conflitto più devastante della storia d'Europa – e il resto del mondo? - è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop, e dei suoi protocolli segreti, in base ai quali due regimi totalitari, che avevano in comune l'obiettivo di conquistare il mondo, hanno diviso l'Europa in due zone d'influenza” (punto 2). Questa affermazione non solo omette più di quanto dica – l'Urss tentò ripetutamente di dar vita ad un'alleanza antinazista con gli stati democratici, Francia e Gran Bretagna su tutti, ricevendo solo risposte vaghe e finendo, come nei casi spagnolo o cecoslovacco, isolata – ma si basa su una falsità: la guerra scoppiò per l'invasione tedesca della Polonia, per cui scattò il sistema d'alleanze.

 

Nel testo (punti 14, 15 e 16) si ripete che la Russia moderna non stia facendo i conti con il proprio passato, riallacciandosi continuamente all'esperienza sovietica. Posto che sfidiamo a trovare un Paese europeo che i conti con il passato li abbia fatti – con l'eccezione parziale della Germania – questi punti non solo si fondano sul sentimento antirusso e sull'adesione alla Nato – essendo quindi squisitamente politici e geostrategici – ma cancellano ogni complessità della società russa. Il passato stalinista, infatti, è sì recuperato ed esaltato nell'attuale Russia putiniana ma nella sola misura patriottica e imperiale. Si guardi invece alla Chiesa ortodossa, repressa da Stalin ma attuale pilastro (politico) della rinascita nazionale di Mosca.

 

L'altro elemento estremamente problematico è quello della “memoria condivisa” - Punto 10: “chiede l'affermazione di una cultura della memoria condivisa, che respinga i crimini dei regimi fascisti e stalinisti e di altri regimi totalitari e autoritari del passato come modalità per promuovere la resilienza alle moderne minacce alla democrazia, ecc". Quest'idea sostanzia iniziative come il Giorno del Ricordo, creato a inizio degli anni 2000 per commemorare le vittime dell'esodo istriano-dalmata e delle foibe e indicato da più parti come una sorta di contraltare della Giornata della Memoria.

 

La “memoria condivisa” non esiste, è un'invenzione. Come può esistere una memoria condivisa in un continente che ha vissuto per cinquant'anni diviso ideologicamente, politicamente, culturalmente, economicamente, e così via? Memoria e storia non sono sinonimi, sono due cose completamente diverse, e ciò che manca nel testo non solo è l'idea che esistano più memorie che convivono ma il senso stesso della Storia come conoscenza critica e problematica del passato. Il comunismo in Romania, Paese che visse in un regime slegato per buona parte dal controllo di Mosca, e in Italia, in cui le forze comuniste, seppur nella complessità della fase delle guerra civile, conversero nella democrazia repubblicana accettando le dinamiche liberali, non possono essere messi sullo stesso piano per compiacere i politici dell'Europa dell'Est.

 

La compiacenza di questi convive con la deresponsabilizzazione delle democrazie occidentali e gli aspetti contraddittori delle loro storie nazionali. L'immagine dell'Unione europea come di una famiglia torna a riguardo come estremamente calzante. La memoria condivisa, infatti, non esiste neppure in un nucleo familiare. L'unica cosa condivisa, e la risoluzione di qualche giorno fa lo dimostra, è l'oblio.

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